L’ultima volta che ho scritto per Giovani Reporter era il 20 luglio 2021. L’articolo si occupava del trentesimo vertice Usa-Russia dall’inizio della Guerra Fredda: Joe Biden e Vladimir Putin si erano incontrati e, secondo il mio parere di allora, il realismo politico aveva avuto la meglio su un approccio più aggressivo nelle relazioni internazionali. Questo poco meno di un anno fa.
Dopo una breve disamina circa i precedenti storici che indicavano come la diplomazia e il dialogo fossero stati confermati come strumenti vincenti, mi azzardavo a concludere che in sede internazionale la razionalità aveva sempre prevalso, rispetto ad una propaganda nazionale più bellicosa e poco applicabile su scala mondiale. Affermavo tutto questo prima che Putin decidesse di invadere l’Ucraina il 24 febbraio 2022.
Una guerra, oggi
Gli ultimi decenni sono stati i più pacifici della storia dell’umanità. Come sostenuto da Ugo Tramballi, senior advisor dell’ISPI e storico corrispondente del Sole 24 Ore, gli europei fino a un paio di mesi fa tendevano a rifiutare l’idea che una nuova guerra sarebbe potuta scoppiare appena fuori dalle loro porte di casa. Tutto ciò è sicuramente dovuto al fatto che da quasi 80 anni non si sono verificati conflitti armati nei territori dell’Unione Europea.
Ma non si tratta solo della percezione generale. Tanti esperti delle relazioni internazionali e giornalisti reputavano impossibile un’effettiva invasione dei confini ucraini da parte dell’esercito russo. Al 30 aprile, possiamo dire con certezza che la politica di Putin non corrisponde a questo diffuso approccio ottimistico.
Tuttavia, non credo che si possa rinnegare quanto auspicato l’estate scorsa: le guerre, soprattutto quelle espansionistiche, sono ormai fenomeni anacronistici. Per essere più chiari ancora: le guerre come comunemente le intendiamo, ossia con vincitori e vinti, non sembrano appartenere a questo secolo.
Nel Novecento, le maggiori potenze si sono formate tramite guerre di espansione territoriale coronate da successo, ma oggi l’occupazione di un altro Paese crea solo problemi per l’occupante. Già dalla guerra in Vietnam fu chiaro, infatti, che intervenire in un altro Stato, con qualsivoglia giustificazione, voleva dire entrare in un incubo senza fine.
Putin: l’eccezione che conferma la regola?
La conferma più eclatante di questo assunto è l’Afghanistan: nel 2021, dopo 20 anni di guerra, le truppe USA si sono ritirate e hanno lasciato il Paese in mano ai talebani, il cui regime tanto avevano cercato di sgominare un ventennio prima. In poco tempo e senza troppa fatica i talebani hanno ripreso l’intero territorio afghano.
Vladimir Putin probabilmente non ha voluto fare tesoro dell’esempio offerto dai rivali storici della Russia.
Forse avrebbe potuto prendere a modello il suo principale alleato internazionale: la Cina, vera potenza in ascesa, che ha evitato i conflitti militari armati e si è conquistata il suo ruolo nel mondo tramite investimenti strategici.
E, del resto, Pechino si è accuratamente sottratta dal prendere una posizione netta sulla questione ucraina, riconfermando ancora una volta che non è disposta a sacrificare interessi economici in nome di uno schieramento ideologico nella scacchiera mondiale.
Tra passato e presente
Oggi, le maggiori potenze non hanno ragioni e competenza per queste vecchie strategie espansionistiche, mentre le classi dirigenti sono convinte che si tratti di un modus operandi obsoleto. Questo spiega ancora di più l’errore commesso da Putin, che non ha alcuna chance di uscire vincitore da questo folle scontro armato. Se anche riuscisse a ottenere la completa annessione dei territori del Donbass, il conflitto non ne sarebbe valso la pena.
Forse la comunità internazionale sta reagendo troppo tardi, dopo aver taciuto su tanti crimini già perpetrati dall’esercito russo: come durante le guerre cecene, che hanno portato al potere la famiglia Kadyrov, nota soprattutto per Ramzan Kadyrov, leader al fianco della Russia in Ucraina a commettere crimini di guerra, come aveva già fatto in Siria. Tuttavia, pur non essendo intervenute prima forse proprio in virtù dell’equilibrio di cui stiamo parlando, adesso le nazioni occidentali sembrano determinate a fare fronte comune.
La realtà o percezione della realtà?
La censura non opera bloccando il flusso di informazioni, ma inondando le persone di disinformazione e distrazioni.
Yuval Noah Harari
Quando Y.N. Harari, storico e saggista israeliano, ha deciso di scrivere 21 lezioni per il XXI secolo (Bompiani, 2019) l’obiettivo era far largo nelle acque torbide della disinformazione.
L’opera indaga infatti ciò che può essere fatto in merito al rischio di una nuova guerra globale e in riferimento ai pregiudizi che potrebbero scatenare simili conflitti.
Se ci fidassimo della propaganda, se ci lasciassimo affascinare dalla retorica guerrafondaia, perderemmo di vista la realtà dei fatti già evidente da anni: nessun Paese metterebbe in pericolo i benefici economici garantiti dalla stabilità politica mondiale.
Quando una potenza perde di vista questa verità, ottiene come unico risultato la riconferma che agire controcorrente e rompere gli ordini internazionali sia solo un modo per perdere status e ricchezza. In aggiunta, l’attenzione sempre maggiore riservata alle vittime civili e il coinvolgimento di massa non permetterebbero a nessun Paese di parlare ancora di “effetti collaterali”, ma li costringerebbero a dover rispondere delle barbarie perpetrate.
Analizzare lucidamente l’informazione di cui fruiamo tutti i giorni è già di per sé complesso, farlo con la narrazione di un conflitto è ancora più spinoso. L’unica certezza che dovremmo tenere tutti a mente è che pur primeggiando in qualche battaglia, nessun Paese sarà mai più in grado di vincere una guerra.
Sara Valentina Natale
(In copertina news18.com)
Per approfondire: Guida alla Guerra in Ucraina con gli articoli di Giovani Reporter, con tutti i nostri articoli sul tema.
L’arte (perduta) della guerra – Vincitori e vinti sono passati di moda è un articolo realizzato in collaborazione con Sistema Critico. Un gruppo di studenti universitari che si pone come obiettivo il racconto del reale in modo critico e giovanile, avvicinando le persone alle questioni che il mondo ci pone ogni giorno.