Caffè Scorretto

L’operazione speciale di Erdoğan in Siria

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Partigiani

Sarà pure un bastardo, ma è uno dei nostri!

Franklin Delano Roosevelt, su Anastasio Somoza, dittatore del Nicaragua

I nostri valori

Era il 1939 quando il più amato fra i presidenti degli Stati Uniti rivolse ai suoi uomini queste parole rabbiose ma oneste. O, almeno, così riferirono in seguito alcune voci mai del tutto confermate. Di certo, essendo la patria della democrazia e della libertà ben poco restia a collaborare con regimi di estrema destra, la citazione attribuita a Roosevelt ci appare credibile. Come gli abitanti di Grecia, Spagna e Portogallo hanno imparato a loro tempo, al mondo ci sono due tipologie di dittatori: i nostri, a cui sono concesse enormi libertà (perché in fondo non sono poi così cattivi), e gli altri, cioè le varie reincarnazioni di Hitler da contrastare con ogni mezzo.

Appena l’anno scorso, l’attuale presidente del Consiglio si espresse in modo simile riferendosi al presidente turco. Erdoğan aveva appena commesso un affronto imperdonabile contro Ursula von der Leyen, incidente passato alla storia come Sofagate. Draghi, allora, profondamente risentito, lo incluse tra i “dittatori” con cui è necessario “cooperare per gli interessi del proprio paese”.

Se forse il despota turco fu sorpreso dal fanatismo che lega la classe dirigente italiana all’oligarchia europea, di sicuro ricevette anche una conferma importante: del suo fanatismo, quello contro gli oppositori politici, le donne e il popolo curdo, non si sarebbe preoccupato nessuno.

Perché i curdi

Tra tutti i popoli con cui gli occidentali sono entrati in contatto, pochi hanno subito un trattamento disonesto al pari dei curdi. Il primo tradimento avvenne alla fine della Prima Guerra Mondiale quando le potenze dell’Intesa imposero all’Impero Ottomano una pace che garantiva, tra le altre cose, uno stato curdo indipendente. Ma si ritenne che il trattato fosse una pace cartaginese e i nazionalisti turchi continuarono a combattere, riuscendo a soffocare le rivendicazioni separatiste nell’indifferenza dei protettori europei. Da allora il Kurdistan, che oggi conta circa 35 milioni di abitanti, è diviso in quattro fra Turchia, Iraq, Iran e Siria. Tutti Paesi poco inclini alla protezione delle minoranze.

Nel 2012 la guerra civile mobilitò i curdi siriani e le milizie da loro guidate furono protagoniste della lotta di liberazione contro l’Isis, conflitto che divenne un vero e proprio scontro di civiltà. A quel brutale integralismo ultraconservatore i curdi contrapposero un modello sociale nuovo, il confederalismo democratico, fondato sulla democrazia diretta, la parità di genere, l’ecologismo e i diritti delle minoranze.

Abbandonati di nuovo

È anche per questo che la Turchia restò immobile mentre ai suoi confini si combatteva l’eroica battaglia di Kobane (raccontata dal fumettista Zerocalcare). Ed è per questo che Erdoğan si appresta oggi a lanciare l’ennesima operazione speciale contando sul placet della comunità internazionale impegnata altrove. Forse le forze a guida curda, che già ricevettero armi e appoggio aereo dagli Stati Uniti, hanno perso dei punti in un qualche freedom index; o forse, più semplicemente, è da sempre una questione di convenienza e non di valori.

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La situazione geopolitica in Siria nella rappresentazione di Limes alla vigilia del nuovo intervento militare annunciato da Erdoğan.

Erdoğan e l’invasione

Adesso la terza invasione del Kurdistan siriano sembra entrata nel tavolo delle trattative sull’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO, accusate da Erdoğan di sostenere i “terroristi” curdi. Il portavoce di Washington Jens Stoltenberg, dal canto suo, ha già messo in chiaro le cose definendo “legittime” le “preoccupazioni di sicurezza” di Ankara. Ironia della sorte, forse è la Russia l’unico attore in campo ancora esitante (non certo per internazionalismo proletario) a dare il via libera ai turchi.

Per quanto riguarda l’Italia, al momento tutto tace. In realtà, non se ne parla spesso ma il nostro Paese ebbe un ruolo nella vicenda curda: nel 1998 Abdullah Öcalan, il futuro teorico del confederalismo democratico, arrivò in Italia per chiedere asilo politico ma il governo lo respinse e qualche mese più tardi il rivoluzionario curdo finì nelle mani dei servizi segreti turchi. A Palazzo Chigi c’era l’ex comunista Massimo D’Alema e il suo vice si chiamava Sergio Mattarella.

Federico Speme

(In copertina repubblica.it)


C’è Resistenza e resistenza è il decimo articolo di Caffè Scorretto, una rubrica di Federico Speme.

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