Le parole spese da Draghi sul futuro della ricerca in Italia fanno ben sperare. Nel corso della sua visita ai Laboratori del Gran Sasso il Premier, accompagnato dal premio Nobel Giorgio Parisi, ha parlato dei fondi del PNRR che verranno destinati alla ricerca scientifica. Dopo anni di incertezze siamo forse ad un punto di svolta decisivo.
Lo scorso 16 febbraio il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha visitato i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, ideati nel 1979 dall’allora direttore dell’INFN Antonino Zichichi. Da quasi quarant’anni i Laboratori rappresentano un’eccellenza nel campo della fisica delle particelle. L’Italia ha bisogno di luoghi come questo, capaci di attrarre studiosi da tutto il mondo; solo attraverso un contributo attivo da parte del Governo si potrà fare meglio degli ultimi anni.
La situazione attuale
Attualmente l’Italia dedica solo l’1.4% del Pil (contro il 2.1% della media europea e il 2.5% dei paesi OCSE) alla ricerca scientifica e tecnologica. Nonostante ciò il nostro Paese supera la media UE per quota di pubblicazioni scientifiche che rientrano tra il 10% delle più citate a livello mondiale (oltre l’11% dell’Italia contro il 9.9% del resto d’Europa). Risulta dunque evidente come la qualità dei ricercatori italiani sia altissima. Ciò che manca sono i fondi dedicati all’innovazione e allo sviluppo: non a caso gli studiosi formati nelle università italiane trovano facilmente occupazione all’estero, dove viene riconosciuto il loro talento.
Altro dato preoccupante riguarda l’età media dei docenti universitari italiani: circa il 50% dei professori ha più di 50 anni, mentre il 10% ne ha addirittura più di 65. Confrontando con gli altri Paesi UE si nota come raramente gli over 65 costituiscono più del 3% del corpo docenti. Gli under 35 sono i più premiati in Germania dove occupano il 36% delle cattedre. Regno Unito e Francia hanno rispettivamente il 27% e il 21% di professori sotto a 35 anni. Anche la Spagna, che spesso viene accostata all’Italia per condizioni economiche e sociali generali, mostra una percentuale del 18% di docenti sotto ai 35 anni di età. Per quanto riguarda l’Italia, questo dato è disastroso: solo il 4% del totale ha un’età inferiore ai 35 anni.
Il discorso di Draghi
Durante la visita al Gran Sasso, Draghi ha espresso complimenti vivissimi a tutti i ricercatori e studiosi che collaborano con l’INFN.
Una visita nello straordinario, un posto incredibile. Se non ci si viene non si immagina che cosa è.
Queste sono state le parole di stupore del Premier, giunto ai Laboratori insieme a Giorgio Parisi, recente vincitore del premio Nobel per la fisica. Draghi ha poi dato le sue garanzie:
Con il Piano nazionale di ripresa e resilienza investiamo oltre 30 miliardi in istruzione e ricerca. Nei prossimi 4 anni, destiniamo 6,9 miliardi di euro alla ricerca di base e applicata.
Parisi ha poi ricordato a Draghi come sia fondamentale proseguire con i finanziamenti anche dopo il PNRR: per garantire un futuro solido alla ricerca sono infatti necessari fondi a lungo termine. Solo in questo modo l’Italia diventerà più appetibile anche agli occhi degli studiosi stranieri. La qualità delle nostre Università e degli enti superiori di ricerca deve essere premiata sia in termini economici che di risorse umane. Senza ricerca non può esserci progresso e sviluppo tecnologico.
Donne e scienza
Altro punto fondamentale toccato da Draghi, riguarda l’occupazione delle donne nei settori scientifici. A causa di fattori socio-culturali e pregiudizi infondati, infatti, ancora oggi, sono poche le ragazze che scelgono di studiare le cosiddette discipline STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica). In media solo una ragazza su 5 si dedica a carriere scientifiche, nonostante siano molti gli esempi di donne che ricoprono incarichi fondamentali in questo settore: basta pensare a Lucia Votàno, prima donna a dirigere i Laboratori del Gran Sasso, e a Fabìola Gianotti, coordinatrice del CERN e del progetto che ha portato alla scoperta del bosone di Higgs.
La stessa Margherita Hack, celebre astrofisica e divulgatrice italiana, scomparsa nel 2013, in un’intervista ricordava come la disparità di genere nel settore scientifico abbia radici lontane: molto spesso, purtroppo, sono i genitori a trasmettere alle proprie figlie delle insicurezze. L’idea che le donne non siano “portate” per le discipline scientifiche parte già dalle famiglie di provenienza e, in alcuni casi, è rafforzata in ambito scolastico. Se si vuole creare un solido futuro per la ricerca scientifica in Italia questi clichés devono essere superati al più presto.
La ricerca nel prossimo futuro
In Italia è necessaria una forte inversione di tendenza. A partire dal PNRR, nei prossimi anni, il Governo dovrà garantire una quantità di fondi sufficiente ad un efficace sviluppo tecnologico. Per riuscire ad affrontare la transizione ecologica e per vincere le sfide che il futuro ci riserverà, è necessario dare spazio alla ricerca di base. Se nei prossimi anni si faranno i giusti investimenti, non tarderanno ad arrivare in Italia altri premi Nobel e riconoscimenti internazionali.
Per sostenere il futuro della ricerca bisogna anche garantire dei corsi di formazione eccellenti. La scienza ha bisogno di docenti preparati e capaci che sappiano trasmettere ai propri studenti la passione per il sapere; allo stesso tempo, sarebbe anche auspicabile uno snellimento dei percorsi formativi. Non è certo possibile attrarre molti aspiranti ricercatori partendo dal presupposto che difficilmente potranno far carriera prima dei quarant’anni. I giovani, durante la loro formazione, devono essere tutelati e sostenuti dallo Stato. Stimolare giovani ricercatori e dottorandi con una remunerazione maggiore permetterebbe, anche a chi non ha grandi possibilità economiche, di puntare di più su questo settore. Nel nostro Paese la qualità non manca; tanto più, allora, bisogna impegnarsi a premiare davvero il merito e la scienza.
Diego Bottoni