

“Vorremo provare oggi a riassumere le contraddizioni che sentiamo quando pensiamo a dove siamo ora, a come stiamo ora”, così inizia il severo discorso di tre neolaureate presso la Scuola Normale di Pisa, Virginia Magnaghi, Valeria Spacciante e Virginia Grossi.
Quale eccellenza tra queste macerie?
Le tre ragazze, presenti alla consegna dei diplomi, hanno individuato in questa circostanza l’occasione più adatta per non tacere di fronte alle contraddizioni del sistema accademico: partendo da una critica induttiva allo stesso tipo di formazione offerta dalla Scuola Normale Superiore di Pisa, fino ad arrivare ad una riflessione generale sul mondo universitario, hanno dato luogo ad un’invettiva che esprime ed esplicita il loro desiderio di cambiamento, la loro volontà di vivere e offrire ai futuri studenti un mondo accademico che risulti diverso da quello attuale.
“Che valore ha la retorica dell’eccellenza?”, afferma a gran voce Virginia Magnaghi, “quale eccellenza tra queste macerie?”. Una retorica che ha progressivamente allontanato l’istituzione universitaria dalla sua primaria funzione formativa, rendendola simile ad una veemente ed estenuante competizione, in cui ogni studente corre in maniera concitata verso la propria affermazione e carriera personale. Ma qual è il fine ultimo di questa corsa?
Per tale ragione la prima studentessa, Magnaghi, denuncia il processo di trasformazione dell’università in chiave neoliberale. Tale visione, infatti, si è insediata, così, come un verme, all’interno del sistema scolastico, determinando l’esordio della retorica dell’impegno, che si basa sulla concezione secondo cui basti impegnarsi per avere ciò che si desidera. L’impegno è certamente essenziale, ma la faccenda ha più sfumature di quanto si possa pensare. Spesso la sola dedizione non basta, specie se si considera il classismo che pervade il nostro sistema.
Troviamo problematico che il corpo docente riproduca attivamente alcune dinamiche, come la spinta alla competitività, alla produttività. Se l’obiettivo della scuola è quello di abituarci quanto prima ad accettare acriticamente questo sistema crediamo che questo sia un obiettivo perverso.
Valeria Magnaghi
Vincitori e vinti
E, proprio come in una competizione, anche in questa gara ingiustificata ci sono vincitori e vinti: vince chi è in grado di far fronte al sistema, spesso ritrovandosi a doverlo accettare acriticamente e passivamente, perde chi non è in grado di assecondarlo. Si finisce con il seguire, bracciata dopo bracciata, le onde di un mare impervio, mosso, non confortante, e che spaventa. Poche boe, pochi appigli. Allo stesso modo, durante gli anni di studio, le tre ragazze hanno smarrito alcuni colleghi tra le acque mosse della Normale.
Valeria afferma: “La loro assenza ci pesa ed è una sconfitta per la scuola”, una scuola divenuta azienda, in cui i problemi del singolo vengono subordinati all’obiettivo finale dell’università stessa: l’eccellenza. Si potrebbe richiamare in questa sede il concetto di meritocrazia, ma sarebbe sbagliato farlo, perché dietro l’idea di meritocrazia si cela in maniera tanto leggera quanto incisiva il primitivo e crudo darwinismo sociale: procede nell’evoluzione solo chi è in grado di sopravvivere. Questa pressione sociale determina negli alunni gravi conseguenze fisiche e psicologiche, proprio per la costante pressione a cui sono sottoposti.
Le donne nelle università
Sfidando la solennità del momento, le tre ragazze hanno scelto di affrontare un altro tema tanto attuale quanto preoccupante: il divario di genere. Questa volta a parlare è Virginia Grossi, l’ultima delle tre ragazze, che afferma:
Vorremo che la Scuola Normale, in quanto istituzione, prestasse più attenzione alla disparità tra uomini e donne all’accesso dell’accademia universitaria. Borse di dottorato e assegni di ricerca sono equamente distribuiti, così non è per le cattedre di seconda fascia, ricoperte da donne nel 39% dei casi e di prima fascia nel 25%.
Virginia Grossi
Non è retorico né marginale ribadire che tuttora nella società odierna, specie in particolari settori, le donne continuino a ricoprire ruoli marginali. La disuguaglianza tra i generi si accresce in relazione all’aumentare delle responsabilità. Questa tendenza viene denominata “soffitto di cristallo”, e altro non è che una barriera sottile, invisibile ma tanto solida e resistente che ostacola la carriera delle donne. Questo limite si riversa anche nel settore accademico.
Nella Scuola, su 13 membri del senato accademico, solo 3 sono donne. E di 10 professori ordinari della classe di lettere, 9 sono uomini. Numeri che si riflettono anche sui diplomati, su 24 solo 8 sono donne.
Virginia Grossi
Università pubbliche VS università private
Il divario però non è solo di genere: preoccupante è anche la dicotomia esistente tra i poli d’eccellenza e le università pubbliche. È evidente come le prime siano disposte a tutto pur di ampliare l’aurea di prestigio che le contraddistingue dalle altre università, portando, però, spesso all’esasperazione la competizione tra studenti. Inoltre, tutta la fatica spesa per sopravvivere a tale sistema non viene ripagata nella realtà, che viene disegnata come un deserto, in cui l’unico baluardo resta un’ampollosa cattedrale intorno alla quale si scorge il nulla più totale.
Saranno, quindi, gli strumenti forniti da tali università a non essere adatti al contesto nel quale gli alunni verranno gettati violentemente o è il sistema ad essere incapace di incalzare la faticosa corsa imposta dalle università più blasonate d’Italia? La loro fatica verrà ripagata? Che valore ha la retorica dell’eccellenza se fuori da questa cattedrale nel deserto ci aspetta questo contesto desolante?
Oltre la cattedrale nel deserto
Una volta terminati i 16 minuti del video in cui viene ripreso il discorso delle ragazze, ci finisce in un vortice perturbante di pensieri. L’obiettivo delle neolaureate era certamente quello di sollecitare la riflessione, ma l’effetto finale è sopra ogni aspettativa, perché ci si sente dominati da un forte senso di disdegno.
Eppure, questa deplorazione non sa contro chi puntare il dito, tentenna e non sa se colpevolizzare il sistema o le accademie d’eccellenza per tutte le contraddizioni e gli orrori esposti. La potenza che si percepisce dalla visione di questo video dovrebbe mantenersi viva nelle nostre menti, creando un sentimento collettivo, senza lasciare prevalere l’impotenza individuale nei confronti delle problematiche accademiche. Il fine dell’invettiva mira a smuovere le coscienze per promuovere una sensibilizzazione sociale. Chissà se saremo in grado di coglierla e raggiungerla.
Sofia Spagnoli
(in copertina Vasily Koloda da Unsplash)
In collaborazione con:

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