Cronaca

Il Brasile, Bolsonaro e i suoi tre polmoni – E scelse di averne solo due

Bolsonaro Brasile

Il Brasile ha un ruolo chiave nell’impatto del cambiamento climatico: è uno dei Paesi più estesi e popolati al mondo ed è attraversato dalla foresta amazzonica, il “polmone della Terra”. Mentre Jair Bolsonaro dà priorità allo sviluppo economico, piuttosto che alle politiche climatiche, i brasiliani e le popolazioni indigene lottano per preservare il pianeta.


La transizione ecologica: vantaggi e svantaggi

Anche se il Brasile può vantare una tra le più vaste percentuali di energia verde del pianeta, dal 1990 le sue emissioni di CO2 sono più che raddoppiate. Il Paese ha come vantaggio rispetto al resto del mondo l’abbondanza di risorse naturali, che alimentano quasi metà del suo settore energetico (elettricità, trasporti, industrie, riscaldamento degli edifici). Nel 2017 l’energia derivata dallo zucchero di canna rappresentava il 17% delle fonti di energia totali; invece, l’energia idroelettrica il 12% – una percentuale importante, dato che a livello globale l’utilizzo dell’idroelettrica equivale circa al 2,5% sul totale. Se consideriamo solo il settore dell’energia elettrica (per esempio l’illuminazione nelle nostre case) i dati sono ancora più impressionanti: il 70% dell’elettricità proviene dalle centrali idroelettriche.

Oltre all’abbondanza di acqua, il Brasile potrebbe ricavare energia dal vento e dai panelli solari, ma queste fonti rinnovabili non vengono sfruttate in tutto il loro potenziale. Sempre maggiori sono gli investimenti privati nel settore delle energie alternative, ma al momento, il finanziamento della transizione ecologica non è nell’agenda del governo Bolsonaro.

Jair Bolsonaro.

La deforestazione e il settore agricolo

Possiamo quindi intendere che il vero problema della transizione ecologica per il Brasile non sia la mancanza di fonti rinnovabili, ma la deforestazione, che causa circa il 20% delle recenti emissioni globali di CO2. Il contributo migliore che il Brasile potrebbe fornire sarebbe l’arresto della deforestazione illegale: tagliare gli alberi fa sì che una parte dell’anidride carbonica non venga assorbita, rimanendo nell’atmosfera e aumentandone la concentrazione. In aggiunta alla questione climatica è presente una problematica sociale legata alla deforestazione, data dal fatto che circa 300 comunità indigene si trovino in Amazzonia, e deforestare quell’area per creare infrastrutture significherebbe privarle della loro terra, oltre a rappresentare un sopruso al loro “culto della natura”.

Allo stesso tempo, la deforestazione è legata alle decisioni politiche, essendo la produzione agricola una delle risorse economiche più redditizie del Brasile. Tagliando gli alberi si crea spazio per le piantagioni; e questo ha facilitato, per fare un esempio, il boom delle esportazioni di soia. Il Brasile ricava oltre un miliardo di dollari ogni anno attraverso la coltivazione su larga scala, ed è anche il più grande esportatore al mondo di carne di manzo. Molti imprenditori agricoli investono in allevamento e agricoltura allo stesso tempo, per questo, uno stop alla deforestazione rappresenterebbe un grande arresto alla crescita economica.

A novembre 2021 il Brasile era al centro dell’attenzione durante la COP26 di Glasgow. Tra gli impegni presi dalla delegazione brasiliana è stata presentata la promessa di tagliare le emissioni al 50% e arrestare la deforestazione illegale entro il 2030, oltre al raggiungimento delle emissioni zero entro il 2050. Malgrado ciò, scienziati e diplomatici ripongono poca fiducia nelle promesse di Bolsonaro, considerato che i livelli di deforestazione sono aumentati da quando è entrato in carica nel 2019.

L’impatto dell’amministrazione Bolsonaro sull’ambiente

Con l’elezione di Bolsonaro le questioni legate al cambiamento climatico sono diventate una discussione controversa. Ancor prima di esser eletto, Bolsonaro aveva reso esplicita la propria intenzione di ritirarsi dall’Accordo di Parigi sulla scia di Donald Trump, ma non lo fece solo grazie alla pressione interna ed esterna.

Inoltre, durante la propria campagna elettorale, Bolsonaro ha guadagnato il supporto del settore agricolo, uno dei gruppi di interesse più forti del Parlamento brasiliano. Dalla vittoria alle elezioni il governo ha schivato numerosi obblighi legati all’ambiente.

La partecipazione (o assenza) del Brasile a COP26 è un buon ritratto delle posizioni di Bolsonaro sulle politiche climatiche; il Presidente, in un discorso di appena tre minuti, ha ribadito l’importanza della sua Nazione in quanto “major player” nella crisi climatica, ma ha omesso questioni sensibili come la crisi dell’acqua, i territori abitati dagli indigeni e gli incendi del 2020 a causa delle attività illegali di minatori, agricoltori e taglialegna. Si ricorda che le fiamme si erano diffuse in Amazzonia e nel Pantanal (la seconda maggiore foresta dell’America Latina) per 1,8 milioni di ettari.

Nella foresta Amazzonica si contano più di 30.000 incendi per l’agosto del 2020, l’86% in più rispetto all’agosto del 2019. Numerosi giornali internazionali, pertanto, hanno seguito la situazione in Amazzonia a causa dell’altissimo rischio di incremento della crisi climatica. Al contrario, l’attuale presidente del Brasile ha evitato in tutti i modi di affrontare il tema.

Le elezioni in vista e un futuro incerto

La salvaguardia della natura in Brasile è una lotta giornaliera per la società civile, le organizzazioni non governative e le comunità indigene, e non deve essere messa da parte nonostante i tentativi di Bolsonaro di archiviarla. Infatti, gran parte della società brasiliana e il governo stesso non supportano le sue posizioni; la stampa nazionale in Brasile, inoltre, sta riportando sempre più gli abusi ambientali e nelle scuole di tutto il Paese si cerca gradualmente di educare le nuove generazioni all’importanza di proteggere l’ambiente.

Una svolta potrebbe essere rappresentata dalle elezioni presidenziali in Brasile di ottobre 2022, al quale si presenterà l’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, meglio conosciuto come Lula. Il candidato socialista ha recentemente viaggiato in alcuni Paesi europei, dove i rispettivi leader politici lo hanno accolto calorosamente. La volontà di Lula di intessere relazioni con i dirigenti europei lascia trasparire l’ambizione di accrescere il ruolo del Brasile nel panorama internazionale, contrariamente all’amministrazione Bolsonaro, spesso criticata dai governi esteri.

Si può dedurre che il candidato presidente auspichi ad una maggiore cooperazione del Brasile nelle sfide globali e possiamo attenderci politiche climatiche più efficaci che compiacciano la comunità internazionale.

Del resto, al giorno d’oggi, l’impegno nella mitigazione della crisi climatica è ben visto, e risulta estremamente strategico per un Paese che non vuole essere isolato dal punto di vista diplomatico. Non ci resta che attendere le elezioni di ottobre 2022 per scoprire se vi saranno cambi di rotta del governo, e se verrà data voce ai brasiliani e alle comunità indigene che da anni sperano che la questione ambientale venga messa al primo posto.

Clarissa Dias Nascimento e Luce Maria Pagnoni


Per approfondire: La pandemia in Brasile – Un esempio da non seguire (un articolo di Beatrice Russo).


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