“La Vagabonda” (SE, 2021), più che un romanzo d’amore, sembra essere la celebrazione della rinuncia all’amore. Colette segue le vicende di una giovane donna alle prese con l’insicurezza della scelta di vivere sola e dover provvedere a se stessa con un salario appena sufficiente. Per questo Renée Néré è un personaggio ancora estremamente attuale.
Il romanzo breve La Vagabonda fa parte della prima produzione di Sidonie-Gabrielle Colette e, come molti altri, si intreccia profondamente con le vicende di una biografia anticonformista e ribelle, che ritroviamo nei tratti della protagonista.
Colette
Sidonie-Gabrielle Colette (1873-1954), scrittrice e attrice teatrale francese, nasce in un paese della Borgogna, a contatto con la natura e gli animali, ma anche la musica e la letteratura, elementi caratteristici di tutta la sua scrittura. Viene educata da una madre dalla mentalità aperta, atea e anticonformista.
A circa sedici anni conosce quello che quattro anni più tardi diventerà il suo primo marito, Henry Gauthier-Villars… non esattamente il prototipo del principe azzurro.
Trasferitasi con lui a Parigi, Colette entra negli ambienti mondani e artistici della capitale di cui fanno parte il marito e gli scrittori di cui lui cura le pubblicazioni. È così che inizia a collaborare per giornali e riviste e a scrivere i primi romanzi della serie di Claudine. Ogni libro sarà tuttavia pubblicato a nome di Henry Willy, pseudonimo del marito, detentore anche di tutti i diritti d’autore.
Scoperti i numerosi tradimenti del marito negli anni, Colette infine se ne separa nel 1907. Più o meno intorno a questa data inizia la carriera di attrice e mima nei music-hall. Si lega sentimentalmente al ricco Auguste Hériot, del quale però rifiuterà la proposta di matrimonio. Nel 1910 esce a puntate su Le Vie parisienne La Vagabonda.
“La Vagabonda”
Renée Néré, “letterata che è finita male” e ora attrice nei music-hall, vive in un piccolo appartamento di un condominio di Parigi che ospita tutta una serie di “signore sole”.
Divorziata dopo otto anni da un marito che la tradiva, ora Renée è costretta ad abbandonare la scrittura e guadagnarsi recitando il cibo, l’affitto e con essi la libertà.
Attorniata da una folla di attori senza radici e meta che si spostano continuamente di città in città, l’unico punto di riferimento per lei rimangono la fida compagna di vita, la cagnolina Fossette, e gli amici Hamond e Margot.
Renée ha smesso da tempo di cedere alle lusinghe degli spettatori che vanno e vengono dal suo camerino professandosi amanti fedeli, ma che dietro ai fiori e alle belle parole, non sono capaci di rapporti sinceri. E tuttavia di fronte alla tenacia di un giovane, Maxime Dufferein-Chautel, anche questa attrice solitaria sembra alla fine potersi concedere un’altra possibilità.
L’uomo-animale e l’animale-uomo
Tra le luci del palcoscenico offuscate dal fumo degli avventori e i camerini che odorano di composti chimici, la protagonista si muove circondata da una multiforme varietà di artisti. Jadin, la cantante dalle zampette calde, il ballerino Bouty con il cuore di cane senza padrone, gli acrobati tedeschi dal pelo biondo, la stessa Renée volpe gaia. E a capo dell’Empyrée-Clichy, il locale in cui si esibisce, la Padrona, “la domatrice” di questa inconsueta fauna umana.
Gli uomini descritti assumono e parlano un linguaggio tutto loro, fatto di “non si delinea” e “porco lavoro”. Una lingua incomprensibile agli “Altri”, quel mondo esterno che li lascia ai margini e si cura di loro soltanto un’ora di vita su ventiquattro, quella della messinscena sul palco.
Anche Renée ben presto ha assunto la “diffidenza selvatica” degli artisti verso il resto del mondo. È la consapevolezza della loro diversità che nonostante il vagabondare di teatro in teatro, li rende parte di un gruppo, un branco. Tuttavia, pur condividendo le difficoltà di questa vita precaria, tra gli attori non si instaura mai una vera confidenza. Come il volto, così la vita privata viene celata sotto strati di trucco e costumi di scena.
Gli unici che all’interno del romanzo non abbaiano e non mordono sono Hamond e Margot. I due amici sono i soli esseri umani con cui Renée riesce a stabilire un dialogo sincero, a togliere la maschera e mostrarsi così com’è.
Allo stesso tempo l’animale si fa uomo in Fossette, la cagnolina compagna di tante avventure. Fossette gioca a carte, fa la capricciosa, detesta la borghesia parigina, fa la corte a Maxime, sembra capire le cose molto prima della padrona. Diventa insomma l’incarnazione della parte più istintiva di Renée, di tutti i pensieri e sentimenti che la protagonista porta con sé e si sforza continuamente di “tenere al guinzaglio” per evitare che prendano il sopravvento.
Sola ma libera
La matita blu, il rossetto sanguigno e la cipria coprono il viso e le sue emozioni dal mondo esterno. Almeno fino a che l’impietoso specchio dell’appartamento non mostra a Renée il volto dalla smorfia triste e isolato nella cornice dorata. Ogni superficie riflettente nel romanzo diventa la brutale raffigurazione di tutte le sue paure: la solitudine, l’allontanamento dei vecchi amici, la precarietà economica, il corpo che invecchia.
La narrazione in prima persona, attraverso le frasi che si spezzano e la ripetizione delle parole, rende il procedere irregolare della mente e il soffermarsi ossessivo su determinati pensieri. I termini più ricorrenti – sola, isolamento, silenzio e vagabonda – esprimono l’angoscia e la precarietà della protagonista per questa vita. Renée impara ben presto a doversi prendere cura della salute del corpo di ballerina, il suo “capitale”, in quanto unica preziosa fonte di guadagno.
Cos’è allora che la spinge a sopportare tutto questo, anziché gettarsi tra le braccia del primo spettatore ammaliato? Un’ultima parola, costantemente presente: la libertà. Una condizione che va di pari passo con la solitudine e la miseria, ma a cui la protagonista non è disposta a rinunciare.
Renée ha infatti scelto consapevolmente questa vita. Una decisione inconsueta per una donna degli inizi del Novecento, quella di divorziare dal marito. Così la protagonista si deve scontrare con amici e conoscenti che tentano di dissuaderla e la pressione sociale che non vede di buon occhio una giovane che vive sola e non le rende facile nemmeno la ricerca di una casa.
L’amore
Anche Maxime, il nuovo amore, assume spesso tratti canini. Maxime è infatti un uomo, e in lui si realizza la dicotomia tra la parte razionale e “l’animale malvagio dal desiderio feroce”. È qui che dominano quegli istinti irrazionali che Renée ha imparato a temere e tenere alla larga.
Nemmeno con lui Renée riesce a instaurare un dialogo, anzi spesso le conversazioni tra loro avvengono attraverso l’intermediario Hamond. Il rapporto amoroso, anche nei momenti più idilliaci, viene descritto come una lotta e la protagonista rischia di diventare la cagna al guinzaglio o la cerva uccisa dal cacciatore.
Anche con Maxime l’attrice mette in pratica il collaudato meccanismo di difesa, il trucco. Mai una volta Renée gli mostra il suo vero volto, costantemente attenta a dissimulare l’età e i primi segni della vecchiaia che avanza.
La sincerità della scrittura
Se nei dialoghi Renée calibra ogni parola, l’unico momento in cui parla con sincerità sembra essere quello in cui prende la penna in mano. Scrivere infatti è “effondere rabbiosamente sul foglio tentatore tutta la sincerità del proprio io”. La stessa protagonista confessa che all’origine della sua attività scrittoria ci sono stati i numerosi tradimenti del marito.
Nelle lettere che i due si scambiano durante la tournée, forse rassicurata dalla lontananza, Renée per la prima volta esprime dubbi, incertezze e paure. Alle parole misurate del dialogo diretto si contrappongono paradossalmente le missive scritte di getto, non rilette, dalla grafia rapida e diseguale.
No, non gli direi niente. Ma scrivere è così facile.
Renée
Il matrimonio: aspettative VS realtà
La proposta di matrimonio di Dufferein-Chautel sconvolge però questo nuovo amore. Sposarsi significherebbe vincolare un sentimento da tutti considerato libertinaggio, abbandonare la promiscuità dell’attrice per la tranquilla sicurezza della casalinga; e non essere più sola. Tuttavia, Renée sa anche che il matrimonio implica un nuovo padrone per cui diventare governante, infermiera, balia.
Fare, insomma, da intermediaria tra il marito e il resto del mondo, ma non essere padrona di un suo mondo. Di nuovo Renée avrà il coraggio di abbandonare questa promessa di agiatezza in nome della libertà, per essere vagabonda e autonoma, “tremendamente libera e sola”.
Nonostante Colette si sia sempre dichiarata lontana dalle istanze femministe della sua epoca, è indubbio che dalla sua vita, e da romanzi come La Vagabonda, emergano l’immagine e la possibilità di una donna libera e anticonformista, pronta a sfidare regole e convenzioni sociali.
All’immagine edulcorata di un romantico amore da favola, l’autrice contrappone un rapporto in cui manca il dialogo e dove a dominare sono i desideri corporei. Il matrimonio, approdo idealizzato e obbligato dell’esistenza di qualsiasi donna dell’epoca, viene visto nei termini di un vero e proprio contratto di cui la protagonista soppesa i pro e i contro.
La forza di Renée nello sfidare questi obblighi sociali è ancora oggi un monito positivo a credere con coraggio nelle proprie scelte. La Vagabonda è un romanzo che nella sua scrittura soggettiva e “diffidenza selvatica” verso il mondo esterno è un invito a rivolgerci al nostro interno. Renée ci spinge a compiere uno scavo non semplice dentro di noi per trovare i valori che ci muovono; a non temere di seguirli e abbandonare per essi quelle false sicurezze che non ci renderebbero però realmente felici.
Veronica Del Puppo
(In copertina e nell’articolo foto di Colette)
Per approfondire La Vagabonda: Colette, di Wash Westmoreland, disponibile su Amazon Prime Video.
“La vagabonda”, di Colette – Solitudine o libertà? è un articolo realizzato in collaborazione con Sistema Critico. Un gruppo di studenti universitari che si pone come obiettivo il racconto del reale in modo critico e giovanile, avvicinando le persone alle questioni che il mondo ci pone ogni giorno.