Gli attacchi all’Anpi
Sono trascorsi settantasette anni dalla Liberazione. Non sarà un tempo sufficiente perché la sua memoria diretta scompaia del tutto, ma di sicuro è abbastanza da renderla sbiadita e quindi vulnerabile a forzature storiche. Ne sa qualcosa l’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), oggetto nei giorni scorsi di volgari attacchi dalla parte più becera del giornalismo mainstream italiano.
Secondo certi critici, i comunicati dell’Anpi sulla guerra d’Ucraina sarebbero un’offesa alla memoria dei partigiani e il presidente dovrebbe dimettersi per il bene dell’associazione.
Ovviamente l’Anpi ha condannato con fermezza l’invasione, così come ha condannato la strage di Bucha, sulla quale ha rilasciato una dichiarazione analoga a quella del segretario generale dell’Onu. I fatti, però, interessano ben poco a questi squadristi dell’informazione. Ciò che gli importa è affossare le idee o le persone che ritengono sovversive. Come prova della loro disonestà, infatti, è sufficiente andare indietro di pochi mesi e ricordare le polemiche contro Alessandro Barbero.
Gli stessi identici “giornalisti” che adesso attaccano l’Anpi (Aldo Grasso, Massimo Gramellini, Gianni Riotta…) se la presero allora con il noto storico, reo di aver denunciato come revisionista la cosiddetta giornata del ricordo delle foibe; cioè il contro-25 aprile, da sempre auspicato dall’estrema destra per mettere sullo stesso piano nazi-fascisti e partigiani. Niente male, per chi oggi accusa l’Anpi di aver tradito lo spirito fondativo.
Il paragone sbagliato
Ma se fosse tutto qui, allora non avremmo molto su cui discutere. Ciò che dovrebbe preoccuparci, in realtà, è un altro fatto che rientra anch’esso tra gli attacchi alla Resistenza: il parallelismo tra la guerra di Liberazione dei partigiani italiani e quella dell‘esercito regolare ucraino contro l’invasione russa.
Spiace dirlo, perché il momento è delicato, però questo è un paragone da evitare. Prima di tutto, perché se l’esercito ucraino corrispondesse ai partigiani, allora Putin sarebbe Hitler e dunque gli “Alleati” della NATO dovrebbero combatterlo fino alla sua completa sconfitta militare: uno scenario che ci condurrebbe dritti alla guerra atomica, cioè all’estinzione.
In secondo luogo, ci sono delle differenze politiche di fondo tra ciò che è stata la nostra Resistenza e ciò che è oggi la resistenza ucraina. Il rapporto con il fascismo ne è un elemento cruciale. Mentre i partigiani italiani (per ovvi motivi) non avevano la minima ambiguità nei confronti del fascismo, lo stesso non si può dire dell’Ucraina. C’è infatti una fetta della società che, per forgiare una nuova identità nazionale nettamente separata da quella russa, è giunta a rivalutare le formazioni nazionaliste che nel ’41 si schierarono con i tedeschi.
Ne è un esempio la figura di Stepan Bandera, collaborazionista della Wehrmacht, venerato dai settori più estremi del nazionalismo ucraino, ma abbastanza popolare perché gli vengano dedicate marce, medaglie, monumenti e strade. E ci sono poi le milizie neo-naziste, come l’immancabile reggimento Azov, già beatificato da Massimo Gramellini e Giuliano Ferrara.
Sarà pur vero che la propaganda russa ne esagera parecchio l’importanza, ma già il fatto che sia stato inserito nell’esercito regolare anziché sciolto (come sarebbe accaduto in un qualunque paese democratico) ci conferma un’ambiguità valoriale ben lontana dai nostri standard.
Rispettiamo la storia d’Italia
È proprio parlando di valori che la differenza emerge con chiarezza. Davvero pensiamo di poter accostare Petro Poroshenko e Yulia Tymoschenko ad Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti? O il buon Zelensky a Sandro Pertini? Paragoni del genere fanno venire la pelle d’oca.
L’Ucraina di oggi è dominata da oligarchi, da corrotti e da etno-nazionalisti (o tutte e tre assieme) mentre l’Italia rinata dalla Resistenza era guidata da eroi veri e giganti del pensiero politico. Dal compromesso tra di loro ha avuto origine un’avanzatissima Costituzione democratica fondata sull’uguaglianza sociale e sul ripudio della guerra. Quale persona con un minimo di sale in zucca scommetterebbe su un simile epilogo per l’Ucraina di domani?
La ricchezza valoriale della Resistenza e l’esperienza a tratti rivoluzionaria che essa ha rappresentato la rendono unica e inestimabile. Ecco perché non usiamo quella parola quando ci riferiamo a tutti gli altri “aggrediti” (e sono parecchi) dalla guerra di Troia ad oggi. Ma abbiamo davvero bisogno di banalizzare la nostra storia per provare compassione per ciò che sta subendo il popolo ucraino? Le parole di Cecilia Strada forniscono un’ottima risposta:
“Non si proteggono le vittime perché sono brave, irreprensibili, perfette. Si proteggono perché è giusto, e lo si fa anche quando hanno contraddizioni, anche quando non ci piacciono. Altrimenti, che cosa succede? Succede che quando la vittima ci piace un po’ meno, o ci interessa poco o non ci piace affatto, non sentiamo più il bisogno di proteggerla.”
Federico Speme
(Immagine di copertina da Ansa)
C’è Resistenza e resistenza è il decimo articolo di Caffè Scorretto, una rubrica di Federico Speme.