Da elemento strutturante di una società comunitaria a legame affettivo individuale: l’amicizia ha conosciuto tante declinazioni quante sono le epoche che ne hanno sperimentato le incredibili forze e l’ambigua fragilità.
Il significato del termine “amicizia” è stato oggetto di riflessione filosofica fin dall’antichità, a partire da fonti letterarie come l’Etica Nicomachea di Aristotele, il Laelius de Amicitia di Cicerone, le Epistulae ad Lucilium di Seneca e il dialogo Liside di Platone.
Questo perché, oltre a essere condizionato, come qualsiasi concetto sociale, dalla successione delle diverse epoche storiche, è sempre stato contrassegnato da una maggiore ambiguità rispetto a fenomeni più irrazionali come la passione amorosa; e ancora oggi il termine “amicizia” è nella bocca di tutti, soprattutto quando si tratta di ridurne il valore estendendolo senza discernimento a qualsiasi tipo di relazione.
La φιλία dei poemi omerici
Già nei poemi omerici l’espressione usata per designare l’amico, φίλος (phìlos), è polisemantica e, in alcuni casi, persino intraducibile in modo adeguato.
La sfera delle relazioni non competitive risulta espressa, nel lessico omerico, dall’aggettivo phìlos, dal predicato philèin e dal sostantivo philòtes, che valgono “amico”, “amichevolmente disposto”, “il ben volere”. Bisogna ricordarsi che, in Omero, tutto il vocabolario dei termini morali è fortemente impregnato di valori non individuali ma relazionali. Quella che noi possiamo considerare una terminologia psicologica […] indica in realtà le relazioni dell’individuo con i membri del suo gruppo.
Émile Benveniste. Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee (Einaudi, 2001)
I poemi omerici, perciò, sono specchio di una cultura ancora priva di una cognizione di individualità psicologica, e ne è indice il rapporto esistente tra il termine φιλία (philìa) e contesti e usi riconducibili alle istituzioni ospitalità, l’ambito del focolare domestico e i comportamenti affettivi.
Una società essenziale
La società omerica è, infatti, “essenziale”: tutte le relazioni sono inserite in un quadro pratico, spesso utilitaristico. Non può sfuggire, però, come mette in luce Roberto Luca nel saggio Labirinti dell’Eros (Marsilio, 2017), che non pochi esempi omerici trasgrediscono questa rigida schematizzazione.
Basti pensare all’episodio del libro IX dell’Iliade in cui Fenice, parlando ad Achille, definisce così l’accoglienza riservatagli da Peleo:
Ed egli mi accolse con tutto il cuore,
e mi amò come un padre amerebbe un figlio suo.
Omero. Iliade IX, vv. 480-481
Fenice è un uomo straniero che entra a far parte dell’ambito familiare di Peleo secondo i modi consueti dell’ospitalità, la ξενία (xenìa). Le sue parole ci forniscono un chiaro esempio di quella connessione tra mondo individuale e relazionale che, come ci illustra il passo, presenta i suoi prodromi già nei poemi omerici; anche se si potrà parlare di un suo più definitivo consolidamento con l’esordio della lirica.
Una forma d’amore
Nel Laelius de Amicitia di Cicerone, una delle più celebri fonti antiche che trattano il tema, l’amicizia è descritta come “un incontro perfetto di tutti i motivi umani e religiosi, realizzato con la benevolenza e l’amore”.
Io vi posso soltanto incoraggiare ad anteporre l’amicizia a tutte le cose umane, niente è tanto consono alla natura, niente è tanto conveniente alle situazioni favorevoli tanto a quelle avverse.
Cicerone. Laelius de Amicitia, 17.
Secondo Cicerone, niente può essere anteposto all’amicizia, perché il bene supremo coincide con la virtù, che è allo stesso tempo il principale fondamento di un legame affettivo sincero e solido. Quest’ultimo, infatti, procura vantaggi non solo nelle situazioni favorevoli, rendendole ancora più prospere, ma anche nelle res incertae, i momenti più duri, portando luce e speranza.
Il suo carattere fruttuoso e utilitaristico è, però, solo una conseguenza, non il fondamento. Per Cicerone, infatti, l’amicizia non nasce dalla debolezza e dal bisogno dell’uomo, ma ha origine nella sua stessa natura, nel suo sensus amandi, ovvero dall’inclinazione dell’animo congiunta con una certa volontà d’amore.
È la virtù che quando si è mostrata in tutto il suo splendore, quando ha individuato e riconosciuto in un’altra persona la sua stessa luce, gli si avvicina e la accoglie a sua volta. Da questo incontro divampa l’amore , o l’amicizia, se preferisci, perché la ragione etimologica delle due voci sta nell’amare; e amare non è altro che aver cura cara la persona a cui si vuole bene, ma senza interesse, senza fini.
Cicerone. Laelius de Amicitia, 27.
Meritare l’amicizia
Anche nell’Etica Nicomachea leggiamo di una simile definizione di amicizia “buona”:
L’amicizia perfetta è quella dei buoni e dei simili nella virtù. Costoro infatti si vogliono bene reciprocamente in quanto sono buoni, e sono buoni di per sé; e coloro che vogliono bene agli amici proprio per gli amici stessi sono gli autentici amici (infatti essi sono tali di per se stessi e non accidentalmente); quindi la loro amicizia dura finché essi sono buoni, e la virtù è qualcosa di stabile; e ciascuno è buono sia in senso assoluto sia per l’amico.
Aristotele. Etica Nicomachea, 1156b.
Anche Aristotele, come Cicerone, è fermamente convinto che un legame affettivo autentico e virtuoso sia esclusivo degli uomini buoni, ovvero di coloro che sono disposti a meritare l’amore piuttosto che sperare di trarre il maggior vantaggio dall’amico, come si fa per il bestiame.
L’amicizia naturale, quella che si fa desiderare per se stessa.
Cicerone. Laelius de Amicitia, 80.
Del resto ognuno ama se stesso non certo per ricavare un compenso dall’amore che si porta, ma perché è caro a se stesso per legge naturale. E non troveremo mai un vero amico se non trasferiremo questo atteggiamento nell’amicizia. Perché il vero amico è un altro se stesso.
Cicerone. Laelius de Amicitia, 80.
Ipotecare i rapporti sociali
Quanto della concezione di questi grandi pensatori antichi persiste nelle relazioni che pullulano numerose e cagionevoli al giorno d’oggi, in quella che Zygmunt Bauman definisce “modernità liquida”?
Nel saggio Amore liquido (Laterza, 2006, ora 2022) Bauman paragona i rapporti sociali che si tendono a instaurare al giorno d’oggi a meri investimenti: “Minore è l’ipoteca, meno sicuro ti sentirai quando sarai esposto alle fluttuazioni del futuro mercato immobiliare; meno investi nella relazione, meno insicuro ti sentirai quando sarai esposto alle fluttuazioni delle tue emozioni future”.
Possiamo, perciò, definirci consumatori anche nelle relazioni sociali: accumuliamo persone come fossero beni da smaltire non appena risultino inutili ai nostri scopi – all’appagamento immediato di qualsiasi nostro bisogno.
Perché correre dei rischi investendo la nostra emotività in una singola e duratura relazione quando le persone, le prospettive di futuri e nuovi rapporti sociali, di nuove “merci” sono a portata di click?
In una società in cui la prossimità virtuale si è trasformata in un parametro ben più importante della distanza reale, niente ci permette di eludere il mondo meglio del nostro cellulare: possiamo rimanere connessi, circondarci di persone tranquillamente interscambiabili e scongiurare l’alto costo che comporterebbe un impegno sentimentale; e, intanto, rimaniamo stabili, immuni da fluttuazioni emotive, ma chiusi nella gabbia della nostra individualità, in compagnia di individui che vanno e vengono, ci sfiorano senza attraversarci, senza cambiarci, senza migliorarci.
E, alla fine, come potrebbero? Come possono opporsi a una corazza che respinge profondità e stabilità a favore dei rispettivi contrari?
Quando manca la qualità, si ricerca rifugio nella quantità. Quando non c’è niente che duri, è la rapidità del cambiamento che può redimerti.
Zygmunt Bauman. Amore liquido.
La sconfitta del sensus amandi
Molte delle relazioni odierne sono, perciò, calcolate ed eccessivamente soppesate sulla base della convenienza, del bisogno e del profitto che se ne può trarre. Il sensus amandi di cui parla Cicerone è destinato a essere un successo raro in un mondo ossessionato dalla quantità, dalla novità e dalle statistiche, a discapito della spontaneità, dell’unicità e della qualità.
Pur di non arenarci in possibili difficoltà, rischi di perdite future e passi avventati, siamo disposti a eludere ogni istinto e ostacolo prima ancora che da immaginario e presupposto diventi reale e necessario. Tutto questo, però, non ci reca alcun rimpianto, dispiacere o inquietudine: il mondo pullula di persone, o meglio, di prodotti ancora tutti da testare e consumare.
E così il gioco ricomincia da zero e il passato non conta: l’importante è non avere sperperato denaro, avere concluso l’affare senza danni, senza un eccessivo dispendio emotivo. La novità è sempre alla porta in un mondo frenetico, produttivo e, soprattutto, insaziabile.
Felici o illusi?
Oggigiorno tra i giovani di lingua inglese, quando si vuole esprimere apprezzamento per qualcosa si dice che è “cool”, letteralmente “fresco”. Si tratta di un termine appropriato; qualunque altra caratteristica le azioni e interazioni umane possano avere, non si deve mai permettere che si riscaldino e soprattutto che si mantengano calde.
Zygmunt Bauman. Amore liquido.
Tuttavia, investire poco nei legami affettivi non ci rende individui selettivi. Tutto il contrario: una relazione vale l’altra e le differenze che arricchiscono il mondo in cui abitiamo sono depauperate di tutto il loro valore. Invece di affidarci a poche persone buone, respingiamo l’incertezza e l’ignoto, vincolati da un’illusoria ricerca di benessere e felicità.
Come possiamo perseverare nella ricerca della scelta giusta, garantirci una serenità edificante quando – timorosi – rifiutiamo l’errore, o meglio, persino la possibilità di sbagliare? Preferiamo rimanere asserragliati dentro la nostra cupola di vetro, impenetrabili, sempre sulla difensiva, sempre sul punto di cliccare “cancella”, “blocca”, “invia”.
Ci assicuriamo che i nostri sentimenti e, quindi, la nostra unicità permangano inviolati e nascosti al nostro interno per paura che comprometterci ed esporci comporti più perdite che guadagni.
E così non siamo che attori: malleabili, performanti, perennemente impegnati a celare crepe che fanno paura. Crepe che rischiano di unirci; e, del resto, esiste forse un collante più potente della fragilità?
In balia tra la paura di fidarsi e il bisogno di conferme
L’altra persona può protendere una mano invisibile verso di noi, sfiorare le nostre corde più profonde, rifletterci nella nostra versione più completa. Come dice Cicerone, “l’amico è un altro se stesso”.
Tuttavia, un timore ci annichilisce, ci spinge ad accontentarci di un’individualità che di certo noi, ostinati nella ricerca costante di bersagli elusivi ed effimeri, non possiamo avere la pretesa di scoprire e rivelare.
Meglio tenere il mistero sigillato al nostro interno, chiudere ogni pertugio: lasciarsi attraversare può risultare pericoloso, la mano invisibile dell’altro può accarezzarci così come stringerci, stritolarci, sconvolgere il nostro equilibrio interiore. Non abbiamo il coraggio di fidarci, ma, soprattutto, il coraggio di avere coraggio.
“Oggi tutto il mondo sembra cospirare ai danni della fiducia”. La fiducia è una forza dinamica essenziale: senza di essa tutto rimarrebbe immobile, nell’attesa costante di una conferma, di certezze irraggiungibili. Noi, però, non possiamo permetterci di correre rischi, preferiamo crogiolarci nella nostra illusoria sicurezza, ingannati dalla favola millenaria secondo cui la ricerca della felicità conduce alla felicità; e così ignoriamo che incertezza e speranza sono in realtà propulsive nell’istaurazione di qualsiasi relazione.
Nei Demòni, uno dei personaggi più enigmatici che Fëdor Dostoevskij abbia mai creato dice: “Tutto è buono… Tutto. L’uomo è infelice perché non sa di essere felice. Soltanto per questo. Questo è tutto, tutto! Chi lo comprende sarà subito felice, immediatamente, nello stesso istante…”.
Impegnati a scongiurare la terribile minaccia di un rapporto stabile, ci circondiamo di persone che non abbiamo scelto, ma che ci sono semplicemente capitate. Potremmo discernere le amicizie da altri tipi di rapporti sociali, costruire legami di fiducia, imperniati sul rispetto dell’unicità reciproca, ma tutto questo richiederebbe pazienza, impegno e, soprattutto, una spesa emotiva che rapporti più smaltibili e sostituibili possono risparmiarci.
Vera amicizia o relazione tascabile?
Una volta che si è accettata una amicizia bisogna credere in essa; prima di accettarla bisogna che sia vera amicizia.
Seneca. Epistulae ad Lucilium, III, 2.
Seneca, con queste parole, rivendica il valore di un’amicizia autentica e seria che non si limita al piano superficiale sul quale, al giorno d’oggi, tendiamo ad abbandonare incoltivati ed evanescenti i nostri legami sociali. Più che instaurare relazioni casuali e scartabili senza difficoltà, converrebbe piuttosto avvicinarsi alle persone giuste.
Come riconoscere, però, gli amici buoni per noi se, così impazienti, bisognosi di immediatezza e garanzie come siamo, recidiamo ogni legame prima ancora che abbia il tempo di evolversi? Preferiamo piuttosto accontentarci e allo stesso tempo tenerci a debita distanza. In questo modo “non si stringono pastoie e non si legano mani”, affermerebbe Bauman. Catherine Jarvie conia il termine “relazioni tascabili” per definire rapporti che si tengono in tasca, di modo che possano essere poi tirati fuori quando servono.
Una relazione tascabile di successo è dolce e di breve durata.
Catherine Jarvie
Bauman commenta così l’affermazione di Jarvie:
Possiamo presumere che sia dolce perché di breve durata, e che la sua dolcezza risieda precisamente nella piacevole consapevolezza del fatto che non occorre farsi in quattro per prolungarne la dolcezza; in pratica, non devi fare assolutamente nulla per goderne.
Zygmunt Bauman. Amore liquido.
Piacere immediato o scoperta di noi stessi?
In questi ultimi anni, inoltre, si può riscontrare un crescente uso del termine “relazioni tossiche”. Tutto questo, se da una parte designa l’acquisizione di una maggiore consapevolezza riguardo alla qualità delle proprie relazioni, dall’altra parte rischia di degenerare in una generalizzazione controproducente.
Tutte le relazioni più intime possono comportare delle complicazioni. La “purezza” e la perfezione di un legame spesso coincidono con la sua transitorietà: così come è facile illudersi che una persona sia perfetta finché non la si conosce bene, allo stesso modo è facile godere del piacere immediato che una relazione, nella sua breve durata, è capace di garantire.
Siamo solo degli ingenui se pensiamo di poter stornare il male coprendo con un velo divisivo ogni cosa, persone e oggetti, oppure peggio, illuderci che il velo corrisponda alla realtà, ciechi di fronte a ogni brillio che attira e seduce. Non ci capacitiamo che questa tendenza produca solo un vagabondaggio continuo da un godimento all’altro e ci allontana dal nostro vero bisogno: la scoperta di noi stessi, di un io che sente la necessità di confrontarsi con l’altro per (ri)conoscersi.
E, come ci insegna lo stesso Eschilo con il principio del πάθει μάθος (“pàthei màthos”), soprattutto nel dissidio e nel dolore possiamo apprendere molto di noi stessi.
Parliamoci chiaro: cosa e dove saremmo senza la nostra infelicità? Essa ci è, nel vero senso della parola, dolorosamente necessaria.
Paul Watzlawick. Istruzioni per rendersi infelici (Feltrinelli, 2013)
Mentire è più facile
L’amicizia descritta da Cicerone, quella che si fa desiderare per se stessa, è quindi sempre più un’eccezione. Non siamo più indipendenti e sicuri, solo più passivi, malleabili e timorosi.
Quando l’obiettivo primario è l’appagamento immediato, conoscere noi stessi e l’altro non può che diventare un optional; tanto vale camuffarci: simulare ciò che non siamo e dissimulare ciò che siamo.
A tal proposito, Cicerone si chiede: “e se è vero che la forza dell’amicizia sta nel fare, in certo modo, di più anime una sola, come può avvenire ciò, se neppure in una sola anima è possibile trovare un’anima sempre uguale a se stessa e se questa può essere diversa, mutevole, molteplice?”.
In conclusione, continuiamo pure a chiuderci nella nostra individualità; continuiamo a mentire a noi stessi e agli altri, a ipotecare relazioni a danno di qualsiasi solidarietà e vera amicizia, e potremmo definitivamente considerarci vincitori nella nostra illusione e perdenti nella nostra moralità.
Giulia De Filippis
(In copertina Wilson, Cicerone, Attico e Quinto nella villa di Arpino. 1771 ca, olio su tela)