Cultura

“Lanny”, di Max Porter – Arrivò il suono di un canto

Lanny 1

Cos’è “Lanny”? Una filastrocca per adulti, un thriller enigmatico? Si potrebbe definire leggerezza commista con dolore e mistero. Un libro che palesa la verità della vita e la falsità delle convenzioni sociali. La rivendicazione della terra e di ciò che le appartiene: la purezza, l’incontaminato.


La storia di un legame con la terra

Lanny (Sellerio, 2019), candidato al Booker Prize, è un libro dallo stile innovativo, capace di lasciare i suoi lettori perplessi dopo una prima lettura.

Il protagonista è Lanny, un bambino strano, che conserva ancora un candore tale da consentirgli di essere più in contatto con l’essenza della natura. Non ancora condizionato dalle diavolerie tecnologiche dell’epoca odierna, per lui il gioco consiste ancora nell’avventura a cielo aperto.

Un giorno, tuttavia, Lanny scompare, lasciando dietro di sé una scia di preoccupazione e paura.

Il romanzo è diviso in tre parti, ognuna frutto di un grande sperimentalismo linguistico che contribuisce a creare un’atmosfera magica e fiabesca. Vige costante il non-detto, reso graficamente da spazi bianchi che noi, in quanto lettori, dovremmo essere in grado di riempire. Tuttavia, la verità è che, per la maggior parte del tempo impiegato nella lettura, non sappiamo bene cosa pensare.

L’uomo d’edera

La prima parte si apre con il punto di vista di un personaggio enigmatico: Fanghiglio Frondoso. Il suo modo di parlare, o pensare, ricorda una sorta di Gianni Rodari tormentato: una filastrocca concepita per gli adulti, colma di allitterazioni e giochi di parole. Il font in grassetto, caratteristico del personaggio, fa pensare a una voce sotterranea, profonda e baritonale, che emerge dalle profondità della terra.

Non è ben chiaro chi o cosa sia Fanghiglio Frondoso; tutto, a partire dal nome, fa pensare a un albero secolare, legato al terreno di questa cittadina inglese da molto tempo. Ancora, si vocifera di un leggendario uomo fatto di edera, che è nato in quel posto come Puer Frondoso.

Scorre dentro loro come l’acqua. Animale, vegetale, minerale […] In questo posto è vecchio quanto il tempo.

Poi, diventa evidente come possa penetrare in ogni anfratto di ogni casa, raggiungere e sentire chiunque. A Fanghiglio piace ascoltare le conversazioni degli uomini: capta alcuni frammenti, e li riporta in corsivo e in righe ondulate, sovrapposte. Per la maggior parte si tratta di parole rozze, che sanno di nuovo millennio, di prepotenza e di plastica.

Gli piace ascoltare in modo quasi perfido, desidera in un certo qual modo farsi beffe di tutti, nel loro delirio. Questo essere “biologico” è sensibile e insensibile allo stesso tempo: sensibile in quanto terra, radici; insensibile perché indifferente a ciò che lo circonda.

L’unica voce che gli giunge nitida e amabile è proprio quella di Lanny, con i suoi canti quasi ancestrali e il suo orecchio portato per sentire le voci degli alberi. Questo piccolo uomo sembra infatti capire davvero Fanghiglio, come fossero due creature alla pari. E Fanghiglio tende sempre più verso di lui, anela ad averlo.

Lanny

Lanny più che un semplice bambino sembra una sorta di oracolo, che dice cose indecifrabili. Talvolta pronuncia domande o affermazioni che non si addicono a una persona della sua età, come quando chiede al padre “Secondo te che cos’è più paziente, un’idea o una speranza?”. Sembra allacciato alla terra, parla una lingua che gli alberi sono in grado di comprendere. Pare connesso con gli atomi della terra, come se riuscisse a disgiungerli e da ognuno di essi percepisse e gli si rivelasse una cosa diversa del mondo.

Tuttavia, forse è il nostro punto di vista ad essere sbagliato, e Lanny in realtà appare così peculiare perché ci siamo dimenticati come sia vivere in modo naturale e puro. Forse, come dice Peggy – una vecchia compaesana – lui è “un vero bambino umano”. Lanny parla con gli alberi, li ascolta, e apprende verità profonde, che nemmeno i genitori sono in grado di comprendere: per loro “Lanny è tutto nella sua testa”.

Io sono milioni di fotocamere, anche mentre dormo, scatto, scatto, in ogni secondo qualcosa cresce e cambia. Siamo piccole scintille arroganti in uno schema grandioso.

Jolie, la dolcezza e la violenza

Jolie, la madre di Lanny, è una donna pacata, dolce, che ama il figlio e cerca di appoggiarlo nei suoi pensieri stravaganti. Una volta faceva l’attrice, ora scrive romanzi thriller, intrisi di violenza. Apparentemente la violenza sembrerebbe non addirsi a una donna come lei, ma pian piano ci si rende conto che può assomigliare a uno dei personaggi dei suoi libri. Tanto dolce e pacata ma capace di brandire un coltello, fare a pezzi un piccolo animale, e sentirsi bene con se stessa.

Una delle qualità di Max Porter è proprio quella di consentirci di conoscere i personaggi attraverso i loro pensieri e le loro azioni, dando poco rilievo al discorso diretto.

Sensibile alla luce, lo definirei. Il tipo di persona che, rispetto alla maggior parte della gente, è un po’ più simile all’aria che respiriamo, una donna che appare più ovviamente composta degli stessi atomi della terra di quanto si senta di norma negli altri. E questo spiega Lanny.

Robert, il materialista paranoico e Pete, l’artista

Il padre Robert, al contrario, pensa in modo quasi paranoico, tutto nei dettagli, sempre di fretta. Anche lui ama il figlio, ma con malcelata vergogna, perché in fondo Lanny è un “mattocchio”. Robert è il prototipo della modernità, è come l’automobile ruggente di Marinetti, è il pendolare di corsa, l’imprenditore materialista.

E poi c’è Pete, l’artista che tutti chiamano “il Pazzo”, l’unico che riesce ad accostarsi veramente a Lanny, grazie alle lezioni private di disegno. L’artista e il bambino sono due emarginati, due persone che vivono più “dentro la loro testa” che al di fuori, e trovano nel disegno una forma di comunicazione (di fatto, il libro può essere inteso anche come una storia di amicizia). Il carboncino sarà uno dei filtri di Lanny per vedere il mondo. Tuttavia, nel momento in cui Lanny sparirà, dall’alto della loro ipocrisia, gli abitanti accuseranno per primo proprio il suo vecchio maestro.

Lo stile e le voci

Nella seconda parte i punti di vista dei vari personaggi non sono introdotti da una didascalia. Le voci sono divise solamente da segni grafici, cosa che accentua la confusione del momento. Jolie si alza una mattina, e Lanny non è nel suo letto nè nel suo giardino. Capita di frequente che Lanny sparisca senza che nessuno sappia la sua collocazione, per questo inizialmente la madre non si spaventa. Tuttavia col passare delle ore diventa sempre più chiaro che Lanny non tornerà.

Le voci che Fanghiglio Frondoso sentiva, confuse, sovrapposte e agitate nella prima parte, ora, in questa seconda, vengono come liberate e messe sulle stesso piano di quelle dei personaggi principali. Si sentono le parole ipocrite di tutti coloro che avevano sempre guardato dall’alto in basso la famiglia di Lanny, e avevano sempre considerato il bambino come uno strambo. Ora tutti si mostrano preoccupati, anche i telegiornali.

Nella terza parte non ci sono più nemmeno i segni grafici a dividere le varie voci, le quali si susseguono l’una dopo l’altra come in un flusso di coscienza (o come in un canto polifonico). Non c’è più confusione, solo fretta. La fretta di giungere al cosiddetto Gran Finale. Ognuno ha immaginato per Lanny un finale diverso e i loro sogni inquieti, in cui l’uomo d’edera prende le redini del gioco– quasi una sorta di Uomo della sabbia di Hoffman – li mostrano in tutta la loro nuda verità.

L’ambiguità del romanzo

Lanny può essere letto in modi diversi tanti quanti sono i lettori e quante sono le idee. Io vi ho visto la rivendicazione della terra: una terra spettatrice attenta e maliziosa, ma concupiscente e che non rinuncia, una volta tanto, a svelare il vero volto dell’uomo e di questa nuova epoca. Questo è un romanzo inquietante fin dalle prime pagine, aperto dalla figura di questo essere “biologico”, non ben definito. Forse albero, forse radici, forse la natura tutta.

Lanny ci riporta all’infanzia, quella fatta di arrampicate sugli alberi e di ginocchia imbrattate di verde, ma non solo; è capace di risvegliare qualcosa che va ancora più indietro nel tempo, più del folklore e della fiaba. Tutto questo spazio bianco dato al lettore viene colmato con mille domande, che sono il contrario della chiarezza e dell’ordine.

L’ambiguità di questo romanzo lascia turbati: una scrittura avanguardista e geniale, o sovvertiva e criptica? Forse il libro non deve essere letto con l’intelligenza, ma proprio con le emozioni, come si legge una poesia.

Nessuna interpretazione corretta o sbagliata

Lo stesso Max Porter, in un video di ringraziamento per l’edizione italiana, ha dato alcune spiegazioni. Afferma, a partire da Fanghiglio Frondoso: “è un personaggio mitologico, che forse riconoscerete: presente in molte tradizioni, potrebbe essere “L’uomo verde” o “Lo spirito della foresta“, o una metafora del collasso ambientale, o potrebbe essere finto, un essere immaginario. Questi sono tutti spunti di riflessione per il lettore. Il libro, spero, è un’opera molto collaborativa tra lettore e testo, presenta molte ambiguità: nessuna risposta, solo domande“.

La barba del vecchio e l’edera e il muschio, hanno cent’anni tra il lusco e il brusco. Il mondo non è in rovina se ci sei piantato. Gli alberi lo governano. La pioggia scroscia intorno a me, mi scorre addosso. Sono fatto di foglie che crescono e dura selce, faccio scorta di sole nella mia corteccia, invisibile.

Blu Di Marco

(In copertina e nell’articolo Antoine PERIER da Unsplash)

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