Il numero 18 è generalmente associato alla maturità, alla conquista di una maggior consapevolezza del mondo che ci circonda. A 18 anni, infatti, un ragazzo raggiunge la maggiore età conseguendo una serie di diritti, tra cui quello di voto. Ma è sempre così?
Viste tali premesse, un appassionato alla Kabala avrebbe potuto pensare alla XVIII legislatura come a quella della maturità per la relativamente giovane Repubblica Italiana, segnata da momenti di prosperità e da giorni bui, ma anche da una forte instabilità al governo: su 67 governi dal 1946 ad oggi soltanto 6 hanno resistito per più di due anni!
Tuttavia, la XVIII legislatura si è rivelata probabilmente la più folle della storia repubblicana, e pochi giorni fa ha visto la sua fine ingloriosa. In attesa delle nuove elezioni, può essere interessante rivederne tutti i fatti salienti nella speranza – forse vana – di non ripetere gli errori.
Il governo gialloverde
Che questa legislatura, nata col voto del 4 marzo 2018, sarebbe stata pirotecnica fu evidente fin dall’inizio. La nascita del governo Conte I richiese ben 89 giorni, un record. Quei mesi furono contraddistinti da consultazioni, trattative, veti, polemiche.
In origine si tentò un patto Centrodestra-5S, rifiutato dai Grillini per il loro veto su Berlusconi, il simbolo della scatoletta di tonno che loro volevano aprire; quindi si ipotizzò una maggioranza Centrosinistra-PD: un’ipotesi incredibile, il nuovo che avanza contro l’odiato partito di governo uscente, come dimostrato anche dagli ultimi eventi. Ad ogni modo ci pensò il segretario uscente Renzi a chiudere il discorso.
Quando ormai il ritorno alle urne sembrava inevitabile, finalmente il M5S e la sola Lega (col placet di B.) si sedettero attorno a un tavolo per scrivere un Contratto per il Governo del Cambiamento. Tutto sembrava procedere per il verso giusto, con lo sconosciuto giurista pugliese Giuseppe Conte, già candidato ministro della PA da Di Maio, incaricato di formare il nuovo governo. All’ultimo miglio però tutto si inceppa: la coppia esplosiva Salvini – Di Maio propone come ministro dell’economia Paolo Savona, notoriamente contrario all’euro.
All’inevitabile niet di Mattarella scoppia il putiferio: Conte rimette il mandato, il leader 5S e Giorgia Meloni chiedono la messa in stato d’accusa del capo dello stato. Le elezioni paiono nuovamente alle porte, con Carlo Cottarelli designato capo di un governo transitorio. Tuttavia, alla fine, i leader della nuova maggioranza giungono a migliori consigli, spostando Savona agli affari europei e indicando per viale XX settembre il più rassicurante Giovanni Tria.
Il 1° giugno 2018 comincia l’epopea del governo “giallo-verde”. Spiccano tra i provvedimenti presi il Reddito di cittadinanza, caposaldo grillino, Quota 100 e gli infami decreti sicurezza, bandiere del Carroccio. Il governo si distingue anche per varie stramberie, come l’abolizione della povertà annunciata in pompa magna dal vicepremier 5stelle e la sguaiata esultanza del ministro delle infrastrutture Toninelli all’approvazione del decreto sul Ponte Morandi. Da ricordare le innumerevoli navi piene di migranti bloccate in largo al mare da Salvini.
Col tempo i rapporti tra gli alleati si deteriorano, principalmente con l’avvicinarsi delle elezioni europee e regionali. A fine maggio la Lega conquista il 34% dei voti: è l’inizio della fine. Dopo settimane di tira e molla, a inizio agosto durante la celebre vacanza al Papeete di Milano Marittima il segretario leghista decide di far saltare il banco. La sera dell’8 agosto, in un comizio a Pescara, Salvini chiede “pieni poteri” agli elettori: un’espressione infelice, con la quale forse si riferiva alla volontà di governare da soli, ma in molti ormai gridano al pericolo per la democrazia.
Il redde rationem arriva il 20 agosto, in Senato: con un discorso memorabile Conte devasta il ministro dell’Interno, accusandolo di aver tradito i patti e di scarso impegno. Da questa figuraccia Salvini ancora non si è ripreso.
Il governo giallorosso
La chiave di volta viene trovata da Renzi che, smentendo sé stesso, appoggia un accordo tra PD e 5 Stelle (e Leu), mettendo spalle al muro il nuovo leader del PD Nicola Zingaretti. Il 5 settembre 2019 giura il Conte II. La maggioranza è molto eterogenea, i partiti sono tanto diversi e lontani tra loro.
La navigazione del nuovo esecutivo è difficile sin dall’inizio, per via della scissione di Italia Viva ad opera del senatore di Rignano. La sua esistenza sarebbe durata molto poco se non fosse stato per lo scoppio della pandemia, egregiamente gestita dal ministro della Salute Speranza.
Col tempo Renzi diventa sempre più critico verso Conte, finché a gennaio 2021 non decide di rompere facendo dimettere le sue ministre Bellanova e Bonetti. Conte prova a salvare capra e cavoli cercando nuovi parlamentari disposti ad appoggiarlo, i cosiddetti “Responsabili” di berlusconiana memoria, ma alla fine il capo del governo è costretto alle dimissioni. Infruttuoso si rivela anche un estremo tentativo di ricomposizione della maggioranza uscente da parte del Presidente della Camera Fico.
Il governo arcobaleno
Mattarella si gioca quindi la carta Draghi: l’ex presidente della BCE, forse l’italiano più autorevole nel mondo, sale a capo di un governo di unità nazionale comprendente tutti i partiti, eccetto FdI, gli ex 5 stelle di Alternativa e Sinistra Italiana. Nei primi 10 mesi Draghi prova a barcamenarsi tra fortissime divisioni, ma è a gennaio 2022, con l’elezione del presidente della Repubblica, che si ha forse un punto di non ritorno.
Il premier aspira a traslocare al Quirinale, ma i parlamentari vedono in lui la garanzia sulla prosecuzione della legislatura fino a scadenza naturale, ed egli stesso non è molto abile nel candidarsi. Dopo una settimana allucinante e innumerevoli nomi bruciati, il 29 gennaio Mattarella si convince ad accettare la rielezione, per quanto egli avesse cercato in ogni modo di evitarla.
Nei mesi successivi, anche per l’avvicinarsi della scadenza naturale, i partiti di maggioranza radicalizzano le loro posizioni, soprattutto su catasto, concessioni balneari, taxi e termovalorizzatore di Roma. Nemmeno la guerra in Ucraina favorisce la concordia: anzi, l’invio di armi al Paese invaso diventa nuovo terreno di scontro.
Nelle ultime settimane la situazione precipita, fino ad arrivare al penoso e surreale spettacolo del 20 luglio: la crisi, innescata in origine da un Movimento ormai orfano di Di Maio, finisce per essere cavalcata da Lega e Forza Italia, con i risultati che conosciamo.
Tutto cambi, affinché nulla cambi
In definitiva, i quattro anni di questa legislatura si sono rivelati uno sconquasso per i nostri partiti: le formazioni “antisistema” hanno finito per appoggiare Mario Draghi, che del “sistema” è forse uno dei massimi esponenti.
Chi nel 2018 voleva l’impeachment per Mattarella nemmeno quattro anni dopo lo ha rieletto. Il trasformismo è stato il filo conduttore della XVIII legislatura, dove i partiti hanno badato più alla loro autoconservazione che al bene comune. Mai è stata attuale come oggi la massima del Gattopardo: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Riccardo Minichella
(Immagine di copertina da Ansa)