Il dibattito sull’uso corretto del “piuttosto che” imperversa ormai da anni, in alcuni casi assumendo i toni di una vera e propria crociata: canzoni, gruppi e pagine su Facebook tentano di contrastare l’eresia del valore disgiuntivo. Ma qual è l’uso corretto di questa congiunzione?
Storia di una locuzione
Partiamo da una prospettiva che in linguistica definiremmo “diacronica”, ossia analizzando l’evoluzione storica del “piuttosto che”. Scopriamo che inizialmente non si scriveva nemmeno così: in origine “più tosto che” significava infatti “più rapidamente che”, “più presto di”. Viene univerbato, assumendo la forma che conosciamo oggi, a partire dal Trecento, e nel secolo successivo il valore temporale viene sostituito da quello comparativo.
Ed è dunque dimostrato […] che ogni effetto grammaticale può essere ottenuto con mezzi diversi; e che, per conseguenza, l’applicazione d’uno piuttosto che d’un altro di essi, dipende da un arbitrio.
Alessandro Manzoni, Della lingua italiana. Quinta redazione e appendice
Nel XIX secolo appaiono le prime attestazioni dell’uso non comparativo del piuttosto che, e due di queste sono molto rilevanti: appartengono infatti a Giacomo Leopardi e Alessandro Manzoni. Se leggiamo la frase di Manzoni, infatti, vediamo che non c’è una preferenza, dato che le due alternative (“un mezzo” e “l’altro”) sono intercambiabili.
Tuttavia, è solo nel XX secolo che si afferma l’uso disgiuntivo (cioè come sinonimo di “oppure“) del “piuttosto che”, in particolare negli anni ’80 e ’90, quando comincia a diffondersi in maniera capillare dal settentrione a tutto il resto d’Italia con la complicità di tv e radio.
Molteplici usi
Ma quindi, fra tutte le funzioni che assume il “piuttosto che”, qual è quella giusta? In grammatica italiana l’uso corretto è previsto all’interno di proposizioni comparative e avversative, dove può essere sostituito da congiunzioni come “anziché“, “invece che“: “Piuttosto che andare in spiaggia, preferisco fare un giro in centro”.
Di conseguenza, il “piuttosto che” con significato disgiuntivo è sconsigliato, in quanto può generare anche delle forti ambiguità. Prendiamo una frase tratta da un articolo dell’Espresso del 2001: “È stupefacente riscontrare quanti italiani trentenni e quarantenni popolino le grandi università americane, piuttosto che gli istituti di ricerca e le industrie ad avanzata tecnologia nella Silicon Valley”.
Come fa notare Ornella Castellani Pollidori dell’Accademia della Crusca, un lettore potrebbe chiedersi come mai gli italiani preferiscano le università agli istituti di ricerca e alle industrie della Silicon Valley. È evidente che in questo contesto il piuttosto che assuma valore disgiuntivo, ma altrettanto evidente è l’incomprensione che potrebbe crearsi in frasi simili a questa.
Tuttavia…
L’oggetto di studio della linguistica è multiforme e mutevole, il cambiamento è l’essenza di una lingua, testimonia che essa è ancora viva e gode di ottima salute. Lo dimostra bene il fatto che la sua funzione abbia subito numerose metamorfosi nel corso dei secoli: è impossibile arrestare l’evoluzione della lingua.
Ormai è stata smentita la teoria della Pollidori, che nel 2002 parlava di una “voga di quest’imbarazzante piuttosto che (quello disgiuntivo) che finirà prima o poi col tramontare”. Sono passati quasi venti anni e il valore disgiuntivo di “piuttosto che” rimane ben saldo. Una volta che una forma è ben insediata a tutti i livelli della lingua, non è più un errore, ma la normalità.
Beatrice Russo
(In copertina Kelly Sikkema da Unsplash)
La sezione di Linguistica di Giovani Reporter è a cura di Elettra Dòmini, Francesco Faccioli e Davide Lamandini.