Sembrerà un paradosso, ma anche il caos e la distruzione della guerra sono disciplinati da regole. L’uso della forza rimane infatti una componente indiscutibile delle modalità di azione dell’uomo, e pensare di eliminarla completamente sarebbe utopico. Costretti ad accettarla, quindi, possiamo almeno provare a limitarne i danni: per questo il diritto internazionale ha definito dei comportamenti che non possono essere tollerati nemmeno nel peggiore dei conflitti.
Jus in bello
Il diritto bellico, anche detto jus in bello, rappresenta l’insieme delle regole da rispettare quando una guerra è in atto. Questa branca del diritto internazionale è stata inizialmente codificata dalle Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907, mentre con le Convenzioni di Ginevra del 1949 è stata rinominata diritto dei conflitti armati. Nel secondo dopoguerra la sua validità è stata inoltre estesa a tutte le situazioni che implicano l’uso della forza, compresi i casi in cui una delle parti non riconosce lo stato di guerra. Oggi è generalmente conosciuta come diritto internazionale umanitario.
È importante distinguere lo jus in bello dallo jus ad bellum. Mentre quest’ultimo racchiude i criteri per cui uno Stato può invocare il diritto all’uso della forza, il primo regola la condotta delle ostilità durante le operazioni belliche, cioè quando la guerra è già scoppiata. Una violazione dello jus in bello costituisce un crimine di guerra. Alcuni esempi di crimini di guerra sono:
- L’attacco deliberato a civili o strutture civili, come scuole e ospedali;
- Il mancato soccorso ai feriti, che siano militari o civili;
- L’utilizzo della tortura;
- L’utilizzo di certe armi, come quelle chimiche, che producono effetti indiscriminati e provocano un numero di vittime sproporzionato;
- L’attacco mirato a certe categorie di persone.
Esistono poi i crimini contro l‘umanità, ovvero violenze e abusi di una gravità considerata superiore, come il genocidio e la deportazione.
Le conseguenze dei crimini di guerra
Quando sorge il sospetto di una violazione dello jus in bello, ogni Paese ha il diritto e il dovere di investigare in merito. Dopo la Seconda Guerra Mondiale si sono sviluppati alcuni tribunali incaricati di giudicare tali violazioni, come il Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia o quello per il Ruanda, creati ad hoc per gestire determinate situazioni.
Oggi, gli organi competenti permanenti sono la Corte Penale Internazionale (CPI) e la Corte Internazionale di Giustizia (CIG). La prima, considerata il successore del Processo di Norimberga e derivata dallo Statuto di Roma del 1998, può perseguire crimini di guerra individuali. La seconda invece regola le controversie tra Stati, ma non può entrare nel merito dei singoli.
Il Processo di Norimberga ha inoltre istituito il crimine di aggressione, ovvero, nelle parole del Tribunale, “la pianificazione, la preparazione, l’avvio o la conduzione di una guerra d’aggressione, ovvero di una guerra in violazione dei trattati, degli accordi e delle intese internazionali”. Questo reato, imputato allora ai leader nazisti, sarebbe quello imputabile oggi ai leader russi, Putin incluso.
Il caso dell’Ucraina
Sono molti gli esperti e i leader che a livello mondiale stanno accusando la Russia di violazione del diritto bellico. Già una settimana fa l’attacco alla centrale nucleare di Zaporizhzhya era stato considerato da alcuni come crimine di guerra. Negli ultimi giorni è invece emersa l’ipotesi che Mosca possa considerare l’utilizzo di armi chimiche. Sono inoltre stati riportati alcuni attacchi delle truppe russe nei confronti di civili in fuga. L’esempio più eclatante è però l’attacco da parte dell’aeronautica russa ai reparti pediatria e maternità dell’ospedale di Mariupol, condannato in primis dall’Ucraina e poi da gran parte della comunità internazionale.
Il 28 febbraio il procuratore capo della CPI, l’inglese Karim Khan, ha dichiarato che esistono le basi per indagare riguardo l’attuazione da parte di Mosca di crimini di guerra e contro l’umanità in Ucraina, e ha ottenuto il permesso di 39 Stati per proseguire nell’indagine. Contribuiscono ai sospetti anche i precedenti compiuti dalla Russia stessa in Crimea nel 2014.
L’Unione Europea sta contribuendo alla raccolta di prove tramite l’Eurojust. Se queste prove dovessero emergere, i giudici della CPI potrebbero emettere dei mandati di arresto. In seguito, gli individui interessati sarebbero processati alla Corte dell’Aja.
I limiti della giustizia internazionale
La Corte Penale Internazionale non ha tuttavia una propria forza di polizia, ma rimanda ai corpi di polizia degli Stati. In questo caso, sarebbe la Russia a dover arrestare ed estradare i sospetti. Dal momento però che Mosca si è ritirata dallo Statuto di Roma — uscendo quindi dalla CPI — nel 2016, l’unico modo per processare gli imputati sarebbe che essi si recassero in un altro Paese, firmatario dello Statuto, e potessero quindi essere arrestati. Secondo l’avvocato Philippe Sands, inoltre, la CPI non potrebbe perseguire i leader russi per il crimine di aggressione, proprio in quanto il Paese non ha sottoscritto lo Statuto.
In teoria potrebbe entrare in gioco il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che ha la competenza di richiedere alla Corte di attivarsi riguardo casi specifici. Anche questa opzione è però da escludere, dal momento che la Russia, membro permanente del Consiglio, porrebbe un veto a riguardo. Inoltre, nemmeno Stati Uniti e Cina, altri due membri permanenti, hanno ratificato lo Statuto di Roma.
Gli organi competenti si trovano quindi, nella pratica, bloccati. Il caso dell’Ucraina mostra ancora una volta come l’azione del diritto internazionale non possa fondarsi solo sui trattati stipulati, ma debba sempre fare uso della politica e della diplomazia. Solo attraverso questi canali è possibile instaurare un dialogo internazionale e giungere quindi a una soluzione comune, ad esempio l’istituzione di un tribunale ad hoc per giudicare i crimini commessi in Ucraina.
Clarice Agostini
Per approfondire: Guida alla Guerra in Ucraina con gli articoli di Giovani Reporter, con tutti i nostri articoli sul tema.