Cosa diavolo è l’Est Europa?
Su cosa separa l’Est e l’Ovest del nostro continente si potrebbe discutere per secoli, e lo si è fatto, senza arrivare a una netta conclusione.
Fino a qualche decennio fa l’Est si prolungava fino a Magdeburgo, nel cuore dell’Europa, poi cadde un muro ed esso ritirò fino a Stettino.
Nei primi anni del 2000, con l’entrata nell’Unione Europea di alcuni stati come Polonia e Lituania, una nuova rivoluzione. E questo perché far parte dell’UE è una sorta di certificato dove si attesta il proprio essere occidentali. O forse questo non basta. Ma quindi cosa diavolo è l’Est Europa, che forma ha? E poi, Lubiana è a Est come lo è Mosca?
Gente nata al di là
I confini esatti non si conoscono, ma la gente nata al di là di non so esattamente cosa (un mare, un muro, un filo spinato?) la si nota subito. Provenire dall’Est (decidete voi quale) significa oggi riaccendere ricordi di guerra, ritrovarsi a tavola coi genitori che con lo sguardo fisso su uno schermo ricordano sé stessi, come in un déjà vu da incubo. Già, perché a Est la guerra non è mai un vago ricordo da raccontare come sorta di leggenda ai nipoti, ai pronipoti e forse nemmeno agli stessi figli.
Qualcuno raccontava l’altro giorno di quell’amico che combatté su per qualche bosco di un angolo dei Balcani dove ora insieme ai funghi troveresti, senza saperlo, almeno un paio di mine. Nel mentre, ci si sorprende di quanto alcuni uomini si assomiglino. Guardando la TV pare quasi che gente del calibro di Arkan, Karadžić e Milošević siano di nuovo in azione. Chi oggi ha trent’anni probabilmente si sarà nascosto sotto qualche cantina di Sarajevo, Mitrovica o Belgrado quando ne aveva quattro o cinque.
E se chiedete ad uno dell’Est quante lingue parla ve ne dirà almeno un paio, ma più probabilmente anche una terza, e ve ne andrete stupiti dal fatto che un muratore straniero conosca più lingue di vostro cugino avvocato. Essere nato ad Est significa anche raccogliersi nelle piazze dell’Ovest a farsi sentire, a sventolare bandiere e a commuoversi senza il rischio di manganellate; è un volersi sentire europei con poi magari un senso di colpa, come di tradimento.
Ascoltavo l’altro giorno per caso la testimonianza di due fratelli, uno in Ucraina, l’altro in Russia.
Dalla mia città ho visto partire i missili diretti alla tua, fratello.
L’emblema di famiglie separate, fratelli di cui si ricorda solo l’infanzia. Per gli altri, nonni mai conosciuti che si sa forse vivere ancora in qualche vecchia casa di rovi. E come stanno loro, se non in angoscia di rivivere il passato?
Una forma mentis
Oggi, in metro, più di qualcuno parlava ad alta voce una lingua che non capivo, collegato su Skype, dall’altra parte probabilmente l’Ucraina. Sì, perché mentre per voi Zoom, Google Meet, Skype, erano ignote fin prima della pandemia, per altri sono tuttora l’unica finestra di casa, uno specchio dai grossi pixel su cui fingere di vederci chiaro. Ma questo Est di cui la nostra Europa teme ogni notizia, così come conosce la guerra e la miseria, altrettanto apprezza la pace. Si mostra tutt’uno in tempi come questi.
C’è chi apre corridoi umanitari, chi guida i treni direzione Varsavia o Budapest, chi fa partire raccolte di fondi, chi addirittura da qui si propone di aprire le case di campagna in Polonia, Moldavia, Romania etc. per quei profughi che scappano. Chissà che non siano poi questi ultimi a riabbracciare i nonni degli altri, che tanto un abbraccio è sempre caro.
Finirà anche questa guerra, si ricostruiranno i palazzi, forse condanneranno qualcuno e l’Est sarà ancora qualcosa di ambiguo, geloso della propria storia, imprevedibile come sappiamo. Nessun confine geografico ha mai domato una forma mentis che va ben oltre la politica, un’identità che è anche un istinto, e quindi un modo di vivere su misura.
Jon Mucogllava
(in copertina Nejc Soklič da Unsplash)
Hot Topic! è una rubrica curata da Alessandro Bitondo, Camilla Galeri, Jon Mucogllava e Alessandro Sorrenti.