Virginia Raggi (Movimento 5 Stelle) ha perso le elezioni. Certo, non è così che lei l’ha raccontata nella classica conferenza stampa post-risultati, ma è questo che dicono i numeri.
Raggi ha ottenuto il 19,08% delle preferenze a Roma, dove si candidava per un secondo mandato, concludendo il primo turno al quarto posto. Persino Carlo Calenda, che si presentava come civico, cioè senza l’appoggio dei grandi partiti, ha fatto meglio: 19,82%.
Le amministrative del 2016
Nel 2016, appena cinque anni fa, era stata tutta un’altra storia. Allora Raggi aveva chiuso il primo turno con il 35% dei voti e poi aveva stracciato il candidato del centrosinistra, Roberto Giacchetti, al ballottaggio (67,15% contro 32,85%). Qualcosa, in questi anni, è evidentemente andato storto, ma cosa? Sicuramente sul gradimento della sindaca ha pesato lo scontento dei romani per la gestione della città, ma la sconfitta di Virginia Raggi non è altro che il tonfo più rumoroso del crollo del Movimento Cinque Stelle (M5S).
Il M5S che trionfò a Roma nel 2016 era la novità del momento, la grande rivelazione delle politiche del 2013, dove a sorpresa aveva ottenuto il 25% dei voti, scompaginando il vecchio bipolarismo della Seconda Repubblica. Era un Movimento radicale, giovane, anti-establishment. Era il M5S dei “Vaffa-Day“, dell'”uno vale uno” e del sogno della democrazia diretta. Dell’inesperienza ostentata come prova di purezza. Dell'”apriremo il Parlamento come una scatola di sardine”. Che cosa rimane, oggi, di quel Movimento?
La doppia vittoria del 2016, a Roma con Virginia Raggi, prima donna a guidare la capitale e a Torino con Chiara Appendino, sembrava aprire la strada a una nuova stagione che, effettivamente, è arrivata con le politiche del 2018 e il 32% del M5S. Massimo risultato mai ottenuto dal Movimento di Beppe Grillo e, ormai, un lontano ricordo.
Cosa resta del M5S?
Tre anni e mezzo sono passati dalle ultime politiche e sono bastati per trasformare il M5S in un partito di governo. Oggi il M5S è guidato da Giuseppe Conte, ordinario di diritto privato all’Università di Firenze, e sostiene l’esecutivo moderato di Mario Draghi, ex governatore della BCE. È, insomma, allineato con quello stesso establishment che voleva distruggere. È esso stesso establishment, ormai.
La piattaforma Rousseau è caduta sotto i colpi delle lotte intestine tra Conte, Grillo e Casaleggio, il terzo mandato per i grillini non è più un tabù e Paola Taverna, un tempo tra i pentastellati più radicali, si è laureata. Gli attacchi infuocati ai “professoroni di sinistra” sembrano acqua passata. Adesso il partito dei professoroni, il PD, è un prezioso alleato. Indispensabile, anzi, perché da solo il M5S non vince più. In questa tornata di elezioni amministrative, ad esempio, l’unica vittoria pentastellata in una grande città è arrivata a Napoli. Qui Gaetano Manfredi ha ottenuto più del 60% delle preferenze, ma con il sostegno anche del PD. Altrove il M5S sfiora l’irrilevanza: 8,00% a Torino, 2,78% a Milano, 3,37% a Bologna. E anche a Roma non è andata poi così bene. Il 19% di Virginia Raggi, infatti, è frutto di voti al M5S solo per l’11%. Il resto è arrivato dalla lista personale della sindaca (Virginia Raggi-Avanti con coraggio) e da liste minori.
Una nave che affonda
Ma dove sono finiti tutti i voti dei cinque stelle? A occhio e croce si potrebbe dire che si sono spostati a destra, verso la Lega e poi verso Fratelli d’Italia. Ovvero verso chi adesso sembra radicale come lo sembrava il M5S nel 2016. Oppure sono scivolati nell’astensionismo, particolarmente elevato in questa tornata elettorale, frutto dell’ennesima delusione. Se persino il Movimento dei Vaffa-Day è diventato un partito di mezzi moderati, come resistere alla tentazione di pensare che in fondo “i politici sono tutti uguali“?
La leadership grillina, però, non sembra porsi troppe domande. I big del Movimento hanno abbandonato la nave che affonda, cioè quella di Roma, per navigare verso i più dolci lidi di Napoli. Virginia Raggi ha quindi tenuto la conferenza stampa della sconfitta sotto le bandiere arancioni della sua lista civica, mentre Di Maio e Conte correvano a festeggiare Manfredi. Fingendo che fosse ancora il 2016 e che quella fosse una vittoria vera. Ora chi gli dice che il partito più votato della coalizione, anche a Napoli, è stato il PD?
Sara Bichicchi
(In copertina Markus Spiske da Unsplash)