Cinema

“Il potere del cane”, di Jane Campion – Nel cupo e selvaggio West

Il potere del cane 1

La regista neozelandese Jane Campion regala al grande schermo un film che appartiene ad un genere ormai fuori moda: il western. Lungi, però, dall’avere scene di caccia agli indiani o risse da saloon, il “Potere del cane” è un western dalle sfumature di thriller psicologico, tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Savage. All’appello un cast d’eccezione: Kirsten Dunst, Benedict Cumberbatch, Jesse Plemons e Kodi Smit-McPhee.


Phil e George

Fin dalle scene iniziali de Il potere del cane si respira un’atmosfera carica di tensione e inquietudine, in un climax lento e angosciante. Ci viene mostrato un mondo, tipicamente maschilista e patriarcale, ancorato a vecchi valori cari a Phil Burbank. Il suo carattere duro e dominante, da “padrone” del ranch, si scontra con quello mansueto e impacciato di George. Nonostante i fratelli possano contare l’uno sull’altro, vivono in profonda solitudine, vicini fisicamente ma troppo distanti con la mente e con il cuore per comprendersi veramente. George cerca di evadere da questa status quo sposandosi per creare una nuova famiglia. Phil, invece, è restio a lasciare che le cose intorno a sé cambino e che lui stesso cambi per adattarcisi. Nonostante George sia un personaggio chiave nel mettere in moto gli eventi del film, rimarrà una figura pressoché passiva e quasi assente per il resto del film.

Phil e Peter

Il figlio della moglie di George, Peter, è l’antitesi di Phil: giovane dai modi delicati, le cui mani creano piccole opere d’arte, diverse da quelle di un cowboy abituato a maneggiare una corda. Peter è l’uomo moderno e sofisticato e consapevole di se stesso, contro l’uomo arcaico, che rifiuta tutto ciò che gli è estraneo.

La natura quasi femminile del ragazzo da un lato provoca la derisione e la rabbia di Phil, dall’altro gli pone davanti una verità che egli nasconde. Un nome che proviene dal passato: Bronco Henry, il suo mentore , venuto a mancare molti anni prima. Phil non ha mai affrontato fino in fondo questo  lutto, preferendo rimanere stoico davanti agli eventi negativi. Come dice lui stesso in una scena del film: “Un uomo è formato dalla sua pazienza e dalle avversità contro di lui”; altra lezione imparata da Bronco Henry.

Quando Phil smette di tormentare il ragazzo, si insedia in lui l’idea di cercare in Peter lo stesso rapporto che lui aveva instaurato con Bronco Henry. Ciò che emerge dalle conversazioni tra i due è che la sua relazione con Bronco era molti più di quella tra un mentore e un discepolo. Phil lo eleva a proprio mito, e prova per lui una profonda ammirazione e un sentimento molto simile all’amore, svelando le sue tendenze omosessuali, che nel film sono appena accennate, dando spessore ad un personaggio solo in apparenza unidimensionale.

Il personaggio di Peter, nonostante la sua apparente fragilità, non è il ragazzo debole e sottomesso che ci viene presentato all’inizio. In una scena significativa e quasi anticipatoria di quello che avverrà dopo, Peter disseziona in maniera precisa e fredda una lepre come parte della sua esercitazione per diventare chirurgo. La stessa fredda precisione con cui taglia la pelle di una vacca morta di antrace. Quando lui e Phil cominciano ad avvicinarsi e a costruire la loro ambigua intesa, il ragazzo sembra essere genuinamente interessato all’uomo e alla sua filosofia di vita.

Tutto questo, in realtà, è solo parte di un piano più grande. Proprio la pelle che Peter si è procurato dalla vacca morta di antrace sarà l’arma per eliminare l’aguzzino di sua madre. Quando Phil abbassa la guardia, Peter colpisce, estirpando il male alla radice. Infatti, egli cederà a Phil la stessa pelle infetta che aveva tolto all’animale morto per realizzare una corda, quella usata dai cowboy, e inconsapevolmente quello che doveva essere un regalo per il suo nuovo discepolo sarà la sua fine. Il personaggio che rappresentava la vittima perfetta è in realtà l’uomo che non mostra la sua forza ma la usa in una maniera più subdola e calcolatrice. L’uno ostenta la forza, l’altro la nasconde.  

Phil e Rose

Phil si sente minacciato dal nuovo e da tutto ciò che non rientra nella sua comprensione, e anche per questo è spaventato dall’arrivo di Rose al ranch. La accusa di essere una scalatrice sociale e comincia a seviziarla portandola all’instabilità mentale e poi, lentamente, all’alcolismo. Un processo di terrorismo psicologico lento e subdolo che viene rappresentato in una scena del film. Quando, ad una cena con ospiti, Rose viene invitata a suonare il piano ma è paralizzata dal timore verso Phil che non vuole che lei suoni. Da qui in poi, Rose sarà in completa balia delle sua angoscia fino a sviluppare una vera e propria malattia.

Punti di forza

La fotografia è magistrale: i paesaggi selvaggi e ampi del West acuiscono la sensazione di solitudine di ciascun personaggio. Le loro emozioni sono amplificate dalla vastità degli spazi, cornice perfetta per i loro drammi interiori.

Sopra: foto di Cayetano Gil da Unsplash.

La recitazione è eccellente e credibile: Cumberbatch nei panni del crudele e ambiguo Phil fa apprezzare la capacità e la flessibilità dell’attore a interpretare qualsiasi ruolo. Kirsten Dunst non è da meno: mostra il lento corso della malattia del suo personaggio inizialmente in modo poco percettibile e poi sempre più drammatico. Anche solo questo basta a farne un film di valore che merita di essere guardato. E non è poco.

Francesca Fabbri

(In copertina e nell’articolo immagini tratte dal film Il potere del cane, disponibile su Netflix)

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