La sentenza del 26 giugno 2022 della Corte Suprema ha rimesso in discussione in tutti gli Stati Uniti il diritto all’aborto. Ne ripercorriamo insieme la difficile storia dagli anni settanta ai nostri giorni.
Roe vs. Wade
Siamo all’inizio degli anni ’70 negli Stati Uniti e una donna, Norma McCorvey, conosciuta dai più come Jane Roe, riesce a portare il suo caso fino alla Corte Suprema americana. La disputa è semplice: Roe vive in Texas, dove l’aborto è consentito solo nel caso in cui la nascita del figlio possa mettere in pericolo la vita della madre; ma lei vuole praticare l’aborto anche senza questo requisito giuridico.
La donna decide di assumere un avvocato, Gloria Allred, per far valere le sue ragioni. Lo Stato del Texas viene rappresentato dall’avvocato Henry Menasco Wade. Dopo dopo una lunga serie di scontri giudiziari, il 22 gennaio 1973 le due ottengono una schiacciante vittoria: la Corte Suprema stabilisce che il diritto di abortire viene in effetti sancito dal quattordicesimo emendamento della costituzione americana – lo stesso che, tra le tante cose, protegge anche il diritto alla privacy e alla libertà del cittadino.
Un precedente pericoloso
Eppure, pochi giorni fa, l’attuale Corte Suprema ha ribaltato questa sentenza, spiegando che il diritto all’aborto non è sancito dalla costituzione perché esso non viene affermato in maniera esplicita. Di conseguenza, l’onere della decisione in materia viene trasferito ai singoli Stati americani.
In questo modo, numerosi stati a maggioranza repubblicana hanno iniziato a ostacolare in ogni modo il diritto all’aborto; quelli a maggioranza democratica, invece, sono stati costretti a stendere apposite leggi statali per ribadire la presenza di questo diritto.
Questa situazione ha dimostrato, per l’ennesima volta, quanto sia marcio il sistema legislativo ed elettorale americano. La recente sentenza della corte suprema ha creato peraltro un precedente pericoloso, che ha messo in discussione l’integrità del quattordicesimo emendamento.
Difatti, il giudice della corte suprema Clarence Thomas ha pubblicamente affermato che “la corte suprema dovrebbe anche riconsiderare le sentenze che proteggono l’accesso alla contraccezione, le relazioni omosessuali e il matrimonio tra persone dello stesso sesso”.
Una guerra Intestina
Sempre per parlare di diritti, l’articolo 7 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani recita: “La legge è uguale per tutti, e dovrebbe essere applicata ugualmente a tutti”. Eppure, incredibilmente, non è questa la situazione di uno dei Paesi che si presenta come massimo garante internazionale di democrazia e diritti.
La Corte Suprema, da strumento apolitico creato per deliberare sulle questioni legali più importanti degli Stati Uniti, è diventato un pericoloso sistema per permettere ai singoli presidenti di assicurarsi il controllo sulle dispute legali più importanti, semplicemente nominando giudici, forti della carica a vita e della nomina diretta dal presidente statunitense in carica, con idee politiche favorevoli alla propria causa.
Esiste il serio rischio che questi giudici continuino a operare senza rischi per anni, se non decenni, inquinando per sempre il futuro di un Paese già devastato da contrasti interni e maggiori impegni esterni (leggasi guerra in ucraina).
I democratici stanno cercando al momento delle vie legali per un impeachment dei giudici della Corte Suprema, e in particolare proprio di Thomas; ma nella storia degli Stati Uniti mai è successo che un giudice della corte suprema venisse destituito e ciò non risolverebbe comunque i problemi che questo sistema potrebbe creare presto o tardi, non rispettando per esempio il volere popolare rispetto ad alcune decisioni legali importanti.
Le contraddizioni degli Stati Uniti
La disputa sul diritto all’aborto è solo la punta dell’iceberg, in un Paese con più contrasti interni che punti in comune, dove anche parte dell’articolo 21 della dichiarazione universale dei diritti umani non viene rispettato, perché negli ultimi 20 anni ben due volte il voto popolare non rispecchiava il risultato dei grandi elettori.
Un paese in cui è possibile denunciare una donna che ha abortito illegalmente e di nascosto, ricevendo un compenso di 10.000$ dallo Stato, nel caso in cui l’informazione si riveli corretta. Questi premi di delazione ricordano in qualche modo la Germania degli anni ‘40, dove i cittadini che denunciavano le famiglie che proteggevano gli ebrei ricevevano anche loro un “premio” monetario.
Gabriele Cavalleri
(In copertina Gayatri Malhotra da Unsplash, manifestazione del 3 ottobre 2021)