In occasione dello scoppio della guerra in Ucraina , all’inizio del mese scorso Matteo Salvini ha tenuto un intervento in Senato in cui ha avuto modo di spiegare la sua prospettiva sulla guerra e sulla doverosa accoglienza del popolo ucraino.
“La guerra è un tema così grande che non permette divisioni o polemiche politiche […]. Dimostriamoci uomini e donne: fermiamo la guerra; poi ci ridivideremo dopo, però riuscire a polemizzare in un momento grave come questo non rende onore a questo Parlamento, alla classe politica e giornalistica italiana.” [Matteo Salvini]
“L’Italia avrà le porte spalancate per quelle donne e quei bambini, che sono profughi veri in fuga da una guerra vera, ben diverso da altro tipo di arrivi che la guerra la porta in Italia. […] Lì c’è una guerra vera e le case degli italiani sono aperte. Ci sono 230’000 cittadini con passaporto ucraino che hanno tutto il nostro sostegno perché sono una comunità perfettamente integrata, laboriosa, culturalmente e moralmente a noi vicina e quindi le nostre case, le nostre famiglie, le nostre scuole, i nostri ospedali sono assolutamente a loro totale disposizione.” [Matteo Salvini]
Diversità di trattamento
Sarebbe ingenuo credere che l’Onorevole Salvini non si sia reso conto di avere, a tutti gli effetti, strumentalizzato e polarizzato la discussione sullo scoppio della guerra e sull’emigrazione che ne è, fisiologicamente, scaturita.
Parlare di guerra e profughi veri presuppone che ci siano delle guerre e dei profughi falsi e non è nemmeno così ostico capire ciò a cui ci si riferisce: il pensiero cade all’istante sui numerosi sbarchi che sono da anni protagonisti dei telegiornali e delle campagne politiche, tra tutte, anche e soprattutto, quella di Matteo Salvini.
Qualche secondo prima di pronunciarsi sulla veridicità dei profughi e delle guerre, il Senatore in ogni caso ha ringraziato i premier di Polonia e Ungheria, Morawiecki e Orbán, per il grande sforzo di accoglienza offerto alla popolazione ucraina.
Preme, però ricordare, che i due Paesi non hanno sempre dimostrato questa stessa compassione: si pensi ad esempio alle bieche strategie politiche, fatte pagare sulla pelle dei migranti provenienti dal Medio Oriente, sul confine tra Polonia e Bielorussia; o alla sentenza della Corte Europea di Giustizia, arrivata a novembre dello scorso anno, che dichiara la legge ungherese in materia di immigrazione in contrasto con le direttive europee.
Questo tipo di approccio viene definito selective sympathy, “compassione selettiva”, che evidentemente rileva il razzismo più o meno latente della parte occidentale del mondo: siamo più disposti ad accogliere persone che ci assomigliano, quelle che Salvini definisce “culturalmente e moralmente a noi vicine”.
Il razzismo occidentale
In alcuni casi la matrice razzista si rende perfettamente visibile. Si pensi alla coppia di ventenni fuggiti dalla guerra in Ucraina che, arrivata a Palermo, ha trovato un alloggio, salvo poi vederselo negato quando i proprietari hanno scoperto che si trattava di due studenti di origini nigeriane: “profughi sì, ma neri no”, racconta Suor Anna Alonzo, che ha accolto i ragazzi.
In alcuni casi la matrice razzista si rende perfettamente visibile. Si pensi alla coppia di ventenni fuggiti dalla guerra in Ucraina che, arrivata a Palermo, ha trovato un alloggio, salvo poi vederselo negato quando i proprietari hanno scoperto che si trattava di due studenti di origini nigeriane: “profughi sì, ma neri no”, racconta Suor Anna Alonzo, che ha accolto i ragazzi.
In altri casi la radice è meno esplicita, si tratta di una cultura introiettata, di matrice coloniale; Oiza Q. Obasuyi su Internazionale lo spiega bene, riportando un passo di Discorso sul colonialismo di Aimé Césaire.
Quel che il borghese europeo non perdona a Hitler non è il crimine come tale, il crimine contro l’uomo; non è l’umiliazione dell’uomo in sé, ma il crimine contro l’uomo bianco, il fatto di aver applicato all’Europa metodi coloniali finora riservati agli arabi di Algeria, ai coolies dell’India e ai ne*ri d’Africa.
Aimé Césaire
Il passo di Césaire è molto forte: mette in discussione tutto, la visione che abbiamo della Storia e dell’attualità.
La costruzione del nemico
Questi elementi ci permettono di capire che le difficoltà logistiche che vengono propugnate quando si tratta di accogliere i profughi libici o afghani si possono supere, quando c’è la volontà di farlo; il problema è che alcuni profughi sono veri e vanno accolti, altri non lo sono e quindi costituiscono il nemico.
Umberto Eco, nel saggio Costruire il nemico, trascrizione di una conferenza tenuta dallo scrittore presso l’Università di Bologna nel 2008, afferma che “i nemici sono diversi da noi e si comportano secondo costumi che non sono i nostri”.
Nel breve testo vengono analizzate anche le modalità con cui, dalla Roma repubblicana alla politica contemporanea, le società hanno sentito la necessità di costruire un nemico dove non c’era, per un’esigenza di civilizzazione, di creazione di un’identità di gruppo in contrapposizione ad un’alterità pericolosa.
La diversità diventa così un elemento nocivo; e il nemico la rappresentazione della bruttezza in base all’ideale greco della καλοκἀγαθία (kalokagathìa), secondo il quale ciò che è buono è necessariamente anche bello: per converso, quindi, ciò che è brutto non può che essere malvagio. Secondo Eco, questa esigenza proviene dalle pulsioni più profonde: una comprensione razionale dell’altro, infatti, comporterebbe la distruzione del cliché.
Europei brava gente (?)
Lo scoppio di una guerra alle porte della civilizzata Europa ci ha toccato più intensamente delle immagini delle donne afghane ridotte al silenzio o di quelle delle torture perpetrate nei lager libici perché la popolazione ucraina e quella russa ci assomigliano, e noi ci consideriamo lontani dalla guerra.
Negli ultimi ottanta anni, dopo l’esperienza traumatica della Seconda Guerra Mondiale, l’Europa si è costruita una bolla di autoreferenzialità in cui ha potuto convincersi di essere la più evoluta e la più civilizzata. E, nel frattempo, non ci siamo resi conto di aver costruito una comunità di individui che si sentono rappresentati da una classe politica più interessata a parlare al loro stomaco piuttosto che alla loro testa.
E in questo dialogo istintivo e paradossale si continua a sostenere la necessità di doversi difendere dal diverso, l’esistenza di guerre vere e guerre false, che ci sono vite umane che valgono di più e vite umane che valgono di meno.
Sara Nizza
(In copertina time.com)
Come scegliamo i profughi di serie A e i profughi di serie B? è un articolo di Voci, una rubrica a cura di Elettra Dòmini.
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