Russia e Ucraina sono tra i primi fornitori di cereali del mondo, ma la guerra impedisce l’arrivo a destinazione del 10% del grano mondiale esportato. La farina costa troppo e i casi di insicurezza alimentare crescono nei Paesi dipendenti dalle esportazioni russe e ucraine. La comunità internazionale pone l’attenzione sulla crisi del grano in Africa e Medio Oriente e si chiede se, dopo le Primavere Arabe, il costo del pane sarà nuovamente la scintilla per un’escalation di conflitti.
Gli effetti trascurati della guerra Ucraina-Russia
La guerra tra Ucraina e Russia è al centro dell’attenzione mediatica per numerose ragioni, tra cui il fatto che la Federazione Russa è lo Stato con la superficie più vasta nel mondo, con una grande forza militare e in possesso di armi nucleari.
Le discussioni sulla guerra Ucraina-Russia rientrano nella sfera di high politics. I media si concentrano in particolar modo sul dibattito politico ai vertici alti, sui giochi diplomatici e sullo schieramento dei Paesi più rilevanti con la Russia o con la NATO. Commentano, inoltre, l’ingresso nella NATO di Finlandia e Svezia, e avanzano ipotesi su quale Paese potrebbe essere la prossima vittima di Putin: la Georgia o forse i Paesi Baltici?
Solo ultimamente i media stanno tenendo in considerazione anche gli effetti collaterali della guerra sul resto del mondo. Si dà il caso che Russia e Ucraina siano tra i primi 10 esportatori di grano e la Russia è il secondo maggior esportatore di gas nel mondo. Per queste ragioni molti altri Stati, sebbene non direttamente coinvolti nel conflitto, si trovano in una situazione di crisi per i mancati approvvigionamenti.
Il pane costa troppo
Per quanto riguarda il gas, ancora una volta, l’attenzione maggiore è per gli Stati più ricchi nel mondo, e i media descrivono le sanzioni economiche verso la Russia come un’occasione per l’Unione Europea di diminuire la propria dipendenza dal gas russo e accelerare la transizione energetica.
Il punto è che il minimo aumento del prezzo del gas può rappresentare un blocco del sistema dei trasporti e della produttività in Stati le cui condizioni economiche risultano inadeguate a far fronte a una tale spesa. La mancanza di approvvigionamenti energetici può rallentare se non invertire il processo di sviluppo di questi Paesi già vulnerabili.
Allo stesso modo, l’aumento del costo del grano, del pane o di un pacco di pasta ha conseguenze più gravi per i cittadini di alcuni Paesi dell’Africa o del Medio Oriente, dove è più probabile che si generi un’insicurezza alimentare.
Durante la Crisi Finanziaria del 2008, ad esempio, queste stesse regioni del mondo affrontarono una situazione simile a quella odierna: la Russia aveva diminuito le esportazioni di grano e i prezzi della farina si alzarono. A causa della fame numerose proteste avevano preso piede in Egitto, Marocco e Tunisia: le cosiddette “rivolte del pane”.
L’insicurezza alimentare era di fatto solo l’ultima goccia, perché si sommava alla malavita, alla corruzione politica, all’incerta condizione economica di questi Paesi e alla limitata libertà di espressione. Tutti questi fattori pochi anni dopo culminarono nelle Primavere Arabe: rivolte e guerre civili in molti Paesi nord africani e mediorientali.
La crisi del grano in Africa e Medio Oriente
Oggi vi è lo stesso rischio di escalation a causa della forte dipendenza di questi Paesi dall’energia e dai prodotti alimentari esportati da Russia e Ucraina. I sistemi alimentari africani sono dipendenti dalla produzione cerealicola estera: dei cereali che il continente importa, circa il 40% proviene da Russia e Ucraina. Nello specifico, 25 Stati africani importano più di un terzo dei cereali dai due Paesi in guerra, mentre 15 ne importano più della metà.
Al momento, a causa del blocco navale nel Mar Nero, nei porti di Odessa e Mariupol, il 10% delle esportazioni mondiali di grano non può arrivare fisicamente a destinazione, facendo sì che i prezzi dei prodotti alimentari impennino ovunque nel mondo, generando un‘inflazione che può arrivare al 15% nei Paesi più vulnerabili.
Negli stessi Stati la popolazione sta precipitando nell’insicurezza alimentare. Secondo il World Food Programme, entro la fine del 2022, nel continente africano ci saranno almeno altri 50 milioni di persone esposti alle fame – portando il totale a 325 milioni.
Nel continente africano, la popolazione è estremamente sensibile alle variazioni di prezzo: se la maggior parte del reddito delle famiglie viene spesa in derrate alimentari, l’aumento del costo del cibo riduce la possibilità di pagare altri servizi come l’istruzione e la salute.
Si tratta di una situazione molto delicata perché il diffondersi del malcontento e della fame potrebbe portare a una nuova ondata di tumulti. Già si può constatare che, dall’inizio della guerra, l’incremento del prezzo della farina ha causato numerose manifestazioni in quelle stesse regioni.
La costante dipendenza dal nord del mondo
Purtroppo, tali rivolte non si generano mai per un solo fattore, ma dalla sovrapposizione di dinamiche sfavorevoli e condizioni precarie. Per evitare l’escalation di violenze sulla linea delle Primavere Arabe, le élite politiche africane e mediorientali dovrebbero, per quanto possibile, ridurre la loro dipendenza dalle esportazioni e diversificare i propri fornitori.
In secondo luogo, dal momento che il consumo di grano è in crescita, sarebbe necessario investire per produrre più cereali. Tuttavia, in certe realtà il processo di sviluppo viene ostacolato da vari fattori; primo tra tutti il cambiamento climatico, poi il rischio economico, per i piccoli produttori, di inserirsi nei grandi mercati, oltre che la ridotta produttività delle tecnologie dei sistemi agricoli nei Paesi in via di sviluppo.
Su questo fronte il ruolo degli investitori stranieri è centrale: è accaduto che molti governi africani abbiano venduto terre “inutilizzate” a Russia e Cina. Il fenomeno è detto land grabbing e, se da un lato è positivo perché porta sul territorio tecnologie e investimenti, d’altro canto questo avviene senza il consenso della comunità locale.
A ciò si somma il fatto che le società estere sfruttano la fertile terra del continente africano e rivendono i prodotti che coltivano alla popolazione locale. Il land grabbing può aiutare la comunità nel breve periodo, per esempio ora che la guerra Ucraina-Russia sta tagliando gli approvvigionamenti di energia e cereali, ma nel lungo periodo non farà altro che aumentare questa dipendenza e disincentivare l’autosufficienza e la crescita di quei Paesi.
Luce Pagnoni
(In copertina Amir Benlakhlef da Unsplash)
Per approfondire: Guida alla Guerra in Ucraina con gli articoli di Giovani Reporter, con tutti i nostri articoli sul tema.