I recenti referendum sulla giustizia vogliono cercare di porre rimedio ai problemi cronici presenti nella magistratura del nostro Paese. Forse, però, più che trovare soluzioni, si stanno creando nuovi problemi.
Nel marasma della complicata situazione internazionale e delle sue ricadute interne, si sono un po’ persi di vista i cinque referendum sulla giustizia, promossi da Lega e Partito Radicale e approvati lo scorso mese dalla Corte Costituzionale. Questi referendum si propongono di dare soluzione ad alcuni dei tanti problemi che affliggono la giustizia italiana, in parallelo all’azione riformatrice del governo Draghi.
In effetti, le criticità del sistema giudiziario italiano sono sotto gli occhi di tutti: dal correntismo in magistratura alle porte girevoli (cioè la possibilità di interferenze tra incarichi politici e giuridici, in particolare nella magistratura), senza contare i troppi casi di ingiusta detenzione e la condizione dei carcerati. Occorre però riflettere sull’effettiva utilità dei quesiti che verranno sottoposti a voto entro il 15 giugno.
Ad esempio, l’eliminazione delle firme per candidarsi al Consiglio Superiore della Magistratura, definita iperbolicamente dai proponenti come “riforma del CSM“, può in effetti essere un argine – seppur, da solo, più simbolico che altro – allo strapotere delle correnti: in tal modo chi si vuole candidare non deve per forza rispondere a “santi in paradiso“. Ma sono gli altri aspetti del referendum a destare perplessità.
Valutazione dei magistrati e separazione delle funzioni
Per quanto riguarda la valutazione dei magistrati, viene proposto di dare voce in capitolo ad avvocati e docenti universitari all’interno dei Consigli giudiziari, gli organismi territoriali istituiti anche con tale scopo. È evidente che il sistema attuale di valutazione ha gravi pecche, dato che nel 2020 ben il 99,2% del magistrati ha ottenuto esiti positivi. Non sembra però convincente la soluzione offerta dal quesito: a valutare un magistrato potenzialmente potrebbe essere chiamato anche un avvocato un cui assistito è sotto inchiesta dal magistrato stesso.
Ancora più controversa è la separazione delle funzioni tra magistrati requirenti e giudicanti. Il referendum mira ad abrogare ogni possibile possibilità di cambiamento di funzione: i favorevoli ritengono infatti che la possibilità che un PM possa diventare giudice rischi di compromettere la terzietà di chi è chiamato a giudicare. A guardare i numeri, si sta parlando di un falso problema: il numero di passaggi di funzione è limitassimo, e già oggi tale scelta è fortemente vincolata.
Inoltre questa separazione, da implementare pienamente solo riformando la Costituzione, è oggetto di critica da parte del Consiglio d’Europa, che ha auspicato la terzietà dei PM: il sospetto è che il vero obiettivo dei sostenitori sia proprio limitare l’indipendenza dei requirenti ponendoli sotto il controllo governativo. È stato ricordato che anche Giovanni Falcone era favorevole a una simile distinzione: ma è pur vero che i rapporti tra politica e magistratura oggi sono molto meno controversi di allora.
Misure preventive e legge Severino
I quesiti più contestabili sono inerenti alle misure preventive e alla legge Severino. Il primo vuole limitare tali misure ai casi di rischio di inquinamento delle prove e di pericolo di fuga, abrogandole per il pericolo di reiterazione del reato. Le conseguenze sarebbero catastrofiche: se vincesse il sì, di fatto i provvedimenti preventivi (non solo la carcerazione) sarebbero possibili solo in caso di delitti commessi con armi o correlati alla criminalità organizzata, escludendo altri reati anche gravi (come corruzione e falso in bilancio). Inoltre, diventerebbe molto più difficile disporre divieti di avvicinamento per persone accusate di stalking e violenza domestica.
I favorevoli giustificano ciò con l’esigenza di contrastare le detenzioni ingiuste, che in effetti sono ben 30mila dal 1992 ad oggi (dato che, peraltro, contrasta le argomentazioni dei favorevoli alla separazione delle funzioni); tuttavia, non si può pretendere di risolvere un problema creandone altri altrettanto gravi.
La legge Severino, invece, prevede un periodo di incandidabilità per condannati a oltre due anni di reclusione e la sospensione di amministratori locali condannati anche non in via definitiva. Quest’ultimo punto si è rivelato particolarmente problematico, soprattutto viste le assoluzioni nei successivi gradi di giudizio. L’abrogazione totale dell’istituto, revocando l’automatismo dell’incandidabilità, potrebbe essere un pericoloso incentivo in un Paese con gravi problemi di corruzione e mafie.
Le elezioni sono il sale della democrazia, e quindi ben vengano i referendum; ma è assolutamente necessario essere chiari con gli elettori, per non creare confusione e disinformazione. I cinque quesiti, presentati con obiettivi ambiziosi, rischiano in realtà di provocare solo nuovi problemi, in alcuni casi anche gravissimi. Il garantismo è un valore fondante della nostra Costituzione, ma è molto forte il timore che in molti lo strumentalizzino solo per i propri beceri fini, favorendo l’impunità. E questo uno Stato civile non può permetterselo.
Riccardo Minichella