Quando siamo sul punto di intraprendere un viaggio, oltre a scegliere gli oggetti da portare con noi e le persone con le quali dividere il nostro tempo e condividere l’esperienza, dobbiamo anche avere chiaro di fronte a noi, lungo la sottile linea dell’orizzonte che divide il blu scuro del mare dall’azzurro terso del cielo, un obiettivo, chiaro e necessario come l’aria che respiriamo. Questo obiettivo non per forza deve essere la meta del viaggio, – esistono persone che non si sono mai fermate e persone che in una sosta nella corsa affannata lungo il cammino della loro esistenza hanno trovato un motivo per restare che le facesse sentire in un qualche modo vive – possiamo porci una destinazione e decidere poi le tappe del percorso e i luoghi che toccherà per disegnare sulla mappa del mondo la nostra personale strada. Unica, originale e condivisibile solo con chi vogliamo.
Abbiamo già detto più volte che la vita è un viaggio, e poi che la vita è condivisione, la vita in un certo senso è anche perdita con il doppio significato di «non avere più» e «scegliere», cioè lasciar perdere alcune strade e imboccarne di nuove, chiudere delle porte per aprirne delle altre. Quindi la vita è anche un eterno alternarsi di scelte da compiere e bivi da incrociare e superare. Eppure, tutto questo – forse anche la vita stessa – non ci sarebbe, se non ci fosse prima di tutto la ricerca, stimolata da una curiosità congenita a tutti gli esseri viventi e, in particolare, agli uomini. L’etimologia del verbo cercare è abbastanza semplice e viene dal latino circare (da “circa”e“intorno”) con il significato base di «andare intorno». Possiamo partire da qui per cercare le diverse componenti che caratterizzano lo spettro cromatico del concetto. La prima su cui vorrei soffermarmi si potrebbe definire di moto a luogo: ogni volta che cerchiamo qualcosa compiamo uno spostamento, ci muoviamo – materialmente o solo con la mente – attraversiamo un luogo e lo setacciamo. È questo il significato primario e fondamentale del verbo cercare, che sia questa ricerca di qualcosa o di qualcuno.
Il concetto però contiene sempre anche una sfumatura finalistica, in quanto il cercare esiste solo in funzione di un prossimo o lontano, certe volte impossibile, trovare. Si può cercare e trovare qualcosa di raggiungibile: un oggetto, un’idea, l’ispirazione, la fantasia o perfino «un po’ di pace»; «chi cerca trova», e chi non lo fa è già perso; ma si può cercare anche una cosa irraggiungibile o che ancora non conosciamo. E si sprecano gli esempi di proverbi e detti popolari che partono da questa idea, dal celebre «cercare l’ago nel pagliaio» al non meno noto «cercare il pelo nell’uovo», il cui significato è pressoché analogo. Entrambe le espressioni custodiscono intrinsecamente quella spennellata di impossibilità che caratterizza in un certo modo anche il significato stesso di cercare, eterna tensione verso un qualcosa che magari neanche esiste. Ed è proprio in questa possibilità negata, forse sarebbe meglio dire eventualità, che si gioca tutto il contenuto della parola.
Nei suoi valori secondari ha poi assunto numerose altre idee, originatesi principalmente dalla lingua parlata: può avvicinarsi al significato di vederee infatti è questo che di solito facciamo quando «cerchiamo qualcuno tra la folla»; ma può prendersi in carico anche una volontà o un desiderio particolari e, ad esempio, quando teniamo a una persona, ne «cerchiamo solo il bene» (e per analogia dei nemici «cerchiamo il male»); oppure avere l’accezione di puntare a qualcosa: cercare gloria, onori, vantaggi, una vittoria. E poi può indicare anche un modo di comportarsi particolare, dell’eroe che attraversa con coraggio numerose prove uscendo sempre vincente si dirà che «cerca avventura»; mentre l’antieroe che non riesce a superare gli ostacoli incontrati lungo il cammino verrà considerato come un uomo che «cerca disgrazie», come Don Chisciotte. E infatti, nel linguaggio parlato, si usa comunemente il termine «cercarsele» per indicare un comportamento pericoloso che può portare a conseguenze negative. Nella forma intransitiva indica uno sforzo – eterna tensione, ancora una volta – per raggiungere qualcosa. E questo qualcosa spesso resta lontano, vago, indefinito, certe volte bellissimo come solo i sogni più veri sanno essere. Quante volte abbiamo detto anche noi espressioni come «cercate di fare presto»; «ho cercato di dormire»; «cerca di mangiare» o «cerco di studiare da tutto il pomeriggio».
Ognuno di noi è alla ricerca di qualcosa. Sempre e comunque. Possiamo illuderci di non esserlo e fare finta di niente, oppure prendere in mano il nostro destino e renderci partecipi del grande viaggio dell’esistenza. Perché in fondo tutto si riconduce all’esplorazione – quasi una caccia disperata – che fin dall’antichità ha caratterizzato la nostra presenza sulla Terra: la ricerca della felicità.
Una felicità che cambia nome, forma e consistenza in base alla persona che la definisce, una felicità che muta colore e umore ogni giorno che passa, felicità duratura o passeggera, felicità che sarà sempre in un qualche modo spezzata da intervalli di tempo sospeso e da vuoti dell’anima; ma comunque una felicità che non deve essere l’obiettivo finale del viaggio, la meta lontana e praticamente irraggiungibile, ma diventare sostanza di ogni pietra, colore di ogni foglia e forza di ogni passo compiuto sul cammino della vita, sentiero di ricordi o strada – sfolgorante, bellissima e ignota – che porta al futuro.
Lorenzo Bezzi
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