La sentenza
Nella notte tra domenica e lunedì, Margaux Pinot, judoka medaglia d’oro nella gara a squadre a Tokyo 2020, ha subìto una violenta aggressione da parte del compagno e allenatore, Alain Schmitt.
Secondo il racconto dell’atleta, la stessa da tempo voleva mettere fine alla relazione e pensava di sfruttare la partenza di Alain per Israele, dove avrebbe svolto il ruolo di allenatore della squadra femminile di judo. I due avevano deciso che Alain sarebbe andato a casa di Margaux che l’avrebbe poi accompagnato in aeroporto. Tuttavia, in aeroporto non sono mai arrivati.
Proprio a casa di Pinot, l’allenatore si è scaraventato sulla compagna procurandole diversi lividi ed ematomi evidenti sul volto, la frattura del naso, una prognosi di 8 giorni ed un indubbio danno psicologico. La judoka, forse grazie proprio alla sua condizione di atleta, è riuscita a divincolarsi e a rifugiarsi dai vicini, i quali hanno chiamato la polizia. Dopodiché, Schmitt è stato arrestato e ha trascorso 48 ore in carcere.
Al processo, avvenuto il martedì seguente, Schmitt si è difeso dalle accuse di violenza domestica affermando di non aver mai picchiato una donna e che Pinot mentiva al 100%. Nonostante il volto tumefatto della vittima, seduta di fronte al giudice, potesse costituire un indizio evidente dell’accaduto, l’aggressore è stato assolto per insufficienza di prove di colpevolezza.
Invertire la rotta
Margaux Pinot è scampata probabilmente a quella che sarebbe stata una morte certa per coloro che non possono appellarsi al judo o ad un fisico atletico. Ma, benché il fatto fosse indiscutibile, per chi doveva giudicare, il viso martoriato della vittima non era abbastanza per formulare un giudizio di colpevolezza.
Solo il cadavere (e in certi casi nemmeno quello), allora, può costituire una prova? Come a stabilire che qualcuno abbia il potere di decidere fino a dove un’aggressione deve arrivare per essere considerata tale. Il tema appare particolarmente controverso: si veda, per esempio, il caso dello stupro di una diciottenne, la cui sentenza condannò un branco di cinque uomini per abuso sessuale ma li assolse dall’accusa di aggressione sessuale per mancanza di intimidazioni e violenza.
Eppure lo stupro rappresenta la violenza stessa. In sostanza, di ambiguo c’è ben poco in un tentativo di strangolamento, in uno stupro, in un’aggressione. Fino a dove ci si deve spingere affinché non ci siano dubbi sulla natura dell’aggressione? Perché arrivare fino alle estreme conseguenze prima di pronunciarsi?
Molte donne, in ogni Paese, denunciano violenze, domestiche e non, e si ritrovano al punto di partenza o, peggio ancora, ad essere loro stesse sotto processo. Eppure, ci si trova a dover fare i conti con qualcuno che stabilisce che ciò quelle donne hanno subìto sostanzialmente è poco rilevante. È tempo di invertire la rotta e non temere di giudicare qualcuno, bensì di non fare giustizia laddove è dovuta.
La versione dei giornali
Il Corriere dello Sport riporta la notizia e la titola così: “Pinot accusa il trainer-compagno: ‘Picchiata e strangolata’. Il giudice lo assolve”. Due frasi che storpiano la vicenda e quasi sminuiscono quanto subìto dall’atleta. In un primo momento attirano l’attenzione del lettore sulle accuse mosse da Pinot verso Schmitt, ma poi lo tranquillizzano e quelle imputazioni sembrano quasi infondate.
Lo stesso titolo scritto magari diversamente, ad esempio: “Pinot picchiata e strangolata dal trainer-compagno, poi assolto dal giudice”, avrebbe reso più giustizia all’accaduto. In un’epoca in cui si presta talvolta troppa attenzione al linguaggio, è bene ricordare che le parole pesano e i cosiddetti titoli clickbait possono fuorviare sensibilmente il contenuto delle notizie e, addirittura, le opinioni.
Camilla Galeri
(In copertina Margaux Pinot)
Hot Topic! è una rubrica curata da Alessandro Bitondo, Camilla Galeri, Jon Mucogllava e Alessandro Sorrenti.