28 novembre 1954
Siamo nel 1953. In un pomeriggio di fine ottobre sulla Milano-Como, Gino Bartali, all’epoca 39enne, viene investito da una macchina. Il colpo è duro e il rischio è enorme: perdere la gamba per gangrena. “Alla tua età da un tale infortunio non ci si riprende più”, gli avevano detto da più parti. Pochi mesi dopo era già in pista: c’era la Milano-Sanremo.
Ma il momento dell’addio al ciclismo era vicino e Gino lo sapeva bene. Si arriva così al 28 novembre 1954. Nella Città di Castello, costruiscono un circuito per l’occasione. Gli sfidanti c’erano tutti: da Giovanni Corrieri ad Alfredo Martini, passando per Primo Volpi. C’era anche lui, Fausto Coppi, amico di una vita, prima ancora che eterno rivale. Gino è di nuovo in sella alla sua bicicletta, molto più di una fedele compagna di viaggio, quasi un patrimonio dell’umanità. Non può sbagliare: sa che il pubblico è tutto dalla sua parte, sa che sarà la sua ultima gara. Si parte. “Ginettaccio” – così era soprannominato – supera prima Volpi, poi fa fuori Coppi e infine si mette alle spalle pure Martini. E così, come nelle migliori storie, arriva la vittoria. “Vecchio mi chiamate da anni, ma dietro al Gino ci finite ancora!”, disse, fiero, a conclusione della gara.
Il campione sorride, il pubblico è in visibilio; ma, da quel momento esatto, il ciclismo non sarà più lo stesso.
La storia d’Italia vista da una bicicletta
Gino Bartali nasce a Ponte a Ema il 18 luglio 1914, appena dieci giorni prima dell’inizio del Primo conflitto mondiale. La condotta del governo italiano, guidato da Antonio Salandra, consistette inizialmente nel “restare neutri e di controllare gli sviluppi”. Così, mentre Gino cresceva e si faceva conoscere per i suoi successi sportivi, la Guerra era finita. I morti erano innumerevoli, l’Italia era da fare. Per restaurare con la forza l’ordine sociale sconvolto dalla crisi del dopoguerra, il re Vittorio Emanuele permise l’affermazione del fascismo nel Paese. Mussolini giunse presto al potere e, di lì a vent’anni, un’altra guerra sarebbe scoppiata.
Bartali, che nel frattempo era già diventato un campione affermato, non si inchinò mai al fascismo; anzi, quando nel 1938 vinse il suo primo Tour de France, non dedicò la vittoria al Duce – come sarebbe stato d’obbligo – ma alla “Madonnina”. Dal settembre del 1943, poi, si adoperò in favore dei rifugiati ebrei come membro dell’organizzazione clandestina DELASEM, compiendo numerosi viaggi in bicicletta dalla stazione di Terentola-Cortona fino ad Assisi. Alle guardie che lo fermavano diceva, prontamente: “che volete? Mi sto allenando!”.
Finita la Seconda Guerra mondiale, il Paese era diviso più che mai. Il 14 luglio 1948 un attentato a Palmiro Togliatti sembra essere il preludio di una guerra civile. Al di là delle Alpi, si svolgeva il Tour de France: Bartali ormai 34enne, faticava molto a tenere il passo dei più giovani. Ma, proprio mentre le gare non raggiungevano i risultati sperati, Gino ricevette una chiamata dall’Italia: era Alcide De Gasperi.
“Gino devi fare un’altra impresa. Vinci questo maledetto Tour, fallo per questo intricato Paese. Te ne prego, Gino, torna in Italia con la maglia gialla”. Il giorno dopo Bartali monta in sella, con sulle spalle un peso enorme e con in testa molto più che un obiettivo. Dopo 263 chilometri è seguito solo dal suo amico e rivale Vittorio Pozzo, che però all’ attacco sul Colle dell’Izoard si deve inchinare. “Sei immortale!”, gli grida. Gino arriva primo, conquista tappa e maglia. E quella maglia, se la tenne addosso fino a Parigi, sfilando da campione sugli Champs-Elysèe.
Rientrato in Italia, Ginetaccio viene accolto come un re. Alcide De Gasperi gli chiede cosa voglia come regalo. Bartali, con il suo solito sarcasmo toscano, risponde: “Mi permetta signor Presidente, se fosse possibile vorrei non pagare più le tasse”.
Un eroe Giusto tra le Nazioni
La Storia di Bartali, da scrivere obbligatoriamente con la “S” maiuscola, va insomma oltre il grande ciclista che è stato. Noto per coprire lunghe distanze con la sua bicicletta per motivi di allenamento, ha trasportato centinaia di documenti e fototessere nascoste nei tubi del telaio, affinché una stamperia segreta potesse falsificare i documenti necessari alla fuga di ebrei rifugiati. SI calcola che, con la sua azione, abbia contribuito al salvataggio di circa 800 cittadini ebrei.
Nel maggio del 2005, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi consegnò allo scomparso campione la medaglia al valore civile, per avere aiutato e salvato molti ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Dal 2 ottobre 2011, inoltre, Bartali è inserito tra i “Giusti del Mondo” nel Giardino dei Giusti del Mondo di Padova. Dal 7 luglio 2013 Bartali è riconosciuto “Giusto tra le Nazioni” dallo Yad Vashem, il memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell’olocausto.
L’insegnamento più importante che Gino Bartali ci ha lasciato, insomma, va oltre i pur grandissimi successi sportivi. “Ginetaccio” Ci ha lasciato un modo di compiere il proprio dovere: con abnegazione, a rischio della vita – ma soprattutto in silenzio. E oggi, dove sempre più spesso un gesto viene esaltato per poter dimostrare – a telecamere accese – che si è misericordiosi e caritatevoli, Gino Bartali ci ha lasciato una lezione di vita opposta:
Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca.
Gino Bartali
Hot Topic! è una rubrica curata da Alessandro Bitondo, Camilla Galeri, Jon Mucogllava e Alessandro Sorrenti.