Giornalisti sulla sottile linea rossa
Fare del buon giornalismo non significa solo passare le giornate in ufficio per le canoniche otto ore lavorative. Se riusciamo a conoscere meglio il mondo oltre le mura della nostra città o i confini del nostro stato, lo dobbiamo a persone coraggiose. Persone che filmano, documentano e raccontano ciò che per noi è impensabile. Non un lavoro per tutti, ma soprattutto non un lavoro privo di rischi.
Di solito anche le milizie più crudeli chiudono un occhio di fronte alla scritta “press” e ad un microfono, spingendosi al massimo a qualche dichiarazione pubblica per incutere timore alle fazioni avversarie; di solito, appunto.
Il volto simbolo di questi eroi è oggi quello di Shireen Abu Akleh, giornalista di fama internazionale per conto di Al Jazeera. Il fatto che lei sia stata uccisa mentre era al servizio di tutti noi nel campo profughi di Jenin, in Palestina, forse non stupisce nemmeno quanto dovrebbe, ed è proprio questo il problema.
La superficialità dei media
I media occidentali si sono espressi con molta parsimonia riguardo all’accaduto, pubblicando titoli superficiali che non rendevano giustizia alla tragedia in questione. Manca il coraggio di scrivere nero su bianco la realtà dei fatti, a costo di far infuriare i piani alti di Tel Aviv. Coraggio che non è mai mancato a Shireen e a tanti suoi colleghi che continuano a battersi per gli ideali di libertà e giustizia, anche rischiando la propria vita. Questa è l’ennesima dimostrazione di quanto il conflitto israelo-palestinese sia polarizzante per la nostra società. Troppi gli interessi miliardari per chi ha le vesti del carnefice.
Un colpo tra le spalle e la testa, lì dove nessun giubbotto può proteggere. È una scena che si ripete, atroce e dannatamente ingiusta, quella della giornalista che crolla a terra esanime, sotto una pioggia di proiettili.
Su chi abbia sparato, sembra inutile specificarlo, si sta speculando sia da una parte che dall’altra, con il governo israeliano che tenta con tutti i mezzi di giustificarsi. Soffermarsi ora sulle dichiarazioni di una e dell’altra fazione risulta alquanto inutile.
La voce della Palestina
Con la morte di Shireen Abu Akleh, la Palestina perde una delle giornaliste più influenti, un faro nella nebbia di quelle voci troppo spesso taciute e soffocate nel sangue. La donna, da sempre in prima linea nel raccontare gli eventi più critici del Medio Oriente, era diventata un modello da seguire per tutti i giovani e le giovani nel mondo arabo.
I suoi reportage e il suo ricordo di certo non svaniranno nella memoria collettiva del popolo palestinese, aggrappato disperatamente a figure di questo calibro per dar voce alla resistenza che lo mantiene vivo.
Quanto appena detto trova conferma nelle immagini che provengono dal funerale della vittima. In molti video rapidamente diffusi, si vedono uomini dell’esercito israeliano accanirsi con violenza contro il corteo che trasportava la bara. Il feretro rischia più volte di cadere, un vilipendio di cadavere in piena regola.
Un atto incomprensibile, irrispettoso e inumano, prontamente criticato anche dall’Occidente, a partire dalla Casa Bianca. Scene che fanno inorridire ma che, in fondo, non sorprendono. Ci stiamo abituando a tutto questo, a martiri che muoiono raccontando quello che nessuno vorrebbe sentire.
La guerra sa di essere insensata e crudele e ha da sempre paura di una telecamera e di un microfono, armi in grado di smuovere l’animo di comunità intere, che però raccogliendosi nel dolore sanno ritrovare la forza di reagire, tutte le volte in cui sarà necessario.
Jon Mucogllava
(In copertina il murales che è stato dedicato a Shireen Abu Akleh)
Hot Topic! è una rubrica curata da Alessandro Bitondo, Camilla Galeri, Jon Mucogllava e Alessandro Sorrenti.