Sono partita nel 2017 per Sapporo e ci ho passato un anno. Sapporo è la quinta città più grande del Giappone, e si trova al Nord, nell’isola dell’Hokkaido. È un luogo freddo, dove ci sono inverni in cui la temperatura può scendere fino a quindici gradi sotto zero. Rispetto a Kyoto o Nara è una città moderna, con pochi resti antichi ma tanta cultura da offrire.
Perché l’ho fatto?
Avevo sedici anni quando ho deciso d’intraprendere questo viaggio. Mi sentivo vuota, triste e insoddisfatta dalla vita che stavo conducendo. Avevo deciso di staccare la spina allontanandomi dalla mia quotidianità ed ho immaginato che avrei tratto beneficio dall’andare in un Paese così lontano.
Pessime motivazioni per partire, lo so, ma l’esperienza mi ha aiutato e mi ha riportata a casa più serena, più sicura e autonoma. Niente può renderti consapevole quanto stare in un Paese che sembra di un altro mondo.
In fondo sì, il Giappone è un altro mondo. Non è Europa, non è Asia, non è Africa, è solo Giappone, un Paese magico. Storicamente la sua scarsa apertura gli ha dato la possibilità di crearsi una cultura unica nel suo genere, sono stati i successivi contatti con l’esterno però a renderla ancora più speciale.
Il Giappone ha mantenuto chiusi i suoi confini fino a due secoli fa , quando, nel 1868, si aprirono per fare spazio ad un epico processo di americanizzazione. In meno di cinquant’anni questa nazione è diventata capo nella cultura di massa ed è tutt’ora un fenomeno globale. Chi non è cresciuto guardando i Pokemon?
Intercultura, le modalità
Sono partita con Intercultura, un’associazione no-profit che permette ai giovani di tutto il mondo di fare un’esperienza analoga alla mia. Ci sono borse di studio, corsi di preparazione e di lingua che forniscono a chi vi partecipa tutto il necessario per partire in tranquillità.
L’esperienza consiste nello spendere il terzo o il quarto anno di liceo in un Paese straniero a scelta. Arrivato lì starai in una famiglia ospitante non pagata; si tratta di una famiglia che sceglie di ospitarti senza secondi fini come invece succede talvolta quando c’è una ricompensa di mezzo.
La mia esperienza con la famiglia ospitante
Il mio rapporto con la famiglia è stato unico e speciale ma in molti non possono dire di aver avuto un’esperienza altrettanto positiva,, in fin dei conti non tutti siamo uguali e non tutti siamo compatibili.
Io sono stata fortunata. La mia famiglia era composta da una mamma, un papà, due sorelle, un fratello, e un cagnolino. Erano degli appassionati dell’Occidente, e in particolare dell’Italia, quindi mi hanno subito accolta con affetto e curiosità.
C’era la barriera linguistica a impedirci di comunicare all’inizio, ma entrambi i lati si sono impegnati per non renderla un muro invalicabile. Google traduttore alla mano e una parola biascicata dopo l’altra siamo riusciti a creare un legame che dura tutt’ora.
Di grande aiuto sono stati i due fratellini più piccoli. Il gioco è universale, e non ha bisogno di parole. Grazie a loro sono stata felice nonostante non potessi parlare. Mi sono sentita accettata e amata ogni volta che insistevano per giocare con me. Se avevo avuto una brutta giornata a scuola, loro c’erano sempre, pronti con un sorriso a tirarmi su di morale, pur non sapendo cosa effettivamente non andasse.
L’apprendimento, la lingua e la scuola
Intercultura ti iscriverà ad una scuola del Paese in cui frequenterai le tue lezioni. Se i corsi sono più o meno simili a quelli della scuola da cui provieni allora potrai portare indietro la tua pagella, ma non è il caso del Giappone.
La lingua giapponese è estremamente difficile da imparare per un italiano e arrivare in un anno ad un livello tale da poter seguire le lezioni scolastiche è un’impresa epica riservata solo a pochi geni o a chi ha già studiato in passato. Se si vuole fare questa esperienza, bisogna prepararsi ad un buon numero di verifiche al ritorno in Italia, ma ancora più difficile è rassegnarsi a trascorrere gran parte della propria giornata chiuso in una stanza ad ascoltare suoni incomprensibili.
Questo è stato il mio caso. Tuttavia, c’è da dire che la mia scuola in Giappone non era attrezzata per ospitare studenti stranieri. So però di altre realtà che invece hanno offerto corsi di lingua in alternativa alle classiche lezioni. Sta tutto a discrezione del fato.
Shock culturale
Come ho già anticipato, Intercultura offre dei programmi di training pre-partenza che ti mettono nelle condizioni di questionare la tua scelta e di capire realmente quello che andrai a fare.
Uno dei ricordi più forti che ho di quell’esperienza consiste nel tentativo di farci comprendere che le culture culinarie sono diverse e che non avremmo avuto il diritto di lamentarci o pretendere piatti a noi più congeniali. Siamo stati invitati ad un pranzo in cui a cucinare erano dei volontari con l’incarico di prepararci un piatto tipico del Paese in cui avevano precedentemente trascorso l’anno fuori.
Non a caso i volontari scelti provenivano da esperienze in Paesi distanti anni luce dal nostro, Paesi dalle pietanze e dai sapori lontani dai nostri . Alcuni erano buoni, altri immangiabili, ma la sfida era buttare giù tutto, senza discriminazioni, era l’unico modo per ottenere il lascia passare per tornare a casa. Durò tanto, circa fino alle cinque-sei del pomeriggio, perché alcuni di noi non riuscivano a superare le proprie barriere culturali; ma alla fine eravamo pronti a partire.
Ovviamente ci misero in condizioni estreme per abituarci a qualcosa che forse sarebbe successa una volta in un anno. Io, personalmente, amai tutto quello che mi misero nel piatto, e se c’era qualcosa che apprezzai di meno trovai persone abbastanza sensibili da capirlo e non propormelo più. Per il resto, questi programmi di adattamento erano finalizzati a farci capire una sola cosa: “Non esiste niente di sbagliato, esiste solo ciò che è diverso.”
Lo rifarei?
Sì, lo rifarei. Mille volte. È stato difficile, impegnativo, ci sono stati pianti, risate, scherzi, cose che ho odiato, persone da cui sono stata odiata, ma ne è valsa la pena al cento per cento.
Se mai vi troverete in condizione di scegliere se partire o no per un’esperienza analoga alla mia, partite. Partite perché non vi capiterà più un’occasione del genere. Potete viaggiare, fare i turisti, magari anche andare a lavorare in un Paese straniero, ma non scoprirete la vita in famiglia, o la scuola, o quello che fanno i giovani in un posto diverso dal vostro.
È come vivere una seconda vita. Sapere che esiste solo il diverso, non lo sbagliato, vi illuminerà il mondo. Non lasciatevi scoraggiare dalla paura: partite.
Sara Conciatori
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