Nella nostra società non si sente parlare molto spesso di disobbedienza civile. Eppure, questo diritto a rifiutare l’obbedienza fa parte degli uomini fin da quando se ne ha memoria. L’arte, la letteratura, la musica raccontano infatti come essi abbiano praticato la disobbedienza nel corso della storia.
Imparare a disobbedire
Non ricordo quando fu la prima volta che disobbedii nella mia vita, ma ricordo di aver provato un grande fascino per quei bambini un po’ ribelli e fuori dagli schemi, che venivano trattati con un occhio di riguardo dagli adulti e, talvolta, presi come “esempio da non seguire”. La disobbedienza mi affascinava da un lato ma, dall’altro, provavo un grande timore nelle reazioni che avrei potuto scatenare disobbedendo alle regole.
Infatti, fin da bambini, gli adulti ci insegnano che è giusto seguire una strada già tracciata e ben delimitata. Noi, senza porci troppo il problema, camminiamo a testa bassa, un passo dopo l’altro, fin quando non alziamo lo sguardo e iniziamo ad osservare cosa c’è intorno a noi.
Capiamo che quello che ci circonda non fa parte di noi e della nostra persona, ci sentiamo fuori luogo, non capiti, inadatti a percorrere quel sentiero che sembra diventare fin troppo stretto e tenebroso. La luce che finora ci aveva illuminato la strada scompare e non riusciamo più ad orientarci nell’oscurità.
Le radici della disobbedienza civile
Immaginavo che Eva provasse questa sensazione quando, nel racconto biblico, mangiò il frutto proibito disobbedendo alle leggi divine e assumendo consapevolezza di ciò che la circondava e di ciò che era. Al di là del significato e delle interpretazioni religiose, è questo il primo atto di disobbedienza che la letteratura ci insegna, con tutte le responsabilità che ne conseguono.
La disobbedienza civile affonda le sue radici nell’antichità; dalle leggi di Roma alla tradizione cristiana, dal Medioevo sino ad arrivare alle più note rivoluzioni che la storia abbia mai conosciuto.
Ha incontrato grandi personalità che hanno fatto la storia, come Mahatma Gandhi, Martin Luther King, le Suffragette, i primissimi protagonisti dei Gay pride non autorizzati e tante altre affascinanti storie che tutt’oggi accadono.
Che cos’è la disobbedienza civile?
Alla voce “disobbedienza civile” l’Enciclopedia Treccani recita:
Il rifiuto da parte di un gruppo di cittadini organizzati di obbedire a una legge giudicata iniqua, attuato attraverso pubbliche manifestazioni.
Enciclopedia Treccani, Disobbedienza civile.
Si tratta quindi di contrapporre alla legge dello Stato la propria legge morale. È proprio l’aggettivo “civile” che pone l’accento sulla condizione del cittadino che sottostà e ubbidisce a delle leggi poste da uno Stato.
Far coincidere la legalità, quindi le leggi di uno Stato, con la giustizia è un errore da non commettere: la legalità presuppone la giustizia, ma quest’ultima ha un significato molto più ampio che richiama il concetto di morale.
Il compito delle leggi è quello di mantenere la coesione e l’ordine sociale, fondamenti della convivenza civile, e di punire con sanzioni chi non rispetta queste leggi, al di là del fine che si intende perseguire categorizzando colui che infrange le regole come un criminale.
Impegno politico e criminalità
La disobbedienza civile viene spesso confusa – talvolta stigmatizzata – con la criminalità. In realtà, la letteratura filosofica e politica distingue queste due diverse forme di infrangere la legge.
Come afferma Hannah Arendt nel suo saggio La disobbedienza civile, il criminale tende a nascondere i suoi atti agli sguardi di tutta la collettività, agisce in segreto e con finalità individuali volte a favorire unicamente il proprio interesse. Il militante che opera la disobbedienza civile, invece, lo fa in maniera manifesta verso il pubblico del quale si ritiene portatore degli stessi interessi, agisce per nome o per conto di un gruppo.
Questa distinzione, sottile ma efficace, permette di mettere alla luce una diversa sfumatura della disobbedienza civile, permettendo all’opinione pubblica di non condannare e censurare chi la pratica, esaltandone le finalità e l’obiettivo che essa si pone.
Disobbedire per migliorare la società
La lotta alla segregazione razziale, i diritti delle donne, la tutela dell’ambiente, i diritti della comunità LGBTQ+, il diritto all’eutanasia, la legalizzazione della cannabis, il diritto alla privacy, sono solo alcuni dei temi che vedono i protagonisti della storia battersi tutt’ora praticando la disobbedienza civile. Questi atti sono, infatti, volti a migliorare la società per promuovere una maggiore giustizia.
La disobbedienza civile è figlia di un’interiorità che contrappone i valori universali a delle violenze particolaristiche. Essa nasce come un fatto puramente soggettivo che spinge gli uomini ad agire concretamente in nome di una moralità che non sempre coincide con la legalità. La disobbedienza civile costa in prima persona. È una pratica che mette in gioco il proprio corpo e la propria coscienza.
Come praticare una disobbedienza civica?
Come insegna Gandhi, la disobbedienza, per essere civile deve essere
Sincera, rispettosa, mai provocatoria, deve basarsi su qualche principio assimilato con chiarezza, non deve essere capricciosa e, soprattutto, non deve procedere da alcuna malevolenza od odio.
Mahatma Gandhi
Nel corso della storia abbiamo sempre assistito al cambiamento: la disobbedienza civile diventa un mezzo importante e necessario per la realizzazione di tale cambiamento quando i canali consueti posti dalla legge non funzionano più.
Penso sinceramente che la disobbedienza civile non sia solo una valvola di sicurezza per i sistemi democratici, ma anche una luce che rischiara una strada nuova e diversa, alla fine della quale, emergono un nuovo modo di fare civiltà ed una consapevolezza diversa che l’uomo ha di se stesso.
Maddalena Petrini