Cultura

“E poi saremo salvi”, di Alessandra Carati – La dura vita dei profughi di guerra

E poi saremo salvi

Finalista al Premio Strega 2022, “E poi saremo salvi” (Mondadori, 2021) di Alessandra Carati è un romanzo denso, in cui emerge l’amarezza di un popolo costretto alla fuga per evitare gli orrori della guerra. La vicenda si fa portavoce di intere generazioni costrette ad abbandonare tutto per sperare in un futuro migliore.


E poi saremo salvi, a metà tra una classica saga familiare e un romanzo di formazione, ci riporta agli orrori della guerra in Bosnia nel 1992.

Villaggi distrutti, morte e disperazione fanno da sfondo alla fuga di migliaia di profughi che cercano di ricostruirsi una vita lontano dalla loro terra d’origine. Le parole di Alessandra Carati sono dirette alle nostre coscienze e ci ricordano quanto la guerra sia in grado di distruggere ogni cosa.

La lettura del romanzo, oltremodo attuale, comporta una profonda e necessaria riflessione sulla condizione precaria di molti immigrati. Bisognerebbe ascoltare e comprendere le loro storie di sofferenze e sradicamento.

E poi saremo salvi

La trama

Aida è una ragazzina bosniaca di sei anni, nata e cresciuta in una famiglia di tradizione musulmana. Nell’aprile del 1992 è costretta, insieme alla madre Fatima, a fuggire dal suo villaggio: lo spettro della guerra ha stravolto di colpo la loro vita. La Bosnia è ormai sprofondata in un conflitto durante il quale l’esercito serbo si macchierà di molte atrocità contro i bosniaci musulmani.

L’unica possibilità per Aida è raggiungere il padre Damir in Slovenia, e di lì arrivare in Italia. Dopo un viaggio estenuante in autobus per lasciarsi alle spalle morte e disperazione, Aida e i suoi genitori riescono finalmente a ricongiungersi e a dirigersi, come esuli di guerra, a Milano.

Giunti in Italia, inizia per la famiglia di Aida una nuova fase: il padre lavora come muratore e, pur con qualche difficoltà, riesce a sostenere economicamente la moglie e la figlia. Nel frattempo Fatima dà alla luce Ibro, unico fratello di Aida, la quale se ne affeziona moltissimo. Nei mesi successivi, anche Tarik, lo zio di Aida, insieme alla moglie e al cugino Samir, approdano Milano per ricongiungersi coi parenti.

Aida inizia a frequentare la scuola e, nonostante la barriera linguistica, consegue ottimi risultati. Fondamentale, per il suo percorso di crescita, è l’influenza di Emilia e Franco, due coniugi milanesi che si occupano di fornire aiuti alle famiglie di profughi provenienti dalla Bosnia: proprio Emilia convince i genitori di Aida a farla studiare.

Il rapporto stretto che si instaura tra Aida ed Emilia mette in crisi gli equilibri della famiglia della giovane. Paradossalmente, solo dopo la malattia del fratello Ibro Aida e i suoi genitori ritroveranno una stabilità duramente cercata.

Un’integrazione difficile

Uno dei temi centrali di tutto il romanzo è il processo di integrazione cui vanno incontro coloro che, per un motivo o per un altro, abbandonano la loro terra d’origine per stabilirsi in un altro Paese. Integrarsi in una nuova cultura e capire il funzionamento di una società diversa da quella da cui si proviene sono procedimenti molto complessi, spesso fonte di disagio in coloro che li subiscono. Aida e il fratello Ibro, seguendo due strade molto diverse tra loro, mostrano al lettore i numerosi volti del duro cammino dell’integrazione.

Aida, sin dalle prime pagine del romanzo, ci appare come una ragazzina molto determinata e attenta. Se in un primo momento il legame con la sua famiglia rimane inalterato, con il passare del tempo inizia sempre di più a sentirsi italiana. La prosecuzione dei suoi studi la condurrà, negli anni a seguire, alla laurea in medicina e a sentirsi sempre più parte del nuovo mondo che l’ha salvata dalla guerra. Nel suo caso, il processo di integrazione si compie in maniera positiva e attiva.

E poi saremo salvi
Gambogi, Gli emigranti. 1894, olio su tela.

Ibro invece, nonostante sia nato in Italia, a causa del suo carattere sensibile non si sente mai parte della società in cui vive. Ha molti interessi, sogni e aspettative che però, per un figlio di immigrati come lui, sono ancora più difficili da realizzare. Ibro, figlio sfortunato della guerra, non riuscirà mai ad integrarsi e a trovare una vera identità su cui costruire una vita.

La sua incompletezza si trasforma ben presto in una forma di schizofrenia, che lo conduce alla rovina. Il destino di Ibro è lo stesso di molti ragazzi di seconda generazione che, ancora oggi, inconsapevoli delle loro origini, non riescono a sentirsi parte della realtà culturale e sociale in cui vivono.

Il fardello della famiglia

Nella prima parte del romanzo, Aida ha bisogno della sua famiglia: durante la fuga dal suo villaggio d’origine sente la mancanza del padre, e spera di riunirsi a lui presto.

L’arrivo in Italia e il passare degli anni cambiano completamente le carte in tavola. Ma se da un lato Aida vive attivamente la sua nuova esistenza in Italia, dall’altro i suoi genitori rimangono molto legati alle loro origini. In particolar, Damir continua a sperare che un giorno tutti loro torneranno insieme in Bosnia.

Ma, anche dopo la fine della guerra, l’idea di un ritorno stabile in Bosnia inizia ad allontanarsi sempre più; Aida dovrebbe abbandonare gli studi, il padre il lavoro.

E poi saremo salvi
Feragutti Visconti, Ricordati della mamma. 1903 circa, olio su tela.

Benché si rendano conto che un ritorno in patria sia ormai improbabile, Fatima e Damir non riescono ad accettare di buon grado che Aida abbia ormai consolidato la sua vita in Italia. La gelosia si insinua sempre di più nella famiglia quando Aida decide di trascorrere del tempo a casa di Emilia e Franco, che invece sono ben felici di aiutare la giovane ormai divenuta una sorta di figlia adottiva.

L’unica cosa che unirà davvero la famiglia sarà Ibro. La sua malattia è l’unico anello in grado di unire ancora una volta Aida ai genitori. La giovane ama il fratello più di ogni altra cosa, e con grande umanità mette in secondo piano la propria vita pur di aiutarlo – anche se spesso non è facile.

Il senso di impotenza mi faceva infuriare, e mi rendeva disperata. Il peso era tutto mio, la realtà non cambiava.

Alessandra Carati, E poi saremo salvi.

Supportando il fratello con tutte le sue forze, Aida si ricongiunge affettivamente ai genitori. Anche se Ibro ha un ruolo marginale nella vicenda, è lui il motore che riaccende il senso di unità familiare dei genitori e della sorella. In un certo senso, è proprio grazie al suo male che gli altri riescono a ritrovare, almeno in parte, la loro identità.

Perché leggere E poi saremo salvi

Con grande lucidità, la Carati dipinge un quadro familiare perturbato da tensioni, che rappresenta molto bene le dinamiche complesse che vivono le famiglie immigrate. La struttura del romanzo rispecchia il forte senso di frammentazione interiore che si abbatte sui protagonisti. I capitoli, molto brevi ed incisivi, danno un ritmo tagliente al romanzo, che diventa il grido di dolore di una famiglia lacerata dalle disgrazie.

E poi saremo salvi è una lettura emozionante che ci spinge a rivivere sulla nostra pelle i sentimenti contrastanti della perdita e della separazione. Le parole della Carati risuonano nella nostra mente come un canto di ribellione per chi è alla costante ricerca di un’identità perduta. I protagonisti della vicenda si allontanano, scappano e, alla fine, si ritrovano uniti da un desiderio di riscatto sociale e umano.

Ognuno, a modo suo, cerca di superare il dramma dell’esilio: Aida si immerge nello studio, Damir dedica tutta la vita al lavoro, Fatima accudisce Ibro e si rifugia nella religione. Tutti loro cercano un equilibrio tra due culture, due mondi profondamente diversi, ma a cui sono ugualmente legati. Leggere E poi saremo salvi ci fa guardare con gli occhi dell’accoglienza le vecchie e le nuove generazioni di migranti, che fuggono dalla loro patria per inseguire un destino migliore.

Diego Bottoni

(In copertina Bordignon, For America. 1887, olio su tela)


Questo articolo fa parte della rassegna di Giovani Reporter in attesa del Premio Strega 2022.

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