Una delle ragioni per cui ero tanto felice di partire per l’Erasmus è la possibilità di sperimentare un sistema scolastico diverso da quello italiano, in cui, benché abbia buoni voti, non mi sono mai trovata molto a mio agio. Non amo particolarmente trascorrere tante ore sui libri a studiare e ripetere, magari dopo una mattinata di lezioni e soprattutto se le materie non mi interessano.
Appena arrivata ad Aarhus, in Danimarca, mi sono ritrovata all’interno di una università radicalmente diversa da quella a cui ero abituata, sia in termini di struttura delle lezioni che per i servizi offerti agli studenti. Questi ultimi si sono rivelati senza ombra di dubbio la parte migliore del mio soggiorno in Danimarca, quindi vorrei parlare di loro, prima di affrontare studio vero e proprio.
Dentro l’università
L’Università di Aarhus è strutturata in campus, simili a quelli statunitensi, divisi per dipartimento, tutti costruiti da relativamente pochi anni. Per essere certi che fossero distinti dal resto della città e unici nel loro genere, hanno reso gli edifici identici sia all’interno che all’esterno; cosa non è molto utile quando si è appena arrivati e si sta cercando la propria aula, magari sotto la pioggia.
Oltre alle aule, ci sono una mensa e diverse biblioteche, alcune appartenenti ad una specifica facoltà e una generale, chiamata Danish Royal Library, il mio luogo preferito in tutta la città.
Ciò che amo di queste biblioteche è l’organizzazione mirata a soddisfare ogni esigenza degli studenti.
È possibile portare cibo da casa oppure comprarlo direttamente alla Royal Library e, dopo aver trascorso lo scorso semestre a mangiare sotto la pioggia tra una lezione e l’altra, capite quanto possa apprezzare la cosa.
Tutte le biblioteche hanno sale studio, chiamate “reading rooms“, in cui studiare in silenzio, e stanze in cui ci si può incontrare con i colleghi e lavorare insieme. Hanno tavoli alti per studiare, tavolini da caffè con i divanetti e piccole sale conferenze che si possono prenotare. La Royal Library, inoltre, offre anche molti svaghi, dalle poltrone massaggianti (sì, avete letto bene) ad un sacco da boxe e ai tavoli da biliardino, che io amo particolarmente. Si può proprio dire che l’Università metta a disposizione dei suoi studenti tutto il possibile affinché possano studiare nella maniera più serena possibile.
La struttura delle lezioni
A questo punto penso sia il caso di parlare delle lezioni. Non vorrei perpetrare il mito che gli studenti Erasmus non facciano nulla tutto il giorno. In parte è vero, ma solo in parte.
- La prima differenza è la quantità di lezioni: in Italia abbiamo tra le due e le quattro lezioni a settimana per ogni materia, qui solamente una. Dal momento che, in media, il programma prevede tre corsi a semestre, ognuno ha circa tre mezze giornate occupate. E questo lascia agli studenti tempo per altre attività. Molti infatti riescono ad avere un lavoro già dal liceo, cosa che consente loro di diventare indipendenti prima rispetto ai ragazzi italiani.
- La seconda differenza, che mi ha molto stupita, è che certe materie siano frequentate da studenti sia della triennale che della magistrale. Le lezioni che si seguono sono esattamente le stesse, ma chi è in magistrale deve studiare del materiale aggiuntivo. Dal momento che le valutazioni vengono svolte tramite una tesina, che può trattare un argomento a scelta dello studente, sono ancora perplessa su come verifichino l’effettivo studio di questi argomenti extra. L’unica spiegazione che mi sono data è che, siccome qui il carico di lavoro è relativamente inferiore e di facile gestione, diano per scontato che nessuno provi a lavorare meno del previsto.
La differenza maggiore è, però, la struttura delle lezioni. Alcune si svolgono come le nostre: un professore spiega, aiutato da un PowerPoint, in un’aula occupata da un centinaio di alunni. Queste però sono l’eccezione, non la regola.
Un altro modo di stare in aula
Nella maggior parte dei casi in università il docente parla circa metà della lezione, se non un terzo, e il resto del tempo è occupato da domande, discussioni in classe e presentazioni portate dagli studenti. Questo è possibile per due motivi principali: innanzitutto, molti corsi sono hanno un numero limitato di persone che possono iscriversi, mediamente tra venti e trenta; il che rende facile una discussione di classe o dei lavori a gruppi in aula. In secondo luogo, gli argomenti del giorno devono essere letti prima della spiegazione, non dopo, così da avere già un’idea e poterne parlare in aula.
“Quindi voi dovete studiare in anticipo e parlate pure per metà lezione? A cosa serve il professore? Secondo me hanno ideato questo sistema per non dover lavorare“, ha commentato mia madre quando le ho raccontato tutto la prima volta.
Io, personalmente, apprezzo molto questo modo di fare lezione, che mi permette di partecipare attivamente e richiede che mi formi un parere su tutti gli argomenti, finendo per ragionare su ciò che studio in maniera più approfondita. Tuttavia, comporta anche il non poter mai restare indietro e non avere la stessa libertà nella gestione nello studio.
Non è possibile nemmeno saltare le lezioni, visto che non esiste un vero e proprio modo di recuperarle. Addirittura, con più di tre assenze non si può sostenere l’esame tramite tesina, come si è soliti fare, ma bisogna fare uno scritto a fine agosto, prima dell’inizio del nuovo semestre. Questa rigidità ha messo in difficoltà diversi studenti italiani, abituati a una libertà e a un’indipendenza che qui sono assenti.
Gli esami: assignments e essays
La mia personale perplessità su questo sistema scolastico riguarda principalmente gli esami. Pochi sono come i nostri, in cui ci si presenta in aula per una verifica scritta o orale sul programma. È più comune che si debba svolgere “assignments” o scrivere “essays”.
Nel primo scenario, il professore assegna un compito, ad esempio un caso clinico da valutare, a ciascun alunno, che avrà un paio di giorni per scrivere un report su come lui tratterebbe il suddetto caso. Nel secondo scenario, gli studenti devono scrivere una tesina, di diversa lunghezza a seconda che siano in triennale o in magistrale, su un argomento collegato a quelli affrontati durante le lezioni.
A mio avviso, manca quindi una valutazione sulla conoscenza generale della materia e su quanto gli allievi abbiano effettivamente imparato durante le lezioni. Non saprei dire cosa mi ricorderò degli argomenti che ho studiato, a parte quelli che ho approfondito durante le presentazioni o su cui baserò i miei essays.
Non credo che potrei dire in maniera assoluta quale sistema sia il migliore, perché, come qualsiasi cosa nella vita, ognuno dei due ha pregi e difetti e, soprattutto, funziona in maniera diversa a seconda della persona. Penso però che sia lodevole e di grande merito una struttura che si impegna al massimo per assicurarsi che chi la frequenta riesca a lavorare al meglio. Una struttura che in ogni studente vede una persona e non un numero.
Alice Buselli
(In copertina l’Università di Aarhus, in Danimarca)
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