Si dice che quelli dell’adolescenza siano “gli anni migliori della nostra vita”; ma questo i giovani di oggi non potranno certo dirlo. Sono ragazzi che hanno rinunciato alla propria routine, alla scuola, al contatto umano per chiudersi in case, diventate poi prigioni.
Non di rado si sente qualcuno contestare dall’alto della sua maturità e saccenteria: “Che vuoi che sia non andare in discoteca per qualche anno”. Tuttavia, una risposta del genere denota e fa da specchio al peso psicologico che i giovani hanno subìto (e stanno ancora subendo) da parte della popolazione in età avanzata. Questa frase, priva di consistenza, vuole mettere in risalto il fatto che una cosa così futile possa essere abbandonata e messa da parte per qualche anno. Chiaramente, al contrario di come si voglia banalizzare il problema in una frase, non si tratta solamente della discoteca; ma di tutte quelle attività ricreative e/o scolastiche che sono state strappate loro in modo irruento in una fase così delicata della crescita.
In primis, sono venute a mancare le relazioni interpersonali, in un’epoca in cui al posto di stringersi la mano, ci si dà un colpetto con il gomito. I sorrisi nascosti dietro una mascherina si sono potuti rivedere solamente attraverso lo schermo di un computer. La routine è cambiata completamente e ci si è visti costretti a restare tutta la giornata in ambienti spesso ostili e problematici.
Oltre ad essere privati di anni fondamentali della propria vita e di esperienze che, a prescindere da quanto si voglia contestare, non rifaranno (o comunque non faranno allo stesso modo), i giovani si sono anche sentiti dire che il loro dolore non era importante.
“C’è chi sta peggio di te”
La loro situazione è stata minimizzata, alludendo al fatto che stavano solamente rinunciando a qualche divertimento; quando c’era chi si trovava in terapia intensiva o al cimitero. Tuttavia, questa retorica del “c’è chi sta peggio di te” è deleteria e lascia il tempo che trova.
Infatti non è una sfida a chi sta peggio; ma anche se lo fosse non ci sarà mai un vincitore, dal momento che ci sarà sempre qualcuno che starà peggio di noi per un motivo o per un altro. Dunque non ha senso minimizzare il proprio dolore e paragonarlo ad uno che si pensa più grande. Al contrario, ogni dolore ha la sua importanza e merita di essere valorizzato in quanto tale. Non dare sfogo a quello che si prova significa reprimere i propri sentimenti e farli fuoriuscire in maniera involontaria attraverso eccessi di rabbia o tristezza.
Un sondaggio Unicef stima che, tra i ragazzi e le ragazze di 15-19 anni, intervistati durante la prima ondata dell’emergenza, un adolescente su tre vorrebbe più modalità di ascolto e supporto psicologico. A dimostrazione di ciò, la ricerca “I care”, condotta nello stesso periodo presso l’Università degli Studi di Palermo, sostiene che il 35% degli adolescenti sia stato colpito dall’ansia, il 32% abbia sviluppato un basso livello di ottimismo e il 50% scarse aspettative per il futuro.
Proprio per questo motivo, le linee di Telefono Azzurro, attive tutti i giorni 24 ore su 24, sono state assalite di richieste, con il 21% di casi in più relativi a problemi di salute mentale. Questo dato, già di per sé poco confortante, aumenta a 46% se si considerano le richieste raccolte fino a fine anno (21 febbraio – 31 dicembre 2020).
La rivolta silenziosa
Un numero che dovrebbe mettere un campanello d’allarme e che non può più essere ignorato. In quel 46% c’è il fallimento di una società che non ha pensato alla salute mentale dei suoi cittadini e ha preferito economizzare “sulla loro pelle”, creando cittadini nevrotici con cicatrici permanenti. Come conseguenza di ciò, vi sono atteggiamenti violenti contro sé stessi (suicidio) o verso gli altri (bullismo, cyberbullismo).
A conferma di quanto detto, i dati dell’osservatorio dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù dimostrano che i casi dei ragazzi che vogliono suicidarsi siano raddoppiati durante la pandemia. È il caso dei tre tentativi di suicidio il 13 settembre 2021 (primo giorno di scuola) in Lombardia, che hanno visto due ragazzi morti e una ragazza gravemente ferita.
Allora perché non si parla mai di loro? Perché ci si dimentica involontariamente o perché non c’è interesse a farlo? I giovani, infatti, appaiono assai di rado nei bollettini giornalieri dei morti. Tuttavia la malattia resta subdola perché li colpisce di rimbalzo.
Sono stati annullati in un momento storico in cui dovevano essere sotto i riflettori più di tutti. Ci siamo dimenticati di una parte della popolazione apparentemente in salute; ma che dentro è già malata. Oltre all’incremento dei tentativi di suicidio, autolesionismo e bullismo, non poteva mancare tra gli adolescenti la drammatica crescita dei disturbi alimentari (pari al 30%).
Pensiamo all’economia…
Da marzo 2020 ai giovani è stato chiesto di sacrificare la propria vita sociale, educativa e professionale per tutelare la popolazione più fragile e anziana. Un grande sacrificio che non è stato mai ripagato o preso in considerazione.
Sono stati visti come merce da posizionare da qualche parte e riprendere a fine pandemia. Dopo aver chiuso le scuole e iniziato la DAD, questi ragazzi sono stati affidati alle proprie famiglie. La priorità infatti era abbassare i contagi, così da poter riaprire bar e ristoranti, un settore duramente colpito dalla pandemia, che solo nel 2019 ha fruttato 84.291 miliardi di euro.
Tuttavia, anche se la didattica a distanza sembrava una possibile strada da percorrere, non ha fatto altro che acuire le differenze sociali. Pensiamo a chi non possedeva un tablet o un pc personale e a chi doveva adattarsi a fare lezione in un ambiente spesso condiviso da altre persone. Inoltre c’era chi aveva problemi di rete, argomento che se pur sottovalutato, ha causato non pochi problemi a insegnanti e ragazzi, portando questi ultimi anche ad approfittarsene.
Si è pensato ad economizzare, a perdere meno soldi possibile e a non far spegnere l’economia. Ma, come tutti i migliori ingranaggi, se manca il cervello della macchina non si può fare nulla. Infatti, l’aspetto psicologico che queste chiusure hanno comportato è stato totalmente ignorato. Il numero verde di psicologici, messo a disposizione dai politici al Governo, è stato solo un cerotto per arginare un fiume in piena che prima o poi li avrebbe travolti. Una soluzione seria sarebbe stata, oltre ai buoni babysitter, mettere anche a disposizione quelli da spendere per la propria salute mentale iniziando una terapia individuale.
Per approfondire: Un “bonus” per la salute mentale (un articolo di Camilla Galeri).
…e ai giovani chi ci pensa?
In alcuni studi si dimostra che il modo in cui i ragazzi rispondono a uno stress è legato a come i genitori vivono lo stress, cioè i genitori possono essere nei confronti di un minore contenitivi dell’ansia oppure no. Se i genitori sono contenitivi delle emozioni, cioè sono un supporto emotivo per i ragazzi, i ragazzi vivono molto meglio, se i genitori non lo sono, tutto si moltiplica, si amplifica.
Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Bambino Gesù
Quando lo Stato non ti aiuta, resta solo la famiglia. Per questo occorre che le famiglie si adoperino all’ascolto e a prevenire comportamenti autolesionisti. Il primo passo è non far ricadere la propria ansia o il proprio malessere sul giovane. Il ragazzo deve essere ascoltato e occorre fargli capire che la situazione è temporanea, cercando di infondergli un po’ di speranza per l’avvenire.
Inoltre, appena si notino comportamenti quali depressione ed episodi frequenti di ansia e irritabilità è necessario rivolgersi ad un esperto nel minor tempo possibile. Dal momento che lo Stato ha fallito con questi ragazzi, le famiglie rimangono l’unico punto di riferimento per loro e le sole a poter intervenire in modo concreto sulla salute di questi ragazzi.
«Come detto, possono amplificare o contenere il disagio dei ragazzi. Un genitore può essere un elemento che rinforza le capacità dei figli, oppure no. Ci sono genitori giudicanti o non giudicanti. Bisogna esserci, accettando l’idea che loro non vogliano parlarci, perché gli adolescenti sono così, devono viverci come una controparte, imparando chi sono grazie ai litigi con noi, è normale. E bisogna essere un modello per i figli, non fare da amici e confidenti. Questo richiede un grande equilibrio: i genitori per primi sono spaventati delle reazioni dei propri figli, tant’è che li accontentano in tutto; invece devono riscoprire il loro ruolo educativo», osserva Stefano Vicari.
Spesso i genitori si sentono impotenti davanti all’apatia dei propri figli; ma devono trovare la forza di riappropriarsi del proprio ruolo, abbandonando un atteggiamento disfattista e fornendo una speranza per il futuro, a cui i propri figli possano saldamente aggrapparsi.
In conclusione
Basterebbero due minuti per chiedere a vostro figlio o a vostra figlia come stia e cosa questa pandemia abbia significato per lui o per lei. Basterebbero due minuti per ascoltare cosa ha da dire, senza giudicarlo e colpevolizzarlo perché il suo dolore non si ritiene “degno” di esistere.
Chi può permettersi di dire che questi sentimenti siano sbagliati o (peggio) ridicoli? Sicuramente non la stessa persona che queste esperienze le ha già vissute in passato e che l’hanno portata ad essere ciò che è oggi. È nel periodo dell’adolescenza che ci formiamo e definiamo il nostro carattere, perché siamo catapultati in un mondo di responsabilità a cui non eravamo abituati. Questi ragazzi sono cresciuti troppo in fretta: sono stati trasportati da un ambiente quasi infantile come le medie ad uno adulto come le superiori, che hanno potuto assaporare a metà, da dietro lo schermo di un computer.
Non riescono più a relazionarsi con gli altri e si trovano in difficoltà quando devono stabilire un nuovo contatto. Questa segregazione li ha portati a rifugiarsi nel mondo immaginario dei social media, perdendo quasi ogni contatto con la realtà. In un momento in cui ogni giovane si ribella alla propria famiglia per cercare la propria indipendenza, si sono visti costretti a passarci 24 ore su 24 durante una quarantena.
Questi ragazzi ora vagano in gruppo nelle strade come fantasmi senza meta e nemmeno ci accorgiamo del loro disagio, dato che portano i segni di questa emergenza sanitaria perlopiù dentro di loro. Nonostante ciò, prima o poi qualcuno al governo dovrà prendersi la responsabilità di occuparsi di questi ragazzi e raccoglierne i cocci.
Sara Albertini (articoli)
(In copertina Yuri Efremov da Unsplash)