“Divorzio di velluto“, di Jana Karšaiová (Feltrinelli, 2022), candidato al Premio Strega 2022, è un libro di cui non è semplice scrivere. Come di ogni libro, qualcuno potrebbe obiettare. Ma in questo caso la difficoltà non è dovuta soltanto alla fatica di condividere la bellezza e le emozioni che il testo infonde. In questo caso è anche l’opera in analisi ad essere estremamente complessa.
Distanza, distanze
Al centro di tutto sta la distanza. Una parola molto potente che non va intesa, ovviamente, nel senso più comune di lontananza geografica. La distanza, o meglio, le distanze del libro avvengono tutte sul piano sentimentale.
La protagonista del romanzo si chiama Katarina, è di origini slovacche, ma vive a Praga, capitale della Repubblica Ceca, e torna per Natale a Bratislava dai genitori. Non è con il marito, con il quale sta attraversando un periodo di crisi.
La notizia sconcerta la madre di Katarina, già profondamente insicura da quando l’altra figlia, Dora, è scappata di casa per vivere da sola.
Attorno al racconto della separazione tra la protagonista e il marito si snodano le vicende degli altri comprimari: Viera, un’amica di Katarina che per amore di una professoressa è andata prima a studiare, poi a vivere in Italia. Jozef, il padre, condotto all’alcolismo dalla delusione nei confronti del nuovo Stato slovacco. Eugen, il marito, uomo d’affari della Praga-bene di cui si esplora il rapporto con la famiglia e gli amici. E, infine, la Slovacchia, non una comprimaria, ma una presenza costante nelle traversie di tutti i personaggi che, volenti o nolenti, devono comunque rapportarsi con lei e con il suo ambiguo passato.
E fin dal titolo è evidente il paragone tra gli eventi narrati e i fatti storici: la Rivoluzione di velluto del 1989 e l’ordinario divorzio tra Katarina ed Eugen. Ironicamente pronti a dividersi senza colpo ferire, come le due Nazioni separate – Slovacchia e Repubblica Ceca – che rappresentano le origini di ciascuno dei due. La distanza assume, in questo caso, anche una sfumatura storica.
Il tempo e lo spazio
È impossibile trascurare la natura che il tempo assume in questo romanzo. Una natura logora, distrutta, fatta a pezzi. I tentativi dei vari personaggi di ricomporlo alla buona sono encomiabili ma fallaci; tutti, e in particolare Katarina, si perdono nei ricordi. Agli occhi del lettore questa scomposizione si sostanzia in una grande diversità di piani temporali. Inizialmente confusionaria, diventa più accettabile quando ci si accorge che la somma di questa frammentazione è un quadro d’insieme del tutto coerente.
I luoghi rivestono un ruolo altrettanto centrale nel romanzo. Bratislava, in primis, terra di radici per tutti i personaggi; che però la maggior parte di essi ha abbandonato, conservandola, preziosa, come un ricordo. Praga, la città avvertita dagli slovacchi come la vecchia capitale, suscita in Katarina un sentimento astratto di deferenza e circospezione. E l’Italia, luogo di fuga, in cui Viera e Katarina riscoprono se stesse in maniere inaspettate.
Bratislava era diventata la capitale di un paese che nessuno conosceva, Praga, la magica, lusinghevole e perfida aveva attirato le folle per essere dissanguata. Ciò che non era cambiato era la posizione dei due paesi, uno a fianco dell’altro.
Jana Karšaiová, Divorzio di velluto
In generale parlare di tempo e di spazio all’interno di Divorzio di velluto offre il rischio di cadere in errore. E questo perché il lettore, come anche Katarina e gli altri personaggi, è di fatto continuamente sballottato da un luogo all’altro, da un tempo all’altro. In una condizione che è quella degli esuli, di chi ha perso le proprie radici, di chi si rende conto all’improvviso che i confini sono solo linee su una mappa, e i ricordi piccoli spazi della memoria visitati così spesso da sembrare reali.
Una somma di esperienze
Punti di forza di Divorzio di velluto sono l’ardore e la vividezza di certe scene. L’autrice dell’opera, Jana Karšaiová è infatti in grado di giostrarsi perfettamente all’interno della sua opera. Stupisce che una scrittrice all’esordio, e neanche di madrelingua italiana, riesca a scrivere così bene. Subentra allora la componente autobiografica della che sicuramente ha influito in maniera considerevole sul risultato del romanzo. Essendo nata nel 1978 a Bratislava, ha assistito in prima persona agli sconvolgimenti politici del periodo e, secondo la quarta di copertina, ha abitato a Praga, Verona e Ostia. Luoghi tutti presenti o in qualche modo rievocati nel romanzo.
L’aspetto autobiografico non spiega però le abilità di scrittura drammatica di Karšaiová. Capacità che si spiegano soltanto con l’esperienza teatrale. In Divorzio di velluto il teatro non compare, eppure è presente a livello stilistico. A partire dal farraginoso incipit, fatto di preparazione generale della scena, fino ai grandi allestimenti drammatici dell’epilogo. È degno di particolare menzione, poi, il confronto conclusivo tra Katarina e Eugen, che avviene in un clima freddo a pochi passi dal suggestivo Metronomo di Praga. Un enorme pendolo che mozza l’aria durante l’alterco tra i due protagonisti.
Non si deve, però, commettere l’errore di considerare Divorzio di velluto soltanto un agile resoconto di esperienze. Poiché sicuramente l’autrice ha incontrato molte difficoltà nella scrittura, dal momento che per lei l’italiano è una seconda lingua. Come altri scrittori esuli dell’Est Europa (Elias Canetti, Herta Müller, Milan Kundera e soprattutto Ágota Kristóf, alla cui prosa essenziale la Karšaiová, per sua stessa ammissione, si ispira), anche l’autrice di questo libro ha perduto la lingua madre. E questo tema, anche se compare poco nel romanzo, senza dubbio l’ha toccata nel profondo.
Gli aspetti negativi
Nonostante Divorzio di velluto sia una buona opera prima, non è priva di lati negativi.
L’asciuttezza della prosa e la parsimonia dei dettagli rappresentano in effetti un ostacolo nella prima parte del testo, in cui il lettore è avido di stimoli e non sa ancora come orientarsi nella materia letteraria. Chiaramente, questa essenzialità dello stile è in parte dovuta all’utilizzo di una lingua acquisita e non di nascita.
E la parchezza viene in parte corretta sul finale, dove la prosa decolla nel momento in cui Katarina tira le somme della sua esistenza. È dunque un errore, se errore si può chiamare, in parte giustificato e in parte sanato.
(foto di Josef Stepanek da Unsplash)
Ma c’è un altro elemento di disturbo: la densità degli eventi che accadono nel romanzo. Descrizioni e considerazioni dei personaggi, se usate nel modo giusto, sgonfiano la serrata cronaca degli eventi e forniscono l’occasione per fantasticare e riflettere. Cosa che qui succede poco, forse soltanto nell’epilogo.
L’altra critica va verso la cattiva gestione delle storie dei personaggi. Molti non vedono risolto il loro percorso e questioni subodorate o ampiamente snocciolate nel corso del romanzo sono liquidate nel giro di un capitolo o due. Soltanto la storia di Katarina è trattata con la profondità che merita; le altre, che pure sono molto interessanti, come ad esempio la vita di Viera, non hanno il finale che dovrebbero avere.
Giudizio finale e Premio Strega
Divorzio di velluto è un ottimo romanzo d’esordio che, pur con i suoi difetti, riesce a infondere nel lettore un frastagliato insieme di emozioni. Se il compito di un libro è condividere qualcosa con il suo lettore, questo ci riesce benissimo. La mala gestione di certi aspetti dell’opera si può essere considerare come un piccolo incidente di percorso, qualora si guardi al risultato finale.
Ciò che rende Divorzio di velluto tanto meritevole è la leggerezza che non scade mai nella banalità. L’autrice si muove in superficie e riesce a toccare tasti diversi dell’anima dei personaggi. Il fatto che questo romanzo si trovi nella dozzina finale del premio Strega perché già di per sé un traguardo ragguardevole, per un’opera prima. Anche se ci sono poche possibilità di vittoria, dato che accade soltanto in circostanze particolari che lo vinca un esordiente.
Sia chiaro, probabilmente proprio per questo Divorzio di velluto non merita di vincere: perché, come già detto, si tratta di un prodotto acerbo. Nonostante questo, però, resta una di quelle opere che fa ben sperare nei confronti del premio Strega, che da tempo premia romanzi a dir poco dimenticabili, e che ultimamente sta vivendo una buona stagione.
“Il buio che si portava dentro era solo buio, sotto scorreva la vita, per tutti, anche per lei”
Jana Karšaiová, Divorzio di velluto
Giorgio Ruffino
(in copertina foto di Zoriana Stakhniv da Unsplash)
Questo articolo fa parte della rassegna di Giovani Reporter in attesa del Premio Strega 2022.