Cultura

“Niente di vero”, di Veronica Raimo – Costruire muri, invocare amori

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Niente di vero” (Einaudi, 2022) è l’ultimo romanzo di Veronica Raimo, candidato al Premio Strega 2022, un’autobiografia che non parla di una vita straordinaria, avventurosa o incredibile, ma di un’esistenza assolutamente nella norma. Proprio questo fa riflettere su quanto nessuna esistenza sia mai banale, basta saperla raccontare.


Più ci si allontana dalla propria infanzia, più i ricordi sfumano, diventano foschia e, a furia di tendere la mano, non si fa che sfiorare aria fredda. Allora, come raccontare il proprio passato, se non è più possibile discernere tra ricostruzione e ricordo? O meglio, c’è così tanta distanza tra le due cose? In fondo, la ricostruzione del nostro passato è la percezione che ne abbiamo.

Abbiamo sempre manipolato la verità come se fosse un esercizio di stile, l’espressione più completa della nostra identità.

Veronica Raimo, Niente di vero

Ricostruire

Questo libro ha avuto la capacità di distruggermi, farmi sentire vulnerabile, quasi bipolare. Un “comico con un sottofondo di tragedia”, per dirlo con le parole dell’autrice.

Durante la lettura potevo scoppiare a ridere per una battuta sagace, e l’attimo dopo corrucciarmi per una svolta inaspettata. Alcune recensioni lo hanno definito un libro comico, eppure io l’ho trovato profondamente triste (di conseguenza, bellissimo).

Per questo mi sono immedesimata in Veronica, e la sua storia a tratti mi è parsa la mia. La scrittrice traspone sulle pagine attimi della sua vita e la narrazione avanza per ricordi, e come questi sono frammentari, così lo è anche il racconto.

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L’autrice stessa ha ammesso che il romanzo non è partito da un’idea, piuttosto è un concentrato e un mosaico di memorie, che riaffiorano come davanti a una madeleine.

Kintsugi

Veronica emerge come una creatura trasparente, fragile, allo stesso tempo marmorea. Una di quelle persone, di quelle donne, che hanno saputo rattoppare con l’oro le fratture della propria vita, creando qualcosa di più resistente e prezioso. La sua vita, come detto, non è particolarmente diversa dalla nostra. Eppure, il suo modo di parlarci della sua famiglia, dei suoi rapporti di amore e amicizia, di se stessa, è indimenticabile. Credo che la struttura portante del libro sia anticipata già nel primo capitolo:

Mio padre aveva la smania di dividere le stanze, senza alcun motivo. Semplicemente ci costruiva dentro un muro. Costruiva muri nelle stanze, non si può dire in altro modo.

Veronica Raimo, Niente di vero

Se è vero, come qualsiasi psicologo potrebbe dire, che i genitori determinano ciò che diventeremo da adulti, allora Veronica ha assimilato la stessa capacità di costruire muri dal padre. Replica queste strutture nei rapporti con gli altri, nelle amicizie, negli amori, nelle persone incontrate per caso.

Cosa può nascere da un padre ipocondriaco, da una madre a tratti infantile e da un morboso bisogno di controllo, da un fratello enfant prodige, e da una nonna anaffettiva e anzi quasi beffeggiatrice?

I personaggi sono a tratti grotteschi, crudeli, come quei sogni in cui vedi le facce distorte, gli occhi enormi e la bocca in una smorfia di derisione.

Veronica è un’Alice in un Paese delle meraviglie, costretta a diventare “diversa”, “eccentrica”, “asociale”, a causa della stranezza degli altri. Da sempre ha dovuto fare i conti col fatto di non essere quello che gli altri si aspettavano: un’artista, ad esempio. Mentre tutti intorno hanno già una vocazione, Veronica non si conosce, conosce solo la sua noia e quello che sa di non saper fare. Ma lei, con insolita forza d’animo, semplicemente lo accetta, perché non ha bisogno di essere qualcosa.

Se mi chiedessi ora cosa so fare, sprofonderei nello stesso imbarazzo dei miei vent’anni, ma se c’è qualcosa che ho capito da allora è che temo la verità più della morte.

Veronica Raimo, Niente di vero

L’infanzia è il grande tema attorno a cui ruota la nostra esistenza. Già dalla tenera età Veronica e il fratello Christian comprendono la noia. Quella vera, quella profonda, che ti costringe a fare di qualsiasi cosa un passatempo – anche osservare bambini che palleggiano con una rana.

La noia può diventare un pretesto di creatività, oppure può concimare il germe della solitudine, questa grande bolla che Veronica si porta dietro anche da adulta. La sua voce arriva limpida e alta durante la lettura, quasi lei fosse in una camera insonorizzata e le sue parole risuonassero indisturbate.

Perdite

Questo padre che costruisce muri, ipocondriaco, strambo, a tratti distante, è pur sempre un padre per Veronica. E il lutto per la sua morte una delle verità che lei deve accettare.

Niente è vero, finché lo celiamo sotto un velo di ironia, di comicità, di presa in giro. Ma arriva il giorno in cui bisogna fare i conti con la realtà, e questo succede con una persona con cui non ha confidenza, un vecchio compagno di scuola incontrato per caso, che sente di poter abbracciare. Spesso, infatti, è proprio con gli estranei che siamo portati a confidarci: non sanno quasi nulla di noi, dunque non hanno pregiudizi, ed è come scrivere su una pagina vuota. Le lacrime, uscite così all’improvviso, esorcizzano il lutto e abbattono il muro.

“Siamo arrivati al paradosso”, come direbbe il padre.

Uno dei punti più dolenti è l’amicizia. In particolare, l’amicizia con Cecilia. A una delle presentazioni del suo libro, Veronica ha affermato di non aver mai avvertito Cecilia di aver scritto di lei e che per questo il senso di colpa cresce a dismisura.

Di fatto l’autrice non sa spiegarsi la fine del loro rapporto, negli ultimi tempi costituito solamente da lettere sporadiche e nemmeno tanto veritiere. Il rapporto coi genitori, o con un fratello, è qualcosa di salvabile perché, alla fine, rimarranno sempre lì (anche se non lo vuoi). Gestire un’amicizia è più complesso. Gli amici sono la famiglia che scegli, e le proprie scelte vanno portate fino in fondo. Tuttavia, non sempre ci sono dei motivi per cui qualcosa è arrivato a un punto.

A volte si compiono decisioni per pigrizia, per impulso, per paura, e spesso non c’è rimedio, non si può tornare indietro. Come dire a Cecilia perché, dopo anni di silenzio, non possono incontrarsi ora che lei è a Roma? Come spiegare perché è così schiva? Forse è la paura di un rifiuto, è la paura del giudizio, dello sdegno, da parte di una persona il cui parere è tanto importante.

«Io e Cecilia ci siamo allontanate» è il modo più semplice per dire qualcosa che non si sa spiegare.

Veronica Raimo, Niente di vero

Evadere

Veronica Raimo dice sagacemente che l’anagramma del suo nome è “Invocare amori. Cioè, non viverli”. Entrando nei suoi ricordi vediamo, infatti, come nel rapporto con gli uomini cerchi sempre una via di fuga dal resto. Dal primo fidanzatino, Bra, al ragazzo incontrato ad un poetry slam, Veronica trova persone pronte a lasciare tutto e andare.

E lei va; alla stazione, in altri Paesi. Rincorre, invoca l’amore. Eppure, la bolla di solitudine che esiste dentro di lei, straborda sempre.

Niente di vero è uno dei pochi libri che mi impongono di fare una pausa, prima di prenderne in mano un altro. La storia è così potente che rimane nel cuore, le sue ferite divengono le mie ferite. In un passo dissacrante– uno di quelli in cui ridevo e poi mi sentivo terribilmente in colpa – l’autrice parla di un esibizionista che infastidiva le bambine nel suo quartiere: il classico uomo con l’impermeabile.

Ecco, da lettrice mi sono sentita messa a nudo, ma la divisa di Veronica non è l’impermeabile, bensì una scrittura ironica, uno scudo che vuole proteggere dalle infiltrazioni del mondo, dai suoi attacchi, dalle sue dimostrazioni di realtà.

Nella mia vita non vedo mai il bicchiere mezzo pieno. Nemmeno mezzo vuoto. Lo vedo sempre sul punto di rovesciarsi. Oppure non lo vedo proprio. Non c’è nessun bicchiere.

Veronica Raimo, Niente di vero

Blu Di Marco

(In copertina rielaborazione grafica da igorovsyannykov da Pixabay)


Questo articolo fa parte della rassegna di Giovani Reporter in attesa del Premio Strega 2022.


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