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“Yara” – L’ingiustizia della vita

Yara

Quante volte vi è capitato di non sapere quale film o quale serie TV guardare? Ogni sabato pomeriggio, su Giovani Reporter, ci penserà Alessandro Leo a darvi un consiglio. Non dovrete fare altro che mettervi comodi, versarvi un bicchiere della vostra bevanda preferita, prendere qualcosa da mangiare e dare un’occhiata all’ultimo articolo di AperiCinema.

[Non contiene spoiler]


Quella notte…

Ci sono storie che quando le senti ti fanno rabbrividire. Storie di vite distrutte ancora prima che potessero nascere. Storie talmente crudeli e ingiuste da far perdere qualsiasi tipo di certezza in un’esistenza già incerta di per sé. Ci sono storie che dovrebbero appartenere solo alle trame dei film e delle serie TV.

Yara aveva 13 anni e quella sera stava tornando a casa dalla palestra di ginnastica ritmica, la sua passione, il suo sogno. In quei 700 metri che la separavano da casa c’era un po’ tutto: il soffio del vento serale tipico di quella zona della bergamasca, il pensiero di quel ragazzo che forse si era finalmente accorto di lei, la felicità di aver passato ancora una volta del tempo in un luogo che la faceva stare bene, il come raccontare la sua giornata alla famiglia una volta tornata a casa. Ma Yara quella sera a casa non ci tornò.

Yara quella notte morì.

Chiara Bono (Yara) in una scena del film.

Trama

Il film si apre proprio sul ritrovamento del corpo di Yara e da lì inizia il racconto a ritroso di tutta la vicenda fino alla sentenza finale.

Dopo una prima presentazione della ragazza, della sua famiglia e dell’audace pubblico ministero Letizia Ruggeri si arriva al momento della scomparsa e del successivo inizio delle indagini, che inizialmente non portano risultati, ma solo false piste; tuttavia, presto, grazie alla tenacia della Ruggeri, subiscono un cambio di rotta sfociando in una delle più grosse indagini scientifiche che l’Europa abbia mai visto.

Questo perché sul corpo di Yara viene trovato il DNA di un estraneo, definito “Ignoto 1” e, partendo da esso, la Ruggeri propone di adottare un modus operandi inverso, organizzando tamponi di massa per costruire un database di DNA da confrontare. Questa ricerca parte nel dubbio generale da parte della gente, dei media e della politica ma presto porterà ad un nome ed un cognome: Massimo Bossetti.

Mario Pirrello e Sandra Toffolatti (Fulvio e Maura Gambirasio) in una scena del film.

Commento tecnico

Questo film mi ha fatto venire i brividi, mi ha fatto pensare e mi ha fatto scendere anche qualche lacrima nel finale ma, allo stesso tempo e cinematograficamente parlando, mi ha fatto tirare un mezzo sospiro di sollievo perché finalmente dopo tempo è stato realizzato un prodotto italiano per piattaforma con un’ambizione internazionale.

Ho apprezzato particolarmente le inquadrature larghe che danno spazio alle location e alle scenografie, la fotografia e i toni freddi della color; in molti punti l’estetica mi ha ricordato la serie TV Dark e penso che complimento migliore non si possa fare anche se il paragone è ancora lontano, dico questo tralasciando gli effetti speciali perché lì non si raggiunge nemmeno la sufficienza ma fortunatamente siamo davanti ad un film che non si basa sugli effetti quindi questa mancanza non influisce più di tanto.

Nel cast ho trovato diverse lacune. Abbastanza bene Mario Pirrello nei panni del padre di Yara, la cadenza bergamasca e l’emotività da genitore che riesce a tirare fuori coprono qualche mancanza a livello attoriale nei dialoghi. Molto bene Alessio Boni e Thomas Trabacchi (rispettivamente nei panni di Vitale e Garro) e Augusto Zucchi (Procuratore Sperone) che è sempre una certezza.

Mi è piaciuta Chiara Bono (Yara), dalle poche scene in cui compare mette in mostra una bella espressività del viso, sicuramente un’attrice che potrà fare ottime cose in futuro, come anche Crystal Deglaudi, interprete della figlia del PM Ruggeri, 11 anni e un grande talento che lei e chi le sta intorno dovranno essere bravi a coltivare nel tempo.

Per metà film non mi è piaciuta Isabella Ragonese, troppo movimento degli occhi e troppe intenzioni forzate nell’interpretazione, salvo poi riprendersi in corso e regalare attimi di grande emozione nel finale. Il resto del cast principale abbastanza mediocre, mentre azzeccati e credibili alcuni dei piccoli ruoli bergamaschi, altri per niente.

In conclusione

La recitazione non perfetta influisce il giusto sulla storia e le interpretazioni riescono comunque a far entrare lo spettatore in empatia con i personaggi in una storia che, nonostante sia già conosciuta da tutti, riesce ad avvicinarci ai sentimenti dei protagonisti fino a condividerli con loro in maniera tragicamente vera; cosa che solo un prodotto cinematografico riesce a fare.

Un film nel complesso bello che merita di essere visto per la qualità tecnica che propone in molte sezioni, per il respiro internazionale, per la ricostruzione dei fatti resi un lungometraggio in maniera coerente e per continuare a ricordare una brutta storia che non deve essere dimenticata.

Si potrebbero dire tante cose, fare tante morali sulla vita e su quale sia il buon senso, ma onestamente, davanti a storie come quella capitata a Yara e come quelle che capitano a tante altre persone (finendo nel dimenticatoio), non mi sento di aggiungere altro.

Alessandro Leo

(In copertina e nell’articolo immagini tratte dal film Yara, disponibile su Netflix)


Yara è il diciassettesimo articolo della rubrica settimanale di Alessandro Leo AperiCinema.

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