
Il 25 settembre gli italiani andranno a votare. Tutte le forze politiche si proclamano pronte a dirigere il Paese dopo la capitolazione del governo Draghi. Il quadro è chiaro: la destra, con Fratelli d’Italia al comando, si candida a uscire vincitrice, mentre i partiti di sinistra proveranno a cambiare questo orizzonte – con probabili ammucchiamenti – negli ultimi giorni.
Arriverà una ventata di aria fresca dopo le elezioni? Oppure tutto resterà fermo, con i soliti problemi e le lente conquiste? Leggendo con attenzione il programma elettorale dei vari partiti una cosa però salta subito all’occhio: la lotta alla criminalità organizzata – il flagello più grande del Paese – resta intatta, immacolata, quasi come non esistesse più.
I partiti politici e i loro programmi elettorali
“La Mafia è una montagna di merda”, affermava Peppino Impastato. Con le stesse parole inizia il paragrafo dedicato alla lotta alle cosche nel programma politico di Sinistra Italiana e Verdi. “Riteniamo un nostro nemico chiunque collabori con la criminalità organizzata”, si legge nel testo. Alcune parti del programma dedicate al tema, prevedono dunque una sensibilizzazione in merito alla connessione tra il contrasto alla criminalità ambientale e la transizione ecologica; una coordinazione a livello nazionale delle commissioni ambiente, ecomafia e antimafia; l’attivazione di un sistema di tracciamento GPS dei rifiuti e l’approvazione di leggi contro le agromafie.
Nel programma del Movimento 5 Stelle si leggono solo tre brevi e vaghi punti relativi al contrasto alle mafie, lotta alla corruzione e contrasto alle agro- ed ecomafie. Mentre Fratelli d’Italia, nel suo programma, non fa alcun riferimento al tema. Per quanto riguarda la Lega (programma), poi, su ben 202 pagine, solo due sono dedicate all’antimafia. Infine, Azione e Italia Viva, su 62 pagine di programma, appena mezza tratta come tema la “Sicurezza e Lotta alla Mafia”. Nell'”Accordo quadro di programma per un Governo di centrodestra” (sito), firmato da Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Noi moderati, una riga in un totale di 17 pagine recita: “Lotta alle mafie e al terrorismo”; nient’altro.
Nel programma del Partito Democratico si legge che è “urgente un piano nazionale contro le mafie” e che bisogna “vigilare affinché i fondi del PNRR e gli appalti non finiscano in mano mafiosa” e proporre riforme per contrastare l’affollamento delle carceri.

Il materiale politico predisposto per la lotta alla criminalità è scarso e durante l’attuale propaganda elettorale pochi sono i riferimenti che vanno in questa direzione. Incredibile ad esempio, come in nessuno dei programmi presenti un metodo di contrasto specifico verso la ‘ndrangheta, l’attuale mafia più potente del mondo. La domanda pertanto sorge spontanea: perché i partiti non parlano più di Mafia?
Non vogliono oppure questo è solo un vecchio tema, non più d’attualità? In realtà la mafia porta voti e questo i politici lo sanno.
Omertà
Già alle ultime elezioni del 2018, Rosy Bindi, allora presidente della Commissione parlamentare antimafia, insinuava che potrebbe non trattarsi di una dimenticanza casuale. “Viene il dubbio – affermava – che qualcuno pensi che disturbare la mafia in campagna elettorale possa avere delle conseguenze elettorali. La domanda è: si vuole il consenso vero del Paese o in qualche modo si è anche disposti, magari solo con il silenzio senza scendere a patti, a prendere anche i voti delle mafie? È una domanda cruciale che non possiamo non farci”.
Stando ai dati dell’Associazione “Antonino Caponnetto” ogni giorno del 2021 c’è stato un arresto, un’indagine o un segnale che rivelano quanto sia ancora tentacolare il potere della criminalità organizzata. Le mafie non sono dunque sparite dal nostro Paese, anzi. La maggior parte di questi fatti però non occupano le prime pagine dei giornali nazionali né tantomeno i reportage televisivi.
C’è un’omertà dilagante e prepotente verso il fenomeno mafioso che sempre più spesso cammina di fianco a episodi di corruzione nella pubblica amministrazione. Si corrompe molto di più e questo fa meno notizia di una pistola che spara.

Oggigiorno le mafie compiono molti più reati finanziari: alcune cosche si sono specializzate nella fatturazione per operazioni inesistenti utili a riciclare il denaro sporco dei traffici illegali. Sono mutamenti che hanno portato a un crollo dell’allarme sociale rispetto all’azione delle mafie. Da questo deriva un’errata percezione: nell’immaginario comune il mafioso è Totò Riina, una belva disposta a seminare terrore in giro per l’Italia. Tutto ciò che fuoriesce dal perimetro di questo stereotipo criminale, non è mafioso.
Nessuno uccide, nessuno muore, allora la mafia non esiste più. Così i boss della malavita festeggiano assieme ai loro affiliati.
Cosa succede con la destra al governo?
La domanda è chiara: “cosa accadrà con Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi chiamati a governare il Paese?”. L’orizzonte si profila senza dubbio oscuro. Negli atti del “processo Dell’Utri”, Silvio Berlusconi è definito come “l’imprenditore milanese, (il quale) abbandonando qualsiasi proposito – da cui non è parso mai sfiorato – di farsi proteggere da rimedi istituzionali, è rientrato sotto l’ombrello di protezione mafiosa assumendo Vittorio Mangano ad Arcore e non sottraendosi mai all’obbligo di versare ingenti somme di denaro alla mafia, quale corrispettivo della protezione”.

Un governo con una personalità come quella di Berlusconi è sicuramente difficile da accettare. Chi collabora con l’anti-Stato non può governare.
Tuttavia, non dobbiamo incorrere nell’errore di mischiare le istituzioni con chi in quel momento le rappresenta: esistono esponenti politici legati a salotti malavitosi, questo però non significa che tutti i politici italiani abbiano rapporti con i clan.
Non dobbiamo generalizzare: molti sono coloro che quotidianamente si cementano in questa lotta. Il dramma è che in Italia non si parla al riguardo e che tutto resta fermo ed intatto. Anzi. Spesso proprio coloro che dedicano la loro esistenza a questa lotta finiscono nel mirino delle forze politiche: Roberto Saviano, ad esempio, più volte è stato avvertito che il suo programma di protezione potrebbe essere “alleggerito”.
Tutto nel dimenticatoio?
Qual è dunque la conclusione alla quale giungiamo? Che in Italia viene fatto appositamente sempre meno nel contrasto alle mafie? Che molti politici utilizzano il tema solamente per depurarsi davanti alle telecamere? Probabilmente sì.
La verità è che nel Paese da anni – una riforma organica di contrasto al problema criminale – non viene considerata dalle istituzioni competenti. Certo, contro le mafie non esiste una ricetta magica, capace di sconfiggerla in poco tempo, ma con una visione complessiva del fenomeno e delle modifiche precise all’attuale sistema penale, processuale e detentivo, il percorso sarebbe quello corretto.
Lo scorso gennaio, all’inaugurazione della mostra organizzata dal Direzione Investigativa Antimafia (DIA), Nicola Gratteri affermava: “Vorrei che questa mostra venisse vista non solo dai ragazzi (…), ma io vorrei invece che la vedessero i politici. Vorrei che venissero i parlamentari a vedere questi pannelli, soprattutto quelli iniziali, dove ci sono le stragi, e che li guardassero prima di andare a discutere in aula dell’ergastolo ostativo o dell’ordinamento penitenziario o della legge sui collaboratori di giustizia o su altro”.

L’errore nel quale non dobbiamo incorrere è quello di far cadere tutto nel dimenticatoio. Anche se in Italia preferiamo ricordarci della mafia solo quando la pistola spara e qualcuno cade a terra, morto.
Alessandro Sorrenti