
“Giovani Reporter” è un nome che inganna. Se pensi di voler diventare un giornalista, un reporter, probabilmente questo non è il posto giusto per te. Però ecco, sei giovane. E allora forse, potresti puntare su quello.
Questo non è un articolo
Se ci penso bene, non ne ho mai scritto uno.
A intervalli regolari, tra il desiderio di fare marketing (un po’ per vedermi con un completo nero e degli occhiali scuri, un po’ perché, in fondo, nessuno sa cosa effettivamente implichi occuparsi di marketing) e il desiderio di fare la principessa del mondo (e devo ammettere, non con poco imbarazzo, che quello rimane) e c’è sempre stato il mio sogno nel cassetto: diventare una giornalista. Se però mi fermo un attimo a pensarci, capisco che io, del giornalista, non ho proprio niente. Perché per intraprendere un lavoro così dovrei essere a mio agio con le parole.
Il giornalista fa questo; le ha studiate così tanto tempo, da masticare tutti i loro segreti. Da trovarle ordinarie, nella norma. È così che riesce a riportare fatti, avvenimenti, opinioni, nella modalità richiesta da un mondo che accetta socialmente la pacatezza. La serenità. Io, di sereno, non ho neanche il nome.
Le parole dentro di me
Basta un niente, come un cucchiaino che scivola dalle mani e cade nel caffè macchiato, un sospiro umido in aria, un pensiero triste, per smuovere quello tsunami di emozioni che si nutre di altre emozioni, si alimenta di sentimenti irrequieti, e procede per inerzia fino a quando dentro di me non rimane che una punta di luce. Quella maledetta soddisfazione che pietrifica tutto quello che ho prodotto, e lo rende un risultato intoccabile.
Sì, è perfetto, mi dico da sola. E lo è. Lo è davvero. Come non potrebbe? Era esattamente quello che volevo, ogni inciso, ogni virgola, ogni punto (perché sinceramente, a quale interiorità tormentata verrebbe in mente di inserire un punto e virgola?).
Scrivi per te
Scrivere non è piacevole. Non è piacevole la sensazione prima, in cui ogni centimetro del tuo corpo urla libertà di sfogo. Non è piacevole dopo, quando capisci che forse non è servito a niente. Forse. E nel bel mezzo di questa tempesta, riposa il suo significato.
È sederti tenendo tra le mani un foglio bianco e immergerti in apnea dentro quella vischiosa materia nel diaframma che devi cercare di estirpare, nello spazio tra un respiro e un battito di palpebre. Quella sensazione di impotenza quando, nel momento in cui trovi il modo di ridurre i pensieri in parole, senti di avere una tempesta di grandine nel petto. Che ti fa piangere. È aspettare il momento giusto, in cui non importa più nient’altro. Ci sei solo tu. Con i tuoi pensieri.
Scrivere è capire quanto ti ami, nel momento in cui forse sarebbe più facile odiarti. Perché il brutto alla fine non si è mai celebrato davvero, nonostante proprio nel brutto ci si appigli sempre a qualcosa di meraviglioso. E nel caso non volessi abbandonare questo brutto, ma anzi dargli anche più spazio? Se volessi sfruttarlo per conoscermi, anche a dispetto di grattugiare quella tanto agognata pacatezza che dovrei acquisire diventando adulta?
Il brutto che forse dovremmo esaltare dentro di noi
Si può rimanere ragazzi per sempre? Sempre infuocati o gelidi?
Giovani Reporter è nato dal bisogno che un ragazzo aveva di conservare il suo brutto. E come lui, un altro, un’altra, un altro ancora e altri dieci, altri cento, altri mille. Tutti quanti con il desiderio di addolcire degli spigoli senza cambiarne la forma. Perché mai dovremmo cambiare quello che siamo per adattarci ad un futuro che possiamo adattare a noi? Questo non è un articolo, non ne ho mai scritti. Forse non ne scriverò mai.
Eppure, dentro di me, sono felice così.
Elettra Dòmini
(In copertina Steve Johnson da Unsplash)
L’articolo che non ho mai scritto è il testo numero 999 di Giovani Reporter, il primo di Mille e non più Mille, che celebra il traguardo dei mille articoli per Giovani Reporter.