Cultura

Cruelty-free – Luci e ombre nelle etichette dei cosmetici

Cruelty-free

L’etica ambientale sorta di recente in risposta ai cambiamenti climatici sta modificando il nostro modo di pensare: oggi abbiamo una maggiore attenzione a cosa facciamo, a come ci spostiamo, ma soprattutto a cosa acquistiamo.


Sugli scaffali dei supermercati ci sono sempre più prodotti vegetariani e biologici; l’alternativa vegana ad ogni tipo di bene è ormai facilmente reperibile; si chiede maggiore trasparenza e sostenibilità ai grandi marchi della moda low-cost.

Anche il mercato dei cosmetici è stato investito dalla richiesta di prodotti con un più basso impatto ambientale, con ingredienti naturali e una filiera più corta. Sono nati così il marchio cruelty-free, le linee di make-up biologiche e, in anni più recenti, il logo che certifica i cosmetici vegani. È tuttavia difficile comprendere quale scelta sia davvero la più vantaggiosa per il nostro benessere e per l’ambiente.

Il marchio cruelty-free

L’espressione significa letteralmente “senza crudeltà”: non vi deve essere stata alcuna forma di sfruttamento sugli animali durante le certificazioni di sicurezza del prodotto. L’esempio più significativo della campagna cruelty-free è la drastica diminuzione della quantità di topi e conigli tenuti in cattività per diventare cavie in esperimenti scientifici per l’industria della bellezza: anziché su soffici coniglietti bianchi, i test per assicurare la sicurezza dei nuovi cosmetici devono essere realizzati su avanzate tecnologie che replicano la pelle umana. È per questo motivo che il coniglio è il simbolo scelto dai marchi di garanzia cruelty-free più diffusi: la PETA e il Leaping Bunny.

Le problematiche del cruelty-free

Le controversie sul marchio sono però numerose. In primo luogo, la presenza del logo non esclude che il prodotto contenga ingredienti di origine animale, che fanno capo nella maggior parte dei casi agli allevamenti intensivi. In più, le regolamentazioni internazionali in materia sono lacunose e ingannevoli, poiché non obbligano le aziende a eliminare completamente gli ingredienti testati sugli animali, ma impongono loro soltanto di non sperimentarli attualmente su cavie da laboratorio.

È quindi possibile che un prodotto cruelty-free contenga ingredienti che in passato sono stati somministrati a decine e decine di animali per testarne l’efficacia e la sicurezza, anche se al momento di lancio del cosmetico questi test non vengono più praticati.

Un altro enorme limite del marchio è che non è riconosciuto in alcuni Paesi, o meglio, alcuni Stati non accettano di immettere sul mercato prodotti per la cura del corpo se prima questi non vengono certificati da un test compiuto su animali. Il caso più eclatante è la Cina: poche aziende possono – o vogliono – rinunciare al gigantesco e crescente mercato cinese dei cosmetici e perciò, venendo a patti con la filosofia ostentata sulle loro etichette in altri Paesi, eseguono i tanto amati test sugli animali.

I cosmetici vegani sono davvero migliori?

Il marchio vegan garantisce la mancanza assoluta di ingredienti di origine animale all’interno del cosmetico, ma non significa per forza che sia cruelty-free: si evita sì l’uccisione di animali per ottenere gli ingredienti presenti nel prodotto, ma si potrebbe ancora sostenere l’inaccettabile pratica di vivisezione operata sulle cavie, poiché gli ingredienti, in particolare quelli sintetici, potrebbero essere testati in laboratorio su animali vivi. Perciò non si elimina completamente la lunga e atroce catena industriale di sfruttamento animale.

L’altro problema del marchio vegan è che non sempre è sinonimo di biologico, proveniente cioè solo da colture sostenibili.

La scelta tra biologico, vegan e cruelty-free

Il mercato di cosmetici offre quindi diverse alternative per coloro che vogliono impegnarsi in acquisti più consapevoli, anche se spesso, a favore di un abbattimento dei costi e di un più alto guadagno, la trasparenza dell’azienda viene meno.

Come abbiamo visto, il marchio biologico ammette l’utilizzo di ingredienti animali e i test sulle cavie; quello cruelty-free elimina in parte quest’ultimo problema, ma acconsente all’uccisione degli animali per gli ingredienti; il logo vegan è invece il contrario, assicurando l’origine vegetale, anche se non sempre biologica, degli ingredienti, senza però eliminare definitivamente la vivisezione.

Si potrebbe dire che sia impossibile risolvere l’enigma: la scelta migliore è la meno probabile da incontrare sugli scaffali: servirebbe la presenza di tutti e tre i marchi di garanzia per avere un prodotto pienamente sostenibile sul piano etico e ambientale. Per ora una presenza maggiore sul mercato di tali prodotti è un’utopia; ciò che può fare il consumatore etico è comprare l’indispensabile e scegliere solo cosmetici che abbiano almeno uno di questi marchi.

Camilla

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