La pandemia da Covid-19 degli ultimi due anni ci ha indotti a sperimentare nuovi metodi di comunicazione anche e soprattutto in ambito educativo. Di necessità si è fatta virtù; la didattica mista oltre a scongiurare qualsiasi eventualità di contagio, ha consentito un risparmio di denaro, tempo ed energie a tutti. Ora che la pandemia ha rallentato il suo corso il ruolo della didattica mista è al centro di un dibattito.
La sessione estiva all’Università di Bologna si avvia al termine e, per la prima volta negli ultimi due anni, tutto sembra normale. Gli studenti ripassano nei corridoi, aspettando il loro turno, e gli insegnanti fanno di nuovo l’appello in aula, sfidando l’afa bolognese. Con la fine dello stato di emergenza, dichiarato nel marzo 2020 per fronteggiare l’emergenza Covid-19, infatti, l’Ateneo ha deciso di riportare tutti in presenza.
Dal 1° giugno, dunque, è possibile sostenere gli esami e la prova finale da remoto solo in casi eccezionali (es.: positività al Covid) e affidandosi alla flessibilità dei singoli docenti. Tuttavia, il tanto atteso ritorno alla normalità (a spese della didattica mista) non ha soddisfatto proprio tutti.
Pendolari, lavoratori, caregiver: tutti gli orfani della didattica mista
Il 5 giugno 2022 un gruppo di studenti dell’Università di Bologna ha lanciato una raccolta firme. Il loro documento, eloquente fin dal titolo (“Manifesto per il mantenimento della didattica ibrida”), chiede all’Ateneo di non abolire la modalità blended, utile soprattutto a studenti lavoratori, pendolari, caregiver e persone con problemi di salute che altrimenti rischiano di non poter completare gli studi (avevamo già parlato del “popolo” della DAD in questo articolo).
In tre giorni l’iniziativa ha raccolto più di 1300 adesioni, salite, secondo la Repubblica, a oltre 1850 nel giro di una settimana. A questo progetto si aggiunge la richiesta, avanzata da un secondo gruppo di studenti, di consentire anche gli esami a distanza.
Una testimonianza concreta
Gianluca, 25 anni, laureando in Antropologia, è tra i promotori della seconda istanza. Insieme a 180 colleghi, ha preparato un documento che chiede alla governance dell’Ateneo di aprire un tavolo di discussione sulle modalità didattiche e di esame, riattivando la didattica mista almeno per alcune categorie. Alla fine di maggio l’appello è stato inviato “a tutti i membri del Senato Accademico, compreso il rettore“, spiega Gianluca, ma “nessuno ha risposto alla nostra mail, nemmeno il Garante degli studenti.
Alcuni ragazzi hanno contattato individualmente i professori, ma anche in questo caso non abbiamo avuto risposte, se non ideologiche. La loro idea è che, terminato lo stato d’emergenza, bisogna tornare in presenza perché l’università è fatta dalla frequenza, dal rapporto tra studenti e professori. Però questo rapporto è logorato da decisioni unilaterali che non tengono conto delle necessità degli studenti”.
La DAD a Bologna è morta e sepolta?
Il rettore dell’Università di Bologna, Giovanni Molari, non ha fatto mistero di essere fermamente contrario alla modalità blended. In un’intervista alla Repubblica è stato categorico sul prossimo anno accademico: “Da settembre si torna in presenza, non rimarrà nemmeno la didattica mista […]. Il ritorno in presenza significa non generare studenti di serie A e B con quelli che si possono permettere di vivere a Bologna nelle aule e gli altri, che non se lo possono permettere, collegati da casa”. Peccato che non tutti gli studenti siano d’accordo con lui.
“Affiancare la didattica online a quella in presenza è uno strumento che serve a tutelare il diritto allo studio di tutti”, si legge nel Manifesto, che giudica “totalmente indifferente verso le minoranze, gli ultimi e le fasce in difficoltà” la decisione di riportare tutti in aula.
Anche le ultime novità annunciate dall’Ateneo non incassano un pieno sostegno. “Ho letto che si attiveranno, su adesione volontaria dei professori, dei corsi sperimentali con didattica mista” prosegue Gianluca. “Ma è inutile, la sperimentazione è già stata fatta in due anni di Covid. Poi ci saranno dei contributi per gli affitti, per alcuni studenti esclusi dai benefici Ergo, ma non basta.
I contributi previsti sono 600, ma gli affitti a Bologna sono esorbitanti e gli studenti che hanno necessità sono molti di più. Si tratta solo di azioni che l’Università fa per ‘lavarsi’ l’immagine”.
Quanti a favore della didattica mista?
Stimare quanti studenti, tra i 90.291 iscritti a Bologna nell’anno accademico in corso, siano favorevoli alla didattica mista non è facile. Le due iniziative che abbiamo raccontato hanno raccolto circa 2000 adesioni, ma è impossibile stabilire quanti, pur non avendo partecipato attivamente a questi o altri progetti, supportino la causa. In ogni caso, il dibattito sul futuro della didattica mista resta aperto ed è destinato a dividere le università italiane. A soli 40 chilometri da Bologna, ad esempio, l’Università di Modena e Reggio Emilia manterrà, per alcuni corsi, la didattica mista.
Sara Bichicchi
(In copertina Tim Gouw da Unsplash)
Per approfondire:
- «Non togliete la DaD all’università, è inclusiva» – Intervista ad Arianna Atzeni (UNIDAD)
- Studenti vs prof, a Bologna la didattica mista divide – Intervista a Stefano Dilorenzo (rappresentante degli studenti)
- Lavoratori ma non solo, ecco il popolo dei pro DaD (UNIDAD)