In primo luogo è bene ricordare non senza riserve che la tragedia attica del V secolo è senza ombra di dubbio un’esperienza politica; non solo, come ricorda giustamente Nicole Loraux (1999), ma in buona parte. E tanto ci basti, per il momento e per questa sede. Il suo fine ultimo, secondo Aristotele (Poetica 1449b 27-28), era la catarsi, una purificazione rituale raggiunta tramite la visione della messa in scena, in una sorta di educazione della cittadinanza attraverso il mito. L’attendibilità di questo discorso è molto discussa dai filologi; tuttavia, sappiamo che sicuramente la tragedia non aveva soltanto questo obiettivo, tendeva anche e soprattutto a propagare i valori che tenevano insieme la πόλις (pòlis); e il veicolo costitutivo dell’unità era, ovviamente, il mito (Rodighiero, 2013).
L’universo tragico si inserisce tra due mondi, quello del passato mitico e quello del presente reale (Vernant, Vidal-Naquet, 2001) perché nel conflitto tragico l’eroe, il re, il tiranno appare collocato nella tradizione eroica e mitica, ma la soluzione non è mai data all’eroe solitario: riflette sempre il trionfo dei valori collettivi della πόλις (nonostante Canfora – 1986 – critichi l’assolutismo di quel mai e di quel sempre); si veda, come esempio su tutti, la soluzione delle Supplici di Eschilo affidata all’assemblea e non ai poteri del solo tiranno Pelasgo.
La funzione educativa però è fondamentale: Aristofane fa dire ad Eschilo (Rane, 1054-1055) la celebre frase “per il fanciullo c’è il maestro, per gli adulti ci sono i poeti”. E il luogo in cui questi poeti “maestri” insegnavano era il teatro.
Una tragedia “politica”
Dunque, la città era committente dell’opera poetica. E per questo, per educare i cittadini del presente e quelli del futuro, era necessario che l’autorità politica controllasse i contenuti delle tragedie, applicando una sorta di “censura preventiva” (Canfora, o.c.) attraverso l’analisi delle parti corali (e forse anche di una sorta di sinossi della tragedia: Cerri, 1992) in quanto parti più pregne di contenuto ideologico. Ogni anno, in seguito a questa analisi, l’arconte eponimo si occupava di assegnare i cori tragici ai tre tragediografi che avrebbero portato in scena le loro opere nel corso delle Grandi Dionisie.
Dobbiamo immaginare, tuttavia, un meccanismo abbastanza “elastico”, dominato da diverse fazioni politiche in perenne lotta tra di loro; non veri e propri partiti politici, ma piuttosto “gruppi variamente e occasionalmente collegati” (Canfora, o.c.), in un magma fluido di interessi politici e personali. In un primo momento emergeva una fazione, in un secondo momento un’altra, in base dell’arconte del singolo anno.
È fuor di dubbio, tuttavia, che la tragedia ateniese è stata prima di tutto politica. E, nelle distribuzioni dei cori, nelle lodi di un politico rispetto ad un altro, nelle articolate trame di miti antichi come il tempo stesso, ebbero luoghi alcuni dei giochi di potere di una delle stagioni più fervide e brillanti della storia dell’Occidente che va sotto il nome di “democrazia” non di meno che in tribunale o sui campi di battaglia.
Le premesse: Frinico e Temistocle
Non di tutte le tragedie abbiamo una datazione sicura. Tuttavia, dove questa ci è stata tramandata, possiamo fare congetture sul senso che tale messa in scena possa aver rappresentato nell’Atene del V secolo e sulle reazioni suscitate nel pubblico.
Il primo grande protagonista dell’utilizzo politico della tragedia è Temistocle. Non è un caso, infatti, se quest’ultimo proprio nel 492 a.C., in qualità di arconte eponimo, abbia concesso il coro a Frinico per la messa in scena della Presa di Mileto (su un episodio storico del 494) rinunciando addirittura alla “copertura” mitologica, perché riteneva inevitabile lo scontro tra la Grecia e la Persia (Tucidide I 14,3).
In base alle fonti che abbiamo, possiamo dire che l’operazione si risolse in un disastro: il teatro scoppiò in lacrime e Frinico venne multato per il valore di 1.000 dracme (forse perché aveva ricordato agli Ateniesi il loro tentativo, vano, di supportare la cosiddetta “rivolta ionica” capitanata proprio da Mileto). Circa quindici anni dopo, nel 476, sarà lo stesso Temistocle, questa volta come corego, a finanziare le Fenicie (con come tema la vittoria di Salamina, del 480), sempre di Frinico.
I Persiani
Nel 472, invece, è la volta di Pericle (il venticinquenne erede politico di Temistocle) a finanziare la coregia di un’altra importante tragedia di argomento storico: i Persiani di Eschilo, la più antica tra le opere che ci siano giunte in forma integrale.
La posizione di Eschilo è dichiaratamente filo-temistoclea, e questo elemento emerge molto nel corso dell’opera. Quando, ad esempio, il “finto” tradimento di Temistocle viene assunto come punto di partenza della disfatta persiana; o, ancora, quando si esagera con la descrizione – quasi “apocalittica”, verrebbe da dire – della distruzione dell’impero di Serse (Persiani 584-590), forse per appoggiare la politica temistoclea che già vedeva lontana la minaccia persiana e che aveva individuato in Sparta il prossimo nemico di Atene (al contrario di Cimone, ad esempio, apertamente filo-spartano).
Il fondamento della politica ateniese di quel periodo, del resto, è la ricerca dell’impero egemone in quanto legittima vincitrice della guerra contro i Persiani e ufficiale “salvatrice” dell’indipendenza delle πόλεις (pòleis) greche.
Temistocle stesso, inoltre, in quegli anni sta sicuramente vivendo un periodo complesso dal punto di vista politico: proprio tra il 472 e il 471, infatti, viene condannato per alto tradimento, ostracizzato (con un uso alquanto strumentale dell’accusa di appoggio ai Persiani da parte delle potenti famiglie dei Filaidi e degli Alcmeonidi) e costretto a rifugiarsi ad Argo.
I Sette contro Tebe
Nel 468, poi, l’arconte Apsefione rimuove il collegio dei giudici e lo sostituisce con il collegio dei coreghi, guidato da Cimone, il grande avversario politico di Pericle. E, non a caso, quello è l’anno della prima grande vittoria di Sofocle, all’esordio, sul veterano Eschilo.
Appare abbastanza curioso, inoltre, che, proprio l’anno in cui ad Argo prevale momentaneamente l’aristocrazia (467), Eschilo nei Sette contro Tebe porti in scena il racconto di una guerra “sbagliata” di Argo, quella che ha visto la città guidata da Adrasto coinvolta nella lotta fratricida tra Eteocle e Polinice per il potere su Tebe. Argo, infatti, è sempre stata al centro in primis dell’opera politica di Temistocle e in secundis dell’opera poetica di Eschilo, come vedremo meglio più avanti. Non possono essere coincidenze (Canfora, 1986).
Le Supplici
Le Supplici vengono messe in scena in un momento cruciale della politica ateniese, tra il 466 (anno della vittoria di Cimone contro i Persiani alla foce dell’Eurimedonte) e il 462/461 (riforma di Efialte dell’Areopago). Alla luce di questa datazione appaiono abbastanza evidenti i più importanti riferimenti politici: l’esaltazione di Argo come terra che accoglie esuli innocenti (è proprio lì che arrivano le Danaidi protagoniste della tragedia) e il richiamo all’assemblea popolare come strumento di esplicitazione della vox populi; e ovviamente l’elemento è fuori contesto nel tempo cristallizzato del mito greco e in una città come Argo, con Pelasgo come sovrano assoluto.
Eppure, nonostante questo, Pelasgo più volte fa riferimento alla necessità di consultare il proprio popolo prima di prendere la decisione. Il riferimento ai poteri dell’assemblea popolare in materia di politica estera, a un anno dalla riforma di Efialte, suonano come un duro attacco all’Areopago (il tribunale nato in epoca monarchica e ora formato dagli ex arconti) e alle prerogative politiche che esso si era assunto dopo le guerre persiane – con le quali, tra l’altro, aveva processato Temistocle.
Ai versi 940-949 delle Supplici, dopo il parere favorevole del popolo, Pelasgo può difendere le Danaidi dal messo egiziano che le vorrebbe riportare in patria, anche a costo di scatenare una guerra. E questo perché ha l’appoggio del suo popolo.
L’Orestea, finalmente
Si è detto che la risposta democratica all’eliminazione politica di Temistocle non sia tardata ad arrivare, per mano di Efialte, la cui riforma (462-461) smantella definitivamente il potere politico dell’Areopago. E nel finale dell’Orestea (458 a.C.) Eschilo porta Oreste proprio di fronte al tribunale penale dell’Areopago, in terra ateniese.
Secondo la versione tradizionale del mito, dopo l’uccisione di Clitemestra a seguito della morte di Agamennone, Oreste venne perseguitato dalle Erinni e dovette rifugiarsi in argolide, dove venne giudicato dai dodici Dèi Olimpii in concilio e decretato innocente. Ma questo a Eschilo non basta (Lesky, 1957), non furono sufficienti per lui i riti di espiazione e l’arco di Apollo.
Per capirlo dobbiamo tornare indietro di tre anni e precisare alcuni dati sopra menzionati, al 462/461 a.C., quando Efialte, cogliendo l’occasione di una momentanea lontananza di Cimone da Atene, toglie le prerogative politiche aggiunte da poco all’Areopago (che di base ha solo il potere giudiziario) e tiene lì soltanto i reati di sangue. La riforma è un trauma della vita politica ateniese, e lo possiamo ben intuire da due elementi:
- Il fatto che sia stata approvata soltanto quando Cimone era lontano dalla patria;
- La morte in un agguato dello stesso Efialte, sempre nel 461.
Atene contro Sparta
L’obiettivo di Eschilo, dunque, nel reinventare il mito classico e nello spostare il giudizio di Oreste da Argo ad Atene, attribuendo ad Atena la fondazione dell’Areopago, è collegare quel tribunale alla persecuzione dei delitti di sangue, ruolo nel mito affidato alle Erinni. Ed è la stessa Atena (Eumenidi, 681-710) a parlare alla città di Atene, definendo e di fatto limitando i poteri attribuiti all’Areopago ed esaltandone le prerogative etiche prima che politiche. Il discorso serve a suggellare la riforma di Efialte, senza che questa possa trasformarsi in una guerra civile (Canfora, o.c.).
E, allo stesso modo, l’invocazione finale di Oreste ad una eterna alleanza tra Argo ed Atene nella mente di un ateniese dell’epoca doveva ricordare i solenni giuramenti appena scambiati tra le due città, attraverso i quali Atene si schiera dalla parte di Argo, antagonista democratica di Sparta nel Peloponneso.
Del resto, come aveva già visto Temistocle con il suo genio politico e militare, a partire dalla fine dei conflitti persiani tutte le strade stanno lentamente conducendo Atene e Sparta al grande confronto che sarà la Guerra del Peloponneso (431-404 a.C.). E ognuna delle due città ha già iniziato a prepararsi con le armi di cui dispone.
Davide Lamandini
(In copertina Emy Nguyen da Unsplash)
Bibliografia minima:
- Canfora, Luciano. Storia della letteratura greca (Laterza, 2013);
- Cerri, Giovanni. La tragedia (in Lo spazio letterario della Grecia Antica, Salerno, 1992);
- Condello, Federico. Elettra: Storia di un mito (Carocci, 2011);
- Di Benedetto, Vincenzo. L’ideologia del potere e la tragedia greca: ricerche su Eschilo (Einaudi, 1978);
- Di Marco, Massimo. La tragedia greca (Carocci, 2019);
- Dodds, Eric. I greci e l’irrazionale (BUR Rizzoli, 2009);
- Lesky, Albin. Storia della letteratura greca (Il Saggiatore, 2016);
- Loraux, Nicole. La voce addolorata (Einaudi, 2001);
- Rodighiero, Andrea. La tragedia greca (Il Mulino, 2013);
- Snell, Bruno. Mito e realtà nella tragedia greca (in La cultura greca e le origini del pensiero europeo) (Einaudi, 2002);
- Vernant, Jean-Pierre; Vidal-Naquet Pierre. Mito e tragedia nell’Antica Grecia (2 volumi) (Einaudi, 2001).
Selezione delle edizioni in commercio delle opere citate:
- Aristofane. Rane (Rusconi, a cura di Vinicio Tammaro);
- Aristotele. Poetica (BUR Rizzoli, a cura di Diego Lanza; Fondazione Lorenzo Valla, a cura di Carlo Gallavotti; Bompiani, a cura di Domenico Pesce; Laterza, a cura di Guido Paduano);
- Eschilo. I Persiani (BUR Rizzoli, a cura di Franco Ferrari; Mondadori, a cura di Giorgio Ieranò);
- Eschilo. I Sette contro Tebe (BUR Rizzoli, a cura di Franco Ferrari; Mondadori, a cura di Giorgio Ieranò);
- Eschilo. Le Supplici (Accademia dei Lincei, a cura di Carlos Miralles, Vittorio Citti e Liana Lomiento);
- Eschilo. Agamennone (Accademia dei Lincei, a cura di Enrico Medda);
- Eschilo. Coefore (BUR Rizzoli, a cura di Luigi Battezzato);
- Eschilo. Eumenidi (BUR Rizzoli, a cura di Maria Pia Pattoni);
- Tucidide. La guerra del Peloponneso (Rusconi, a cura di Pietro Rosa).