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Il cervello, questo sconosciuto – 4 opere sulla nostra centrale elettrica


Ogni mese suggerimenti, consigli e recensioni di opere d’arte di ogni genere che permettano di aprire una visione ad ampio campo su un argomento scientifico. Ogni mese sarà un’occasione di approfondimento, un punto di vista in più per arricchire la nostra idea di Universo. Sarà un grandangolo, un obiettivo da 8 mm aperto sul mondo della Scienza.


La Giornata mondiale del Cervello

Il 22 luglio si celebra la Giornata mondiale del Cervello, istituita dalla World Federation of Neurology e giunta quest’anno alla sua nona edizione. L’iniziativa, promossa dalle menti più brillanti nel campo della Neurologia e delle Neuroscienze, mira a sensibilizzare la comunità scientifica su problemi di salute pubblica e necessità di ricerca e promuove obiettivi di cura e prevenzione per le più rilevanti patologie neurologiche. 

Il tema scelto per il 2022 è Brain Health for All, articolato in cinque messaggi chiave da diffondere tramite iniziative a livello globale e attraverso il webinar che è tenuto online proprio il 22 luglio, con ospiti professori di fama mondiale. 

I cinque messaggi chiave, chiaramente riportati sul sito della federazione, sono: Awareness (la salute del cervello è vitale per il benessere mentale, sociale e fisico), Prevention (la maggior parte delle patologie cerebrali sono prevenibili), Advocacy (è necessario uno sforzo globale per raggiungere un’ottima salute del cervello), Education e Access (un’educazione accessibile a tutti e un’equa disponibilità di risorse, trattamenti e riabilitazione sono cruciali per la salute cerebrale). 

Dal 2014, nelle passate edizioni dell’evento, altri temi affrontati sono stati: la Sclerosi Multipla, una patologia infiammatoria demielinizzante del SNC e altamente invalidante che oggi affligge 1 milione di persone tra i 35 e i 68 anni; il Parkinson, malattia neurodegenerativa causa di demenza sottocorticale e di cui ancora conosciamo poco relativamente a eziologia e decorso; Emicrania, un disturbo cefalgico primario molto diffuso nella popolazione generale; ed Epilessie, sindromi complesse, la cui classificazione è in continua evoluzione sia da un punto di vista eziologico che semeiologico.

Anatomia del cervello

La Giornata Mondiale del Cervello, oltre che un’opportunità di educazione e sensibilizzazione, è anche un’occasione per celebrare questo meraviglioso motore che sostiene tutto l’organismo umano.

Da un punto di vista anatomico, è bene fare qualche precisazione. Quello che comunemente chiamiamo cervello è in realtà solo una piccola parte del nostro Sistema Nervoso, in particolare quella identificata come “telencefalo” e costituita da due emisferi. 

Facendo un passo indietro, possiamo innanzitutto suddividere il Sistema Nervoso in due grosse componenti:

  • Il Sistema Nervoso Centrale (SNC), o nevrasse, contenuto all’interno di involucri ossei (tutto ciò che si trova all’interno della scatola cranica, della colonna vertebrale e dei foglietti di rivestimento meningeo). Ha il compito di elaborare le informazioni afferenti (in entrata, dalla periferia del corpo verso il centro) sensitive, integrandole con le informazioni già acquisite e quindi di produrre le risposte efferenti (cioè in uscita, di movimento o reazione). Il nevrasse è costituito da varie formazioni in continuità anatomica e funzionale tra loro. La parte finale del SNC è il midollo spinale, contenuto nel canale vertebrale, che è direttamente collegato con l’encefalo, contenuto nella scatola cranica.
  • Il Sistema Nervoso Periferico (SNP), costituito invece da tutti gli elementi che ne assicurano il collegamento (afferente ed efferente) con il resto dell’organismo.

Quindi, per fare una suddivisione generale, senza entrare in ulteriori dettagli, il sistema nervoso centrale è composto da: midollo spinaletronco encefalico (diviso in senso caudo-craniale in bulbo, ponte e mesencefalo), cervellettodiencefalo e telencefalo

Quest’ultimo è diviso in due emisferi (destro e sinistro), uniti dal corpo calloso, un corpo biancastro e rigido fatto di fibre associative (se assente, per patologie congenite come la sindrome di Dandy-Walker, impedisce una comunicazione efficace tra i due emisferi). La superficie del telencefalo è molto estesa e pertanto, per non occupare un eccessivo volume, si piega più volte su se stessa, dando luogo a circonvoluzioni, separate tra loro da solchi. I solchi permettono la suddivisione del telencefalo in lobi (frontale, parietale, temporale e occipitale in senso antero-posteriore; come quinto possiamo ricordare il lobo dell’insula, più profondo e interno). 

Embriologia del cervello

Lo sviluppo embrionale del cervello inizia intorno alla 23^ settimana di gestazione, quando si riconoscono le prime colonne di neuroni nelle varie cortecce cerebrali. Giunge poi al termine del suo sviluppo alla 40^ settimana, presentando un peso alla nascita di circa 500 grammi. Il cervello continua a svilupparsi durante l’accrescimento, raggiungendo un peso di 1250-1500 grammi nell’adulto. Il cervello costituisce un 2% del nostro peso corporeo, ma riceve il 20% della gittata cardiaca e usa un 20% dell’ossigeno presente in circolo e un 25% del glucosio disponibile: è un organo fondamentale, dal metabolismo energetico elevatissimo.

Da un punto di vista embriologico, il Sistema Nervoso origina da una struttura definita tubo neurale, su cui si forma la cresta neurale, che si comporta come una sorta di tovaglia. Queste due strutture hanno la stessa origine cellulare, ma caratteristiche diverse: il tubo tenderà a rimanere in posizione centrale, senza muoversi; mentre la cresta neurale contiene le cellule che migrano. Ciò è riconducibile alla suddivisione di un sistema nervoso centrale e uno periferico: il tubo neurale andrà a costituire il SNC e la cresta formerà il SNP.

La crescita avviene in maniera centrifuga: le struttura presenti al centro sono quelle più antiche; al termine dello sviluppo, dentro al tubo rimarranno piccoli spazi, denominati ventricoli, occupati dal liquido cefalo-rachidiano. Questo liquido, un fluido dinamico e metabolicamente attivo, non si trova solamente dentro, ma anche fuori dal SNC, e forma un film liquido che avvolge tutto il SNC, con una fondamentale funzione di protezione meccanica. Se avessimo solo la protezione ossea, senza quella liquida, basterebbe una corsa di 100 metri per distruggere il SNC. Il cervello ha la consistenza di una poltiglia: il tessuto nervoso è estremamente fragile. Ed è il tessuto che resiste meno all’anossia: 15 minuti senza ossigeno e le cellule nervose muoiono.

I neuroni

Dal punto di vista cellulare, il neurone rappresenta l’unità funzionale di base del SNC, il cui ruolo è quello di trasmettere gli impulsi (ossia, ricevere e trasmettere informazioni). I neuroni hanno dimensioni e forme variabili a seconda della corteccia considerata, ma hanno tutti una struttura di base in comune: presentano un corpo neuronale o soma, dove è presente il nucleo e grossa parte del citoplasma e da cui derivano dendriti multipli – piccole protrusioni che rappresentano la via di ingresso degli impulsi -, e un assone, che è la via di uscita dell’impulso. Importante ricordare che l’assone è avvolto dalla guaina mielinica, che si interrompe nei nodi di Ranvier: questa organizzazione aumenta la velocità di trasmissione dell’impulso permettendogli di saltare da un nodo all’altro.

La fisiologia dei neuroni è un argomento talmente complesso, che richiederebbe una trattazione a parte, è però importante ricordare che gli impulsi nervosi non sono altro che segnali elettrici generati da flussi ionici e differenze di carica tra un lato e l’altro della membrana cellulare. E tutto avviene con una precisione incredibile, con sistemi di sicurezza e controlli multipli, per evitare errori (che sono quelli da ricercare in caso di patologia). 

I neuroni costituiscono l’impalcatura del SN, creano una densa rete di messaggi e sfruttano mediatori chimici per inoltrare informazioni in prossimità o a distanza: i neurotrasmettitori (tra i più famosi ricordiamo l’adrenalina, la dopamina, serotonina o l’acetilcolina), ognuno con le proprie specificità e funzioni. 

Altre cellule

Oltre ai neuroni, nel cervello troviamo una serie di altre cellule: gli astrociti, la microglia e gli oligodendrociti. Ciascuna di queste cellule svolge una funzione specifica: 

  • L’oligodendrocita è fondamentale per la mielinizzazione (ossia per rivestire di materiale lipidico e in parte proteico le fibre nervose) dell’assone all’interno del SNC; 
  • Gli astrociti sono importanti per l’integrità barriera ematoencefalica (una membrana meccanica specializzata che separa i vasi dal parenchima cerebrale e filtra le sostanze in ingresso, mantenendo l’omeostasi e proteggendo il cervello da sostanze estranee presenti nel sangue) e soprattutto per la nutrizione del neurone, perché rappresentano un collegamento tra il neurone e i vasi; 
  • La microglia ha una funzione di sostegno e di difesa

Fisiologia del cervello

Nel complesso, il cervello può quindi essere descritto come una centralina elettrica che manda e riceve segnali, integra ed elabora informazioni e coordina il funzionamento di tutto l’organismo. La sua funzione è così fondamentale da aver portato nei secoli alla ridefinizione clinico-scientifica del concetto di morte. In passato il cuore era ritenuto l’organo fondamentale, quello che pompa sangue e ci mantiene in vita e la morte era definita in base all’arresto del circolo e del respiro, come qualcosa di ben chiaro e non controverso. Lo sviluppo della medicina contemporanea ha portato a introdurre il concetto di “morte cerebrale”. Oggi in Italia, con una modifica di legge del 1993, la morte “si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo” (legge n. 578/93 art 1).

Le patologie del cervello

Parliamo di patologia quando la funzione o l’anatomia di un tessuto o di un organo non corrisponde più alla situazione fisiologica. Le patologie del cervello sono oggetto di studio della Neurologia. 

Da un punto di vista epidemiologico, le più rilevanti e diffuse sono le malattie cerebrovascolari (come ictus o emorragie, che coinvolgono i vasi ematici della circolazione cerebrale), seguite da cefalee ed emicranie. Al terzo posto si trovano le demenze e le epilessie

Altre patologie rilevanti sono sicuramente i traumi cranici e i tumori cerebrali.

Tutte queste condizioni sono potenzialmente mortali e dagli effetti invalidanti; a renderle tali è il fatto che recano danno a un organo vitale e da cui dipendono funzioni fondamentali come la motricità del corpo, la sensibilità, il linguaggio, l’udito ecc.

Le patologie del cervello sono un problema di rilevanza medica e sociale. Consideriamo ad esempio i traumi cranici. I picchi di incidenza sono due: il primo in giovane età, tra i 20 e i 30 anni, associato a incidenti stradali e traumi sportivi; il secondo in età avanzata, tra i 70 e gli 80 anni, dovuto perlopiù a cadute accidentali per problemi di marcia, equilibrio o disturbi artrosici. I traumi cranici sono la prima causa di morte tra i giovani negli Stati Uniti

L’ictus è la terza causa di morte nei paesi occidentali e la prima di invalidità permanente: in Italia si registrano 186.000 nuovi casi all’anno; di questi un 20% muore entro un mese dall’accidente cerebrovascolare, un 30% sopravvive ma con esiti gravemente invalidanti e conseguenti elevati costi sociali. Per quanto riguarda demenze e malattie neurodegenerative i numeri (con una prevalenza di 25,6 milioni di casi nel 2010) sono destinati a crescere, visto l’aumento dell’aspettativa di vita media e il progressivo invecchiamento della popolazione.

La complessità del cervello

Il cervello è un organo complesso, carico di fascino e mistero. La sua complessità ha fatto sì che per secoli le conoscenze in ambito neurologico fossero molto limitate: diversamente da altri organi e apparati, il Sistema Nervoso non permette un’osservazione diretta e una comprensione intuitiva. Osservando il fegato è facile descriverne la morfologia, analizzandone i tessuti e la doppia vascolarizzazione le sue funzioni sono lampanti: un grosso filtro che depura il sangue e lo arricchisce di proteine. Per il cervello non è così. 

L’ambito delle neuroscienze è uno dei più prolifici campi di ricerca degli ultimi anni. Studi di biologia molecolarebiochimica e genetica contribuiscono di giorno in giorno ad ampliare le nostre conoscenze sul cervello. I materiali e le tecniche di studio sono sempre più avanzati, permettendo di studiare sia le singole cellule nervose che il funzionamento complessivo dei fenomeni emergenti del cervello tramite metodiche di neuroimaging.

Il cervello è un laboratorio infinito, pieno di piccole stanze, angoli bui e anfratti da indagare. Ciò che più attrae di questo universo neurologico sono le possibilità ancora tutte da esplorare, le scoperte da fare e le nuove informazioni da acquisire. E la cosa più spettacolare è proprio osservare un cervello umano che cerca di studiare e comprendere se stesso. Una vera meraviglia.

I miei consigli

1. Le guarigioni del cervello. Un libro di Norman Doidge (Adriano Salani Editore, 2015). 

Il sottotitolo dell’ultimo libro di Norman Doidge, psichiatra, psicanalista e scrittore canadese, cita “Le nuove strade della neuroplasticità: terapie rivoluzionarie che curano il nostro cervello”. È abbastanza auto esplicativo. L’autore, dopo aver pubblicato Il cervello infinito, saggio che sviscera le maniere il cui il cervello è in grado di modificare se stesso, torna a parlare di neuroscienze e plasticità cerebrale

La plasticità corticale è la capacità dei circuiti cerebrali di essere plasmatimodulati e modificati nel tempo dall’esperienza personale e nell’interazione con l’ambiente circostante. È massima nei primi mesi di vita, ma permane parzialmente anche in età adulta. I circuiti cerebrali, infatti, vengono primariamente cablati sulla base di istruzioni genetiche, in quanto i geni determinano, durante la vita intrauterina, la definizione della struttura del cervello e di tutte le connessioni in esso presenti.  Dopo la nascita, vengono poi rifiniti e migliorati, al fine di renderli massimamente adatti all’interazione con l’ambiente. Questo spiega come, di fatto, le rappresentazioni corticali possano essere modificate nel tempo dall’interazione e dal contatto con l’ambiente esterno.

Il neuroscienziato Michael Merzenich fu il primo a compiere ricerche a riguardo, effettuando svariati esperimenti sulle scimmie tra la fine degli anni ’80 e i primi 2000, studiando in particolare le alterazioni della normale rappresentazione corticale delle dita della mano al variare delle afferenze sensoriali provenienti da esse, in seguito ad amputazione o esercizio ripetuto

Lo stesso avviene nell’uomo. Le connessioni neuronali sono plastiche, sono una rete in continuo movimento e adattamento all’ambiente esterno. Questo sistema di modifica e ricablaggio è fondamentale in seguito ad un insulto patologico per il recupero di funzioni cerebrali che appaiono inizialmente perdute. Il sistema nervoso ha una capacità incredibile di “re-inventarsi” per sopperire alle funzioni delle aree danneggiate da un ictus, da un trauma o da una degenerazione cellulare. 

Ne Le guarigioni del cervello, Doidge riporta suddivisi per capitoli i casi più affascinanti di plasticità cerebrale. Attraverso studi di medicina non “ufficiale” e canonica, studiosi e medici di ogni angolo del globo hanno sviluppato metodi alternativi di guarigione e recupero funzionale

Doidge racconta di Moskowitz, che scopre come “disimparare” il dolore cronico attraverso un duro allenamento di ri-mappaggio corticale: deviando le connessioni responsabili del dolore neuropatico verso altre funzioni, come la visualizzazione e la ricostruzione di immagini mentali, la sensazione dolorosa a poco a poco scompare. Racconta poi la meravigliosa storia di John Pepper, malato di Parkinson che reimpara a camminare e a controllare i sintomi motori extrapiramidali con la sua tecnica conscia, scardinando tutti gli automatismi corporei. E ancora la storia di Moshè Feldenkreis, che usa la consapevolezza mentale e il movimento per trattare le conseguenze drammatiche di ictus e patologie congenite. Si parla poi di guarigioni con la luce e con lo sport, di reset cerebrale e trattamenti neuroplastici. 

La scrittura di Doidge è chiara e coinvolgente. Da vero studioso scientifico, non c’è riferimento bibliografico che non venga citato: gli articoli e gli esperimenti riportati sono tutti rintracciabili e consultabili, per i più appassionati. 

  • Le guarigioni del cervello è un libro che sembra parlare di fantascienza, ma che di fatto descrive ricerche e risultati reali e dimostrabili. Difficili da credere, ma sorprendentemente possibili. 
  • È un libro che tratta della complessità del cervello con un linguaggio semplice e con storie umane, reali. La provenienza dal mondo della psichiatria e della psicologia dell’autore si sente tutta: ha una delicatezza e un’attenzione diversa da quella che potrebbe avere un medico qualsiasi!
  • Le guarigioni del cervello è il libro adatto per i più curiosi, per chi ama la Scienza e sa lasciarsi travolgere dall’eccitazione delle nuove scoperte. 
  • Le guarigioni del cervello è il saggio perfetto per i più scettici, per chi non crede che la ricerca sia un mondo meraviglioso e che ci sia sempre una nuova frontiera da raggiungere. 
  • Le guarigioni del cervello è il libro giusto per i piccoli nerd delle neuroscienze e della neurologia, ma anche per chi ne ama l’applicazione pratica. La ricerca è bella, anche fine a se stessa, ma soprattutto quando il fine è la cura del prossimo. 
2. Due storie di Alzheimer: Noi non abbiamo colpa e Still Alice.  

Il morbo di Alzheimer è la prima causa di demenza degenerativa a livello globale (50% dei casi). Fu descritta per la prima volta a Tubinga nel 1907. Oggi ne distinguiamo due forme. In un 95-98% dei casi si parla di forma sporadica, con esordio al di sopra dei 65 anni, a cui possiamo associare fattori di rischio (età avanzata, sesso femminile, basso livello di scolarità, traumi cranici o fattori di rischio per malattie cerebrovascolari). Un 2-5% dei casi, invece, è una forma familiare detta “early onset”, con esordio presenile, di cui si riconoscono veri e propri fattori causali (mutazioni genetiche ereditarie dei geni codificanti per le proteine APP, presenilina 1 e 2). 

La fisiopatologia dell’Alzheimer è molto interessante (rimando a questa pagina per una spiegazione più approfondita), così come le lesioni anatomo-patologiche a livello corticale sono ormai caratterizzate e facilmente riconoscibili. Come in molte altre malattie neurodegenerative, accade che, per varie ragioni (mutazioni, insulti chimici, deficit energetici ecc), una proteina fisiologicamente prodotta a livello cerebrale venga mal ripiegata e si accumuli in ammassi non più degradabili (in questo caso si parla di proteine tau iperfosforilata e beta-amiloide). Questi, dentro e fuori dalla cellula, ne impediscono un corretto funzionamento, scatenano una reazione infiammatoria e la successiva degenerazione neuronale. 

Clinicamente l’Alzheimer ha un decorso lento e progressivo. Se in futuro avremo una cura efficace per questa patologia tremendamente invalidante e fatale, sarà di fondamentale importanza riuscire a somministrare questa terapia in fase preclinica, quando ancora il paziente è autonomo in tutte le attività di vita quotidiana e non mostra segni caratteristici di malattia, se non uno stato simil-depressivo o una lieve insonnia. Il sintomo che tutti conosciamo è la perdita di memoria, l’amnesia (prima a breve termine ed episodica, poi completa). In realtà, in un paziente affetto da Alzheimer, vengono progressivamente intaccate tutte le funzioni cognitive superiori.

Nella fase lieve (primi 2-4 anni) il malato perde la capacità di giudizio e di astrazione, ha difficoltà con il linguaggio, è consapevole della malattia e questo produce un atteggiamento ostile e aggressivo. Nella fase moderata (2-10 anni), vengono abbandonate progressivamente la scrittura e la lettura, i movimenti complessi diventano difficoltosi e aumenta il rischio cadute; si hanno cambiamenti di umore e personalitàdisorientamento spazio-temporale e comparsa di allucinazionipsicosi o paranoie. Il malato non è più consapevole della propria condizione (si parla di anosognosia). 

Infine, nella fase grave (2-3 anni), il paziente diventa incontinentenon deambula più, viene allettato e supportato con la nutrizione parenterale. Il decesso avviene per cause secondarie, come disidratazione, malnutrizione, piaghe da decubito o processi infettivi. La progressione è dunque lenta e inesorabile. Oggi la diagnosi è clinica, e la terapia solo sintomatica. L’Alzheimer è una patologia che abbatte la qualità di vita non solo del malato ma soprattutto dei suoi care-givers e familiari.

La ricerca galoppa, concentrandosi sulla prevenzione, la diagnosi precoce e l’invenzione di farmaci più efficaci. Spero davvero di assistere a qualche scoperta rivoluzionaria nell’arco di vita che mi è concesso.

2a. Noi non abbiamo colpa. Un libro di Marta Zura-Puntaroni (minimum fax, 2020).

Nelle pagine di Noi non abbiamo colpa Marta Zura-Puntaroni racconta un frangente della vita della propria famiglia, narrando in prima persona eventi autobiografici, saltando tra flashback e riflessioni diaristiche. 

Marta ha 30 anni, una gatta di nome Mimma e vive a Milano. Torna al suo paese, nell’entroterra marchigiano, più spesso di quanto la madre Antea vorrebbe. Marta non è tagliata per le grandi città, ama la sua terra e la stabilità che le dà, la sicurezza di ritrovare le amiche di sempre, di conoscere ogni strada e ogni ruga del volto degli anziani al bar. Il paese non chiede a Marta di essere straordinaria, di fare grandi cose; il paese le permette di essere se stessa

Per questo ogni due o tre mesi Marta ci torna volentieri, e cerca di fermarcisi il più possibile. 

Quest’anno decide di fermarcisi tutta l’estate, per stare vicino alla nonna Carlantonia, malata di Alzheimer, ma anche per fuggire dalla grande città del Nord che non la fa “sentire a casa”. 

Il ritorno di Marta al paese diventa occasione per ricordare, gli anni delle medie e del liceo, ma anche la storia della propria famiglia, a partire dall’infanzia di Carlantonia durante la Guerra. 

La malattia della nonna diventa per Marta strumento di riflessione sul legame con i genitori, sulla paura di perderli e vederli invecchiare, e sulla paura di vedere se stessa invecchiare. 

  • Noi non abbiamo colpa è un bel racconto di malattia, di come questa cambi la vita del malato e di chi gli sta intorno. Di pagina in pagina l’autrice cerca di comprendere il perché, affronta l’ingiustizia della morte e la speranza di entrare in contatto con la propria nonna. 
  • Noi non abbiamo colpa è un piccolo libro che mette il lettore davanti a quesiti esistenziali velati da racconti di vita quotidiana ed esperienze mondane. È un libro che descrive bene la malattia, quella vissuta da fuori e contro cui non si può combattere. 
  • Noi non abbiamo colpa è il libro adatto per chi non sa ancora accettare, per chi continua a chiedersi “perché proprio a me? Io non me lo meritavo”.
2b. Still Alice. Un film di Richard Glatzer e Wash Westmoreland, con Julianne Moore, Kristen Stewart, Alec Baldwin, Kate Bosworth, Hunter Parrish (Good Films, 2015).

Still Alice, pellicola del 2014 di Glatzer e Westmoreland, vede una incredibile Julianne Moore (non per niente, insignita di Premio Oscar e Golden Globe per la sua interpretazione) nel ruolo di Alice Howland, rinomata professoressa di linguistica alla Columbia University.

L’ironia della sorte vuole che proprio un’esperta di parole, memoria e apprendimento, cominci a dimenticare giorno dopo giorno alcuni vocaboli, a trovarsi disorientata dopo la corsetta nel campus, a perdere il filo del discorso durante una conferenza. 

L’incontro con uno specialista rivela ad Alice una verità devastante, quella di una patologia che consumerà ciò che di più caro ha la protagonista: il proprio cervello, le proprie capacità cognitive, quelle su cui si fonda il lavoro che fino ad adesso le ha riempito la vita. 

Still Alice è il racconto di una donna che prova a combattere, convivere e, infine, arrendersi alla propria malattia. È il racconto del dolore muto e totalizzante di una patologia neurodegenerativa. 

Il film sviscera i rapporti di una famiglia americana complessa, quelli con il marito (Alec Baldwin) e con i tre figli, tra i quali spicca la giovane e ribelle Kristen Stewart piena di sogni e passioni, che sta un po’ alla larga dal resto della cucciolata.

Trasposizione del romanzo omonimo di Lisa Genova, Still Alice è la storia di una deriva, la vicenda di una donna intelligente e speciale che perde giorno dopo giorno le tracce di sé, del tempo, di quando c’era, esisteva e conosceva il suo nome, quello della sua primogenita, quello delle persone care, delle emozioni e delle cose.

  • Still Alice è un film terapeutico non per il corpo, bensì per l’anima, perché ci mette faccia a faccia con l’angoscia e il dolore, trascinandoci empaticamente nella vita del malato. 
  • Still Alice è la pellicola adatta per chi sogna di diventare una grande attrice: Jullian Moore ne è un esempio unico. 
  • Still Alice è un film drammatico ma veramente emozionante, che consiglierei a chiunque, anche a chi pensa di non poterlo sopportare. Vedrete che mi ringrazierete.
3. Zona d’ombra (Concussion). Un film di Peter Landesman, con Will Smith e Alec Baldwin (Warner Bros, 2016). 

Il titolo americano di questa pellicola di Peter Landesman è molto più incisivo e diretto: Concussion. La sceneggiatura del regista e autore newyorkese rivela la pericolosità e insospettata natura di strumento di morte del football americano, vanto e orgoglio degli States ed espressione dell’american way of life nonché fabbrica seriale di sogni. 

Tratto da una storia vera, Zona d’ombra racconta le scoperte dell’anatomopatologo nigeriano Bennett Omalu, emigrato a Pittsburgh alla fine del secolo scorso. Il protagonista, efficacemente interpretato da Will Smith, è un medico particolare, ancora non del tutto al passo con lo stile americano ma che cerca in ogni modo di inserirsi al meglio nella nuova realtà del paese dei suoi sogni. Il suo bizzarro modo di condurre le autopsie lo porta a non fermarsi mai, a indagare sempre più a fondo per scoprire la storia dei suoi pazienti: prima di sezionarli li interroga, chiede il loro aiuto come quello di un vecchio amico. 

La svolta per la carriera del dottor Bennett arriva un giorno di settembre del 2002, in cui il neuropatologo si trova a dovere effettuare l’autopsia del corpo di Mike Webster, celebre stella della NFL (National Football League), che arrivato a cinquant’anni ha iniziato a lamentare forti emicranie e ha mostrato segni di squilibrio mentale. Da qui si dipanano le vicende della scoperta della CTE (encefalopatia traumatica cronica), malattia degenerativa che colpisce il cervello dopo ripetuti colpi alla testa, e del suo riconoscimento ufficiale. 

Oggi classificata come patologia a sé stante, la CTE è comune tra atleti (pugili professionisti e giocatori di football) ma anche soldati esposti ad esplosioni. Circa il 3% degli atleti che hanno subito varie concussioni (anche minori, apparentemente) sviluppa la CTE. I sintomi più frequenti sono: cambiamenti d’umore (depressione, irritabilità, tendenza al suicidio), alterazioni del comportamento (aggressività e impazienza) e delle funzioni mentali (amnesie e confusioni, fino alla demenza), nonché problemi muscolari (quali bradicinesia, movimenti scoordinati o disartria). 

Zona d’ombra è un bel film, fedele alla storia originale ma con l’adeguata dose di suspense e drammaticità. È una pellicola ben scritta e ben interpretata. 

  • Concussion (così preferisco chiamarlo) è il film perfetto per chi ama Will Smith (il suo accento afro è davvero sorprendente!) e Alec Baldwin (sempre un bell’assett). Per chi è appassionato di football ma è anche pronto a riconoscerne i pericoli.
  • Concussion è adatto a chi apprezza la neuropatologia, la neurochirurgia e tutto ciò che è neuro-qualcosa. 
  • Concussion è un film che racconta una storia poco conosciuta ma che ha cambiato la visione del football americano, soprattutto per gli atleti ma anche per i tifosi. È una delle tante storie che, per caso e per la genialità del singolo, cambiano e fanno avanzare l’intero mondo della Medicina.
4. Racconti di emicranici. 

L’emicrania è la più conosciuta tra le cefalee di tipo primario (distinte dalle secondarie perché non associate a una patologia organica sottostante). È un disturbo cefalgico doloroso e invalidante, che interessa il 15% della popolazione generale, colpendo soprattutto donne in età fertile

Si distingue in due grandi categorie: 

  • Emicrania senza aura (in passato definita comune o semplice), caratterizzata da attacchi di cefalea della durata di 4-72h con dolore di qualità pulsatile e distribuzione unilaterale. Viene esacerbata dall’attività fisica routinaria (come camminare o salire le scale) e può accompagnarsi a vomitonauseafotofobia e fonofobia.
  • Emicrania con aura (in passato detta classica o tipica), in cui segni neurologici focali e transitori precedono o accompagnano la cefalea (insorgente entro 60 minuti dall’inizio dei sintomi). Disturbi perlopiù visivi, ma anche somatosensoriali, di linguaggio, motori e retinici si presentano per pochi minuti prima della comparsa del mal di testa. Tra questi si possono ricordare sintomi visivi positivi, come fosfeni o fotopsie (il campo visivo si riempie di flash luminosi o figure geometriche scintillanti) e scotomi scintillanti con spettri di fortificazione (un’area scura del campo visivo circondata da linee frastagliate luminose che si espandono dal centro alla periferia o viceversa). E sintomi visivi negativi, come scotomi negativi (una macchia nera che impedisce la capacità discriminativa di parte del campo visivo) e scotomi scintillanti o metamorfopsie (visione scomposta o distorta degli oggetti). 

La fisiopatologia dell’emicrania è ancora in fase di discussione: sembrano avere un ruolo centrale la genetica e il sistema trigemino-vascolare, responsabile della percezione dolorosa a livello cranico. 

La diagnosi è clinica e la terapia, spesso efficace, si articola in più livelli, passando per la terapia cognitivo-comportamentale, la ginnastica anaerobia e la terapia farmacologica di attacco o di profilassi cronica. 

Le percezioni alterate che accompagnano un attacco emicranico sono state per molti artisti fonte di ispirazione per le proprie opere. Di seguito alcuni esempi, che hanno ovviamente tanti altri aspetti interessanti e una matrice non riconducibile solo all’emicrania dell’autore.

  • colli lunghi di Modigliani. Amedeo Modigliani, con i suoi soggetti dai colli lunghi prima lontani lontani e poi, in un attimo, vicinissimi, e le luci radenti per il fastidio, ha confessato di essere un emicranico con aura e che quello fosse il modo in cui vedeva la realtà prima che comparisse il mal di testa.
  • Alice nel Paese delle Meraviglie è la descrizione dell’emicrania con aura di Lewis Carroll.
  • Anche Picasso è sospettato essere stato un emicranico con aura, perché vi sono diverse analogie tra Alice di Carroll (che ad un certo punto vede tutto scomposto) e la realtà scomposta in forme semplici di questo artista: basti pensare al Guernica, che somiglia molto alla stereopsi anomala degli emicranici con aura. 

Come usare gli ultimi neuroni rimasti: qualche consiglio lampo

  • Risvegli, un libro di Oliver Sacks. Un saggio di argomento medico scritto dal neurologo e divulgatore inglese nel 1973. Un libro imperdibile per gli appassionati di farmacologia e per chi desideri approfondire la storia del Parkinson. Partendo dal racconto di una grave epidemia di encefalite letargica (malattia del sonno) che colpì il mondo tra il 1917 e il 1927, Sacks narra di come sia riuscito a risvegliare alcuni di questi malati mediante la somministrazione di L-DOPA, farmaco oggi di prima scelta per il trattamento sintomatico del morbo di Parkinson.
  • L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, un libro di Oliver Sacks. Qui lascerei la parola a Blu Di Marco
  • Plasticità cerebrale. Come cambia il cervello nel corso della vita, un libro di Gianfranco Denes: un saggio dal titolo auto esplicativo per approfondire in termini scientifici e sistematici il tema accennato nel consiglio numero 1 di questo articolo.
  • Che cosa sappiamo della mente o L’uomo che credeva di essere morto, due libri di Vilayanur Ramachandran. Qualsiasi libro di Ramachandran potrà andar bene: sono uno più affascinante dell’altro, tutti ricchi di scoperte e ragionamenti in tema di plasticità corticale e apprendimento. Il neurologo americano ha passato una vita a condurre ricerche sul ricablaggio dei neuroni e il rimaneggiamento delle connessioni corticali. Ha condotto esperimenti sulla perdita di informazioni sensoriali, sulle amputazioni e sugli arti fantasma usando la tecnica della magnetoencefalografia, attraverso cui si possono visualizzare le esatte zone corticali che rispondono alla stimolazione tattile della cute. 

Ci vediamo il prossimo mese!
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(In copertina illustrazione originale di Tiziana Capezzera)


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