In occasione dei centonove anni dall’indipendenza albanese (28 novembre 1912) ripercorriamo insieme le principali tappe politiche e istituzionali che sancirono la nascita del nuovo Stato balcanico.
All’alba del XX secolo, l’Impero Ottomano, che per secoli si era autoproclamato erede dell’Impero Romano, subì il colpo di grazia che ne decretò la fine. Dalle sue ceneri nacquero man mano nuovi Stati, soprattutto nella penisola balcanica, ognuno portavoce di identità nazionali ben più lontane nel tempo. Ciò non fu un’evoluzione pacifica ma esito della cosiddetta Prima Guerra Balcanica. I confini da sempre controversi della regione vennero stabiliti col trattato di Londra del 1913. Esso presentava non pochi difetti, il che avrebbe di lì a breve portato ad un secondo conflitto, noto come Seconda Guerra Balcanica.
Il nuovo stato: L’Albania
A Londra veniva riconosciuta a livello internazionale anche la nascita di un nuovo paese: l’Albania. Tuttavia le celebrazioni dell’indipendenza si erano avute nei confini albanesi già l’anno prima, esattamente 109 anni fa. Il 28 novembre 1912 Ismail Qemal Bey Vlora, insieme ad un gruppo di delegati provenienti da tutta l’Albania, issava a Valona la bandiera dell’aquila a due teste.
L’intento dell’assemblea di Valona tenuta quel giorno era quello di assicurare la sopravvivenza dei quattro vilayet (suddivisione amministrativa equivalente alle province) albanesi rendendoli autonomi dal governo di Istanbul. I partecipanti elessero in seguito Ismail Qemal come primo ministro dello Stato. Nei mesi precedenti una serie di rivolte avevano infiammato varie città dei vilayet albanesi: ad appoggiare le sommosse fu lo stesso Qemal, insieme ad altri deputati del parlamento ottomano come Hasan Prishtina o Essad Pascià Toptani, che in seguito avrebbero ricoperto importanti cariche istituzionali della nascente Albania.
Le scelte dell’Europa
Il trattato affidava alle sei potenze europee il compito non facile di disegnare i confini e definire la forma dello stato. Sotto la pressione di greci e serbi, anch’essi travolti da tensioni e spinte nazionalistiche, il nuovo governo dovette rinunciare a buona parte dei territori abitati storicamente da una maggioranza albanese. Le conseguenze di questa decisione si protraggono fino a noi, nell’emblematico caso del Kosovo e in misura assai minore in quello della Çamuria. La popolazione albanese si trovò così separata tra i vari stati limitrofi, e buona parte di essa finì per assimilarsi a culture slave o greche.
Si decise che l’Albania dovesse essere un principato; ma trovare qualcuno disposto a sedersi sul delicato trono albanese fu un’impresa. Vennero considerate varie candidature, tra cui quella del principe Alberto Ghica (esponente di una nobile famiglia romena di discendenza albanese) e quella di Aladro Kastriota, il quale pretendeva una discendenza diretta da Giorgio Kastriota Skanderbeg, eroe nazionale albanese. La scelta ricadde infine sul principe Guglielmo di Wied, nipote di Elisabetta di Wied, regina di Romania, sostenuto dalle grandi potenze.
Princ Vidi, com’era noto in Albania, sbarcò a Durazzo per essere incoronato nel 1914 e il suo regno durò undici anni. Ma i rapporti tra Albania e Romania erano destinati ad intrecciarsi ancora: già nella seconda metà dell’Ottocento, Bucarest era per la borghesia albanese una meta prediletta. Nella capitale romena si erano formati buona parte dei letterati, artisti e diplomatici albanesi.
L’artefice: Ismail Qemal Bey Vlora
L’uomo considerato il padre della nazione albanese, Ismail Qemal Bey Vlora, proveniva da una nobile famiglia dell’Albania del Sud di fede bektashi che per anni aveva offerto alla Sublime Porta statisti, tra cui Gran Vizir, deputati e ministri. Intraprese una carriera politica che lo portò presto a diventare stretto collaboratore di Midhat Pasha, primo ministro nonché autore della costituzione ottomana ispirata da ideali moderni e al passo coi tempi. Pur avendo governato su alcune delle città più importanti dell’Impero (tra cui Beirut e Tripoli), la sua carriera era costantemente messa in discussione dai giochi di potere in seno al sempre più fragile governo ottomano. L’instabilità portò Qemal all’esilio e ed una lunga serie di viaggi in Europa, dall’Italia al Belgio. Durante questo periodo di 8 anni ebbe modo di intrecciare rapporti con le vivaci comunità albanesi d’Italia (gli Arbëresh) e vari intellettuali albanesi esuli anch’essi. Proprio in quelle circostanze nasce in lui l’interesse patriottico per la causa albanese.
Forti erano anche i suoi legami con le autorità politiche europee, soprattutto inglesi e austro-ungariche, che si riveleranno non a caso protettori dell’identità albanese sullo scacchiere internazionale. Grazie alle sue abilità da oratore e diplomatico, riuscirà in pochi anni a rendere effettiva l’indipendenza, neutralizzando le mire espansionistiche di Grecia e Serbia. Si voleva fare dell’Albania un Paese moderno, occidentale, che guardasse a modelli come quello francese o italiano. Una missione ardua in un paese fedele a un sistema feudale, resa poi del tutto vana con l’avvento della più feroce dittatura in Europa.
Oggi è un giorno importante per la storia travagliata dell’identità albanese, festeggiato anche dalla diaspora presente in gran numero in molti paesi del mondo. Sono centinaia di migliaia gli albanesi che da anni vivono in Italia e che ogni anno ricordano questa giornata, pur nella loro condizione di nuovi esuli.
Jon Mucogllava