Ogni capodanno è un tempo di bilanci sui dodici mesi appena passati. E uno degli eventi centrali del 2021 è l’avvento del governo Draghi. Facciamo un bilancio politico di questa legislatura: quello che c’è stato per capire quello che ci sarà.
La storia si ripete sempre due volte
La fine dell’anno è appena passata e un’altra stagione politica sta ormai per concludersi. Per tracciare un bilancio dei mesi trascorsi non c’è niente di meglio che iniziare dagli anniversari. Il 2021, prima di tutto, ha segnato i cento anni dalla prima (modesta) affermazione elettorale del fascismo, a cui seguì un anno più tardi la marcia su Roma. Per usare le celebri parole di Karl Marx, la “storia si ripete sempre due volte”: la prima come tragedia, la seconda come farsa. La versione farsesca di questo tragico episodio è avvenuta qualche mese fa negli Stati Uniti, mancando di pochissimo il suo centenario di riferimento. Gli eventi di gennaio a Capitol Hill hanno lasciato stupefatti milioni, o forse miliardi, di persone e sicuramente, insieme al ritiro dall’Afghanistan, troveranno posto nei libri di storia di tutto il mondo.
Ma se vogliamo soffermarci sull’Italia è un altro anniversario quello che ci interessa, quello del 1821. Esattamente duecento anni fa moriva Napoleone Bonaparte, l’italo-francese al cui genio militare dobbiamo la diffusione delle idee rivoluzionarie nel nostro Paese. Quando Napoleone muore, però, in tutta Europa, e dunque anche in Italia, è già tornato l’Ancien Régime che cerca di cerca di portare indietro le lancette dell’orologio, ignorando del tutto i cambiamenti più recenti. E la parola con cui potremmo sintetizzare il 2021 italiano è proprio Restaurazione.
Una legislatura in metamorfosi
Con Draghi ora al Governo si chiude quella fase in cui le rivendicazioni di ampi strati popolari, incarnate con abilità da un homo novus, erano giunte molto vicine a intaccare i rapporti di forza esistenti nella società. Le grosse differenze, che rendono gli eventi degli ultimi anni un lieve singhiozzo rispetto ai grandi terremoti della storia, sono le seguenti: la prima è l’erronea convinzione post-storica, figlia della guerra fredda, secondo cui la politica deve identificarsi solo con il voto, il Parlamento e il Governo. La seconda, ancora più grave, è che quelle istanze di cambiamento sono state affidate a forze politiche che non avevano né la capacità, né tantomeno l’intenzione di cambiare davvero le cose.
In ogni caso, la storia di questa legislatura è quella di una rapida trasformazione delle forze stigmatizzate come “populiste” in cloni dei partiti custodi dello status quo. Una trasformazione decisa nei palazzi del potere e contro la volontà del popolo, iniziata già prima della nascita del primo governo Conte e terminata nel febbraio di quest’anno con l’avvento del restauratore Draghi. In questo modo, a gestire le risorse che influenzeranno la politica economica dell’Italia per il prossimo decennio, sarà un uomo che è diventato la persona più potente del Paese senza aver mai fatto parte di un partito e senza aver mai preso un singolo voto in tutta la sua vita. Luigi XVIII non avrebbe saputo fare di meglio.
Il primo risultato l’abbiamo visto già alle comunali di ottobre: un ulteriore calo della partecipazione elettorale, o, in altre parole, il ritorno de facto del suffragio ristretto tipico del XIX secolo. Le linee guida di un collaboratore stretto di Matteo Renzi, rivelate da un’inchiesta di pochi giorni fa, forniscono un’ottima sintesi dei tempi in cui viviamo: “Non dobbiamo perdere tempo a riconquistare l’elettorato, dobbiamo spingerlo a non votare più”.
È solo grazie al livello infimo delle alternative, quindi, se le forze oligarchiche possono proporsi come il meno peggio o addirittura come garanti della democrazia liberale. Invero, già il termine “democrazia liberale”, dovrebbe farci storcere il naso dato che, come ci insegna la storia dell’Ottocento, la democrazia ai liberali è stata estorta.
Cambiare tutto per non cambiare nulla
Un altro avvenimento significativo è l’assalto alla sede della CGIL a Roma, avvenuto il 9 ottobre durante il corteo no green pass. Parlare di nuova strategia della tensione sarebbe assai avventato, ma è innegabile che episodi di questo tipo siano una manna dal cielo per il Governo, di certo interessato a zittire e delegittimare ogni forma di dissenso. Da un lato c’è la giusta salvaguardia della salute pubblica, dall’altro c’è la limitazione del diritto a manifestare nei centri città.
Un divieto per il quale, paradossalmente, l’assist è giunto proprio da quell’antifascismo pavloviano in stile CGIL, ultimo relitto dello spirito fondativo della Repubblica ormai perduto da almeno trent’anni. Per quanto riguarda il futuro, sarà fondamentale per l’Italia la riforma del patto di stabilità. Di solito, però, in politica chi nasce tondo non muore quadrato.
Visti i suoi trascorsi, dunque, Draghi non sembra proprio la persona più adatta per cambiare gli assetti economici europei e dunque promuovere l’interesse nazionale. Ciò che si può fare da parte nostra è armarsi di pensiero critico per essere in grado, quando sarà necessario, di far convergere le istanze di cambiamento su una reale alternativa che sappia rimettere in moto le lancette della Storia.
Federico Speme
(In copertina Mario Draghi)
In collaborazione con:
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