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La Giornata Mondiale dei Disturbi del Comportamento Alimentare
Lo scorso 2 giugno si è celebrata la settima edizione della Giornata Mondiale sui Disturbi del Comportamento Alimentare (World Eating Disorders Action Day). L’iniziativa, promossa per sensibilizzare l’opinione pubblica e per stimolare i professionisti del settore a connettersi e a collaborare, rimanendo aggiornati sui più recenti sviluppi nell’ambito della ricerca, ha lanciato quest’anno il tema “Caring for Carers!”.
Più di 250 organizzazioni, da oltre 50 Paesi diversi, hanno preso parte all’evento, mettendo in luce l’importanza di coloro che si occupano delle persone che soffrono di un disturbo alimentare: genitori, nonni, fratelli o sorelle, partner, familiari e amici.
La dottoressa Eva Trujillo, membro del comitato direttivo, ha ricordato: “Anche loro si stancano e si esauriscono; bisogna creare network assistenziali e strategie di supporto”.
Disturbi dell’Alimentazione
In Italia, dal 2012, si celebra anche un’altra ricorrenza mirata a sensibilizzare e ampliare il dialogo e la consapevolezza sul tema dei disturbi del comportamento alimentare (DCA): la Giornata del Fiocchetto Lilla, ricorrente il 15 marzo di ogni anno. Promossa per la prima volta dall’Associazione “Mi Nutro di Vita“, dal 2018 è riconosciuta istituzionalmente come Giornata nazionale contro i Disturbi dell’Alimentazione dalla Presidenza dei Ministri.
Ed è stato proprio grazie allo sforzo del fondatore e presidente onorario Stefano Tavilla, congiunto con altre associazioni sul territorio nazionale, che lo scorso 21 dicembre i DCA sono stati inseriti nei Livelli essenziali di assistenza (LEA), cioè quelle prestazioni e servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini.
Sono stati distinti dalla categoria dei disturbi della salute mentale e il Senato ha approvato presso il Ministero della Salute un fondo di 25 milioni di euro per contrastarli.
DCA: un problema medico e sociale
I Disturbi del Comportamento Alimentare sono un problema medico e sociale che necessita di un approccio immediato e di un’attenzione maggiore, da parte delle istituzioni, della società civile e dei singoli individui. In Italia, sono 3,5 milioni i pazienti in cura per questioni legate ai DCA. Di questi, il 70% rientra in età adolescenziale e preadolescenziale, e per la maggior parte si tratta di donne.
La pandemia di Covid-19 non ha certo aiutato, come in tutti gli ambiti di cura e prevenzione d’altronde. Secondo la SiSDCA (Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare) dall’inizio della pandemia i casi diagnosticati sono aumentati del 30%, l’età media dei pazienti è scesa a 12 anni e la causa principale sembra essere l’isolamento.
Definizioni cliniche
Quando si pensa ai Disturbi del Comportamento Alimentare, spesso la prima immagine a venire in mente è quella di una ragazzina pallida e scheletrica, piuttosto che di una grande obesa. In realtà, questa visione dei DCA è totalmente distorta e assolutamente parziale.
Come indica la stessa definizione, si tratta di un ampio spettro eterogeneo di condizioni medico- psichiatriche che presentano specifici criteri di diagnosi clinica, accuratamente elencati nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM).
Nella sezione Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (feeding and eating disorders) della nuova versione del DSM V, del 2013, elenca sei categorie diagnostiche principali più due residue, ognuna correlata con criteri specifici:
- Pica;
- Mericismo;
- Disturbo alimentare evitante/restrittivo;
- Anoressia nervosa;
- Bulimia nervosa;
- Disturbo di alimentazione incontrollata.
Le due categorie residue sono destinate ad accogliere le sindromi parziali o sottosoglia e altre forme di rapporto problematico con il cibo:
- Altro disturbo della nutrizione o dell’alimentazione specificato. Si tratta perlopiù di forme incomplete o sottosoglia di anoressia nervosa, bulimia nervosa o disturbo di alimentazione incontrollata; disturbo con condotte di eliminazione (purging disorder); sindrome del mangiare di notte (night eating syndrome);
- Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione non specificato. Questa categoria diagnostica viene usata dal clinico che vuole segnalare la presenza di un disturbo della nutrizione o dell’alimentazione ma non ne specifica le caratteristiche, per esempio per mancanza di informazioni sufficienti come può accadere in un ricovero in pronto soccorso.
Mentre i termini di anoressia o bulimia nervosa fanno ormai parte del vocabolario comune, e anche il binge eating disorder, con il tema delle grandi abbuffate prive di comportamenti compensatori, è sempre più conosciuto, si può notare come esistano disturbi ancora pressoché ignorati. Ad esempio, il pica, definibile come l’ingestione abituale, per almeno un mese, di sostanze non nutrienti e/o considerate non alimentari nella propria cultura quali carta (xilofagia), terra (geofagia), feci (coprofagia), ghiaccio (pagofagia) etc.
Il mericismo o disturbo da ruminazione è invece l’abitudine, che dura da almeno un mese, di rigurgitare il cibo deglutito per poi masticarlo e deglutirlo di nuovo o sputarlo. Entrambi i comportamenti si possono associare a insufficienze mentali o a disturbi psicotici cronici con lunghe istituzionalizzazioni.
E l’obesità?
Un altro aspetto da evidenziare è l’assenza dell’obesità dall’elenco riportato sopra: l’obesità è una malattia multifattoriale che riconosce nella sua eziologia la copresenza di fattori genetici, metabolici, ormonali, psichici e sociali che ne condizionano e sostengono il quadro clinico.
La definizione di obesità è su base anatomica: eccesso di massa grassa associato, di solito ma non sempre, a un eccesso di peso corporeo e, quindi di indice di massa corporea (IMC o BMI, body mass index ≥ 30). È classificata dall’ICD-10 nel quarto capitolo (malattie metaboliche) e non figura, come patologia in sé, nel DSM. Talvolta l’obesità può associarsi a disturbi quali il Bed Eating Disorder o la Night Eating Syndrome.
Tuttavia, ciò che accomuna obesità e DCA è la complessità patologica e la necessità di una gestione interdisciplinare, che vede collaborare medici specializzati in Scienze dell’Alimentazione, Psichiatri o Neuropsichiatri infantili, psicologi, dietisti e altri clinici in base alla presenza di eventuali comorbidità.
Cosa ci manca nella gestione dei DCA
Ad oggi, la consapevolezza sociale dell’esistenza e dell’entità clinico-epidemiologica dei DCA è ancora poco precisa. Tutti sappiamo cosa sono (seppur a volte molto vagamente e cono conoscenze parziali), eppure in pochi ci rendiamo conto che si tratti di patologie reali, diffuse e pericolose.
Il riconoscimento precoce dei DCA è fondamentale per un trattamento efficace e passa, innanzitutto, per la conoscenza dei disturbi. Riconoscere e non sottostimare specifici atteggiamenti, difficoltà o comportamenti è il primo passo per una diagnosi tempestiva.
Tutte le campagne e le battaglie di associazioni e testimoni mirano ad aumentare l’awareness del problema nella popolazione generale.
I DCA sono disturbi gravi, che troppo spesso vengono etichettati come “mancanza di volontà”, come “capriccio” o come “una fase transitoria”. Il primo passo per una migliore comprensione del problema è liberarsi da tabù e stigma. I Disturbi del Comportamento Alimentare non sono semplici comportamenti anomali nei confronti del cibo, non sono tentativi di emulazione o sciocchezze da adolescenti.
Di Disturbi del Comportamento Alimentare si può morire. E ancora troppo spesso questo accade, per un riconoscimento tardivo del problema, per l’assenza di una rete sociale e familiare di supporto o per il mancato accesso a servizi di cura efficaci e specialistici. Aprite gli occhi e guardatevi intorno: sicuramente al vostro fianco c’è qualcuno che ha bisogno di voi.
I miei consigli
1. Volevo essere una farfalla. Come l’anoressia mi ha insegnato a vivere. Un libro di Michela Marzano (Mondadori, 2011)
Volevo essere una farfalla: la delicatezza e l’autenticità di questo testo racchiuse già nel titolo, mai più appropriato. Un racconto catartico, autobiografico e verace è quello che fa Michela Marzano della sua malattia.
L’autrice, romana del 1970, affermata filosofa e scrittrice, oggi docente all’università di Parigi Descartes, mette nero su bianco la sua esperienza di vita e di lotta.
Le riflessioni, frammentarie ed episodiche come quelle di un diario, ricostruiscono una storia lunga vent’anni e ancora non conclusa.
Una diagnosi di anoressia piomba su una Michela adolescente, piena di talenti e pensieri, con un mondo interiore tumultuoso e sempre più difficile da tenere sotto controllo.
La battaglia contro la malattia accompagna ogni momento della vita della giovane donna: dagli studi universitari, alle prime relazioni, al distacco dalla famiglia, alla cattedra di Parigi. La battaglia si fa viaggio; e visto il curriculum dell’autrice, non sembra inappropriato parlare di un viaggio filosofico e morale.
Forse dai DCA non si guarisce mai del tutto, ma saper accogliere il proprio problema, saper illuminare ciò che più vogliamo tenere all’oscuro potrebbe essere la chiave per placare i tumulti, per trovare un istante di pace. Ho pensato questo la prima volta che ho letto la storia di Michela: ho pensato di poter smettere di reprimere, di ignorare, di andare avanti; ho pensato di potermi fermare e accettare. E a distanza di cinque anni credo che sia stata la scelta giusta.
- Volevo essere una farfalla è un racconto sincero, spesso crudo e mai affettato. Non è una storia a lieto fine, o meglio, non è una storia di guarigione. Ma il bello sta proprio in questo: la storia di Michela non finisce, ma approda, in un porto di accettazione e accoglienza. “Quando finirà questa maledetta battaglia?”, chiede Michela al suo analista: forse non finirà mai, ma forse non è un disastro.
- Volevo essere una farfalla è il libro adatto a chi sta lottando, e a chi ancora non sa di dover lottare. È il libro per chi sta recuperando, per chi pensa di non farcela e per chi si sente ancora troppo forte. Volevo essere una farfalla è la storia perfetta per chi non sa accettare, di poter essere anche fragile e di aver bisogno di aiuto.
2. Donne che mangiano troppo. Quando il cibo serve a compensare i disagi affettivi. Un libro di Renate Göckel (Feltrinelli, 1991)
Prendendo ispirazione da Donne che amano troppo, di Robin Norwood, il testo della psicologa Renate Göckel affronta la liberazione da una “dipendenza” – non più amorosa, come quella dell’autrice americana – bensì alimentare.
Attraverso la cronistoria della psicoterapia con Anna K, donna affetta da bulimia, l’autrice indaga il mondo dei disturbi del comportamento alimentare e le strade che la psicologia ha a disposizione per comprenderli e affrontarli.
La struttura letteraria è quella di un racconto psicologico, più che di un vero e proprio saggio, per certi versi simile agli epici resoconti di Oliver Sacks.
Il tono è quello di una clinica, che trae dai confronti con la paziente annotazioni e riflessione induttivamente generalizzabili. L’esperienza individuale di Anna si fa emblema di una moltitudine di altre storie clinico-patologiche, tutte accomunate da poche simili caratteristiche generali. A guidare il percorso terapeutico, capitolo per capitolo, sono le relazioni con sé stessa e con gli altri: la madre, le amiche, gli uomini, i figli.
Il viaggio di Anna è complesso, interessante e a tratti avvincente. Il testo è scorrevole, chiaro e non pretenzioso.
Purtroppo, qualche semplificazione di troppo appiattisce la riflessione, rischiando di scadere nella stereotipia. I DCA sono schematicamente ridotti a tre grandi gruppi: l’anoressia, definita come volontaria riduzione dell’apporto alimentare; la bulimia, un bisogno incoercibile di mangiare; e l’obesità, eccesso di grasso e conseguente aumento di peso (che, come precisato sopra, oggi non viene più inclusa per definizione medica nel gruppo dei DCA). E il tutto viene rapportato solo al sesso femminile, senza un raffronto di genere/sesso che risulterebbe ad oggi molto interessante.
- Donne che mangiano troppo è un libro dal titolo impegnativo, e forse poco invitante. È proprio il caso di “non giudicarlo dalla copertina”: è un interessante approccio al mondo dei DCA, una prima finestra di definizione per chi ha curiosità medico-psicologiche.
- Donne che mangiano troppo va letto con la consapevolezza che si tratta di un’esperienza singola, che il focus della narrazione è psicologico e non medico e che ormai sono passato quasi trent’anni dalla sua stesura.
3. Ragazze Interrotte. Un film di James Mangold, con Winona Ryder, Angelina Jolie, Clea Duvall, Brittany Murphy, Elisabeth Moss (Columbia Pictures, 2000)
Ragazze Interrotte, film del 1999 diretto da James Mangold, è l’adattamento cinematografico dell’omonimo memoir della scrittrice Susanna Kaysen che, nel 1967, accettò di entrare nell’ospedale psichiatrico di Claymoore convinta di doverci restare un paio di giorni per un incidente con un flacone di aspirine innaffiato da molta vodka per uscirne, invece, un anno e mezzo dopo.
Non è una pellicola che parla esclusivamente di DCA; anzi, è più che altro un’ampia visuale sui differenti disturbi psichiatrici con cui si trova a fare i conti un gruppetto di giovani donne: è la storia della sociopatica Lisa, dell’isterica Daisy, della bugiarda patologica Georgina, dell’anoressica Janet. E di Susanna, a cui viene ben presto appiccicata l’etichetta di “Disturbo della Personalità Borderline“, una definizione di cui la diciottenne non comprende il significato e con cui lotta per trovarvi una spiegazione.
Ragazze Interrotte è un film di attrici, di personalità e di emozioni: tra le altre, Winona Ryder, anima e occhi della splendida protagonista, e Angelina Jolie, a cui l’interpretazione di Lisa è valsa un premio Oscar e un Golden Globes.
La pellicola si snoda come un racconto di formazione. Inizia come un groviglio di difficoltà, con scene cariche di depressione, disagio e tristezza, per poi far strada a un clima di progressiva apertura, di conoscenza e amicizia. L’ospedale di Claymoore, prima tetro e riecheggiante di urla, diventa un luogo di comprensione e accettazione, verso se stessi e verso gli altri. La fatica del mondo esterno si contrappone al microcosmo caotico, ma ormai considerato “normale”, dell’istituto.
Progressivamente, le protagoniste della storia si definiscono l’un l’altra, segni e comportamenti stereotipati si mescolano ed evolvono. Arrivano infine a sentirsi a proprio agio, in quel magico “fit in” anglofono, non dovuto all’incasellamento clinico, alla definizione data dalla patologia, ma dallo scoprire il proprio mondo interiore.
- Ragazze Interrotte è un racconto incastonato in un preciso periodo storico e in una particolare sede geografica – tra l’ombra della guerra del Vietnam sullo sfondo, la cultura hippy e il razzismo – ma che tratta tematiche ancora così attuali da restare, a vent’anni di distanza, moderno, e confortante.
- Ragazze Interrotte è il film adatto a chi non ha ancora capito di essere pazzo e a chi pensa di non esserlo assolutamente. A chi sa mettersi in discussione e a chi ha voglia di guardarsi un po’ dentro.
- Ragazze Interrotte è un film anche emozionante, e una lacrimuccia potreste pure lasciarvela scappare. Anche solo per confermare quanto sia bella la Jolie. Ragazze Interrotte è il film giusto per chi ha vent’anni, ma anche diciotto o venticinque, e non si sente mai adeguato, sempre fuori posto, rincorso da nubi di pensieri scuri. Per chi pensa che non ci sia più una via di ritorno, che invece ci sarà sempre. Come dice Winona: “Crazy isn’t being broken or swallowing a dark secret. It’s you or me amplified”. Tutto qui.
Avete mai confuso un sogno con la vita? O rubato qualcosa pur avendo i soldi in tasca? Siete mai stati giù di giri? O creduto che il vostro treno si muovesse mentre invece era fermo? Forse ero pazza e basta, forse erano gli anni ’60 o magari ero solo una ragazza interrotta.
Susanna Kaysen (Winona Ryder), da Ragazze Interrotte (2000).
4. Consigli sui social: dove informarsi
E poi qualche consiglio diverso dal solito, delle pagine Instagram da seguire se siete alla ricerca di informazioni scientifiche e divulgazione di qualità:
- Dott. Edoardo Mocini. Medico specialista in Scienze dell’Alimentazione, con un viso adorabile e un cane splendido. La pagina, con grafiche chiare ed esplicative, intermezzi di ricette e racconti di una Roma contraddittoria, affronta diverse tematiche in termini di salute alimentare, non solo DCA. L’approccio è quello di una medicina inclusiva, lo sguardo è giovane e aggiornato.
- Oltre la dieta. Laureati in Psicologia Clinica, i dottori Valtucci e Russo, compagni di vita e di lavoro, permettono uno sguardo approfondito e riflessivo sui DCA, attraverso interessanti dirette, promozione di eventi pubblici e racconto di storie e ricerche cliniche. Le parole sono sempre pesate, mai ridondanti, sempre appropriate.
- Mi nutro di vita. La pagina ufficiale dell’omonima associazione, per tenere traccia di iniziative e petizione, nonché per ricordare.
Ci vediamo il prossimo mese!
Tema di luglio 2022: Giornata mondiale del cervello.
Hai qualche idea, consiglio, spunto o appunto sul tema? Invialo a redazione@giovanireporter.org o scrivici su Instagram (@giovanireporter)!
Teresa Caini
(In copertina illustrazione originale di Tiziana Capezzera)