Dopo l’enorme successo di “La canzone di Achille” e “Circe”, Madeline Miller torna a proporci un’altra rivisitazione moderna di un mito, quello di Galatea e Pigmalione. Il volume è arricchito dalle illustrazioni di Ambra Garlaschelli, diplomata allo IED di Milano.
Quando ho comprato Galatea di Madeline Miller, confesso che ero un po’ scettica: conoscendo già l’autrice mi aspettavo un romanzo più lungo, e vedendo questo esile volume non sapevo cosa aspettarmi. Ma, cominciando a leggerlo e unendo le parole alle immagini, sono sprofondata nella storia. È un libro che scorre velocemente, impegna poco tempo; quando però sono emersa dalla lettura mi è rimasto un senso di tristezza, di dispiacere, sollievo, e insieme di apprensione. In realtà, questo è positivo: vuol dire che la storia è arrivata, dritta allo stomaco.
La moderna Galatea
Secondo una delle diverse versioni del mito, il re di Cipro, Pigmalione, modella un’incantevole statua dalle fattezze femminili e se ne innamora, così chiede ad Afrodite una donna che la eguagli. La dea, però, fa di meglio: dà vita alla statua stessa. La scultura, che nella narrazione originale è anonima, viene chiamata Galatea (“bianca come il latte”) solo nel Settecento. Nella rivisitazione della Miller, Galatea è ricoverata in un istituto – probabilmente per volere del marito, Pigmalione
I dottori credono che sia malata per via del suo pallore, e la credono folle perché la donna dice di essere di pietra. L’infermiera la disprezza, il medico la compatisce. Galatea è sola nella stanza e non le è concesso assaporare la luce del sole. Ma quello che rifugge ancora di più è la visita del marito, sebbene con voce fredda dica che non aspetta altro.
Quando Pigmalione le fa visita, infatti, ossessionato dal suo corpo, la prende con durezza. Lei si sente in dovere di adularlo: dopotutto è colui che l’ha creata, e che le ha dato una bellissima figlia di nome Pafo, fredda come lei, ma dotata di grande intelligenza. Le adulazioni di Galatea – che ha imparato come persuaderlo per vedersi accordare qualche desiderio – mirano anche a convincere il marito a fargliela rivedere.
Pigmalione, infatti, non vuole ancora che Galatea torni a casa, e crede che lei ami la figlia più di quanto ami lui. Pafo vive con un padre che la disprezza, perché essendo sveglia non è ubbidiente come sua madre. Inoltre Pigmalione confessa di aver cominciato la costruzione di una nuova statua: una bambina di dieci anni, proprio come Pafo. Forse per il desiderio di modellare un’altra figlia, stavolta perfetta?
I colori di Galatea
A fare da sfondo e accompagnamento al testo sono i colori rosa, nero e bianco. Tre semplici colori che possono dire fragilità, durezza e vuoto, e che sono perfettamente evocativi delle emozioni della protagonista. Galatea ha sempre un’espressione neutra, le labbra serrate, è come assente…grigia. Sorride solo quando è con Pafo; ora che sono separate, non lo fa più.
Le sue lacrime hanno un contorno rosa ma sono colorate di nero: un guscio delicato e fragile, che racchiude un corpo duro come la pietra. Così è il suo cuore, svuotato di ogni emozione. Perché ciò che si vuole vedere di lei, che suo marito vuole vedere, è la sua bellezza, la sua esteriorità, la sua diafana perfezione.
L’unico colore che è concesso a Galatea è il rosso sulle guance. Nel mito, dopo aver preso vita, lei arrossisce al primo bacio del suo scultore, e rimane incinta. Nel libro un episodio fa ribollire d’ira Pigmalione: infastidito dalle risate della moglie e della figlia che giocano, si infuria, e accusa Galatea di essere una svergognata. È sempre pronta a chiedere scusa ma non è più in grado di arrossire. Per questo motivo la strattona lasciandole lividi sul collo, sulle braccia, sul petto. Quei lividi per lui hanno un colore perfetto, come sulla tela più rara. Al contrario, però, delle striature che la gravidanza le ha lasciato sul ventre.
Ma Galatea qui ribalta la sua condizione. Escogita un piano per uscire dall’istituto e rivedere la figlia, piano che mette in atto senza compiacimento, senza esaltazione o aspettative. Dirige i suoi passi in modo freddo e distaccato, portandosi dietro i suoi colori di sempre. Come una donna che è stata abituata a non sentire, perché qualcuno le ha sempre detto come doveva sentirsi.
La donna perfetta
Il mito rappresenta il desiderio dell’uomo di possedere la donna “perfetta”, quella che annuisce in silenzio, che tesse le sue lodi, che obbedisce e lo soddisfa sessualmente. Una statua, in pratica, che stia lì ferma, senza disturbare… solo un po’ più tiepida. Questo tipo di storia è frequente nel racconto mitologico, perché rispecchia abbastanza bene la società antica; purtroppo, però, è anche terribilmente attuale. Oggi, infatti, si dice un “Pigmalione” una persona che “assume il ruolo di maestro nei confronti di persona rozza e incolta, specificatamente una donna, plasmandone la personalità, sviluppandone le doti naturali e affinandone i modi”.
Nel mito abbiamo tanti esempi di donne che hanno subito violenze a causa della brama di possesso maschile: basti pensare a Dafne che per sfuggire da Apollo chiede aiuto alla madre, e viene trasformata in alloro; o a Cenis che (sempre secondo una delle versioni) stuprata dal dio del mare, chiede di diventare un ragazzo – costituendo anche uno dei casi transgender del mito – perché non vuole più essere soggetta a questo genere di umiliazione.
L’amore attraverso le epoche
Nell’amore per la figlia, l’unica cosa che sprigiona un eccesso di calore nella sua gelida esistenza, Galatea trova la forza di andare avanti, per preservare la sua innocenza ed evitarle una vita da sottomessa. Per la figlia è in grado di trovare la lucidità e superare – seppur tragicamente – una “relazione tossica”. Galatea è la riprova che il mito torna sempre, e con irruenza; ci insegna che le storie degli antichi sono anche le nostre storie, uno specchio che riflette il passato nel presente.
Sebbene Circe e La canzone di Achille siano due romanzi di gran lunga più appassionanti, credo che Galatea non voglia nemmeno porsi a confronto coi precedenti. Sia lo stile sia la sensibilità qui impiegati sono di un livello differente.
Questo breve libro intriso di poesia è piccolo ma potente, i colori delle eleganti immagini di Ambra si mescolano alle parole della Miller, e concedono di entrare a un livello più profondo della storia. Galatea è un grido di libertà rivolto a tutte quelle donne che si sentono soffocare, rinchiuse in una gabbia che ha sbarre tangibili, anche se invisibili. Spinge inoltre a bastarsi da soli, senza per forza aggrapparsi a qualcuno, e a lottare quando la nostra indipendenza ci viene sottratta. Esorta ad uscire dal nero della solitudine, dal rosa della fragilità, ed entrare in un mondo in cui magari possiamo essere noi stessi a decidere con quale colore dipingere.
Blu Di Marco
(Illustrazioni e immagine di copertina di Ambra Garlaschelli)