Una premessa obbligatoria
Pochi giorni fa mi è capitato di leggere sui social un post di un noto comico fiorentino che rivendicava il diritto a “fare forca”. Non so se sia giusto parlarne in questi termini, ma credo che una riflessione su questa tematica possa avere un’importanza non indifferente, se si guarda oltre al gesto in sé. In un mondo super tecnologico, in cui ogni spostamento è segnalato e in cui ogni azione viene resa pubblica, è ancora consentito “uscire dall’ordinario“?
Una premessa è doverosa, altrimenti il rischio è quello di essere fraintesi, soprattutto in un mondo dell’informazione governato sempre di più dal “politicamente corretto”. Il diritto allo studio è una conquista unica e preziosa della quale non tutti i giovani possono godere. La possibilità per tutti – bambine e bambini, ragazze e ragazzi – di accedere alla cultura e di istruirsi è un trionfo di civiltà da difendere con le unghie e con i denti, se necessario. Rappresenta il caposaldo più importante della nostra società, che troppe volte viene dato per scontato. E nella settimana che ha visto riaprire le scuole è bene ricordare ciò che sosteneva Piero Calamandrei:
Se si vuole che la democrazia prima si faccia, poi si mantenga e si perfezioni, si può dire che la scuola a lungo andare è più importante del Parlamento, della Magistratura e della Corte costituzionale.
Pietro Calamandrei
La riflessione che volevo condurre, pertanto, non intende assolutamente calpestare il diritto allo studio, bensì analizzare un aspetto dell’attualità: il fatto che sin da piccoli si sia iper controllati, senza che sia ammessa la possibilità di compiere qualche errore. E, se è valido il detto: “sbagliando si impara“, allora stiamo fallendo nei confronti di coloro che più di tutti devono formarsi: i giovani.
Un mondo super tecnologico e controllato
Ecco, quindi, che il punto di vista della critica non è rivolto alla scuola, bensì al fatto che si controlli assiduamente ciò che fanno i ragazzi. L’alunno non è in classe? Subito viene inviata una mail ai genitori. Lo stesso avviene per voti, ritardi e note. Se si vuole guardare il bicchiere mezzo pieno: senza dubbio il genitore può avere un quadro più chiaro dell’impegno che il figlio mette nello studio. Tuttavia, ritengo che, in tal modo, venga compromesso il sacro rapporto tra genitori e figli. Il risultato che si ottiene è assai pericoloso: all’interno di questo rapporto non si ergono più fedeltà e rispetto reciproco, bensì meccanismi elettronici che dicono immediatamente come il figlio si stia comportando. Ci si fida, insomma, più della macchina che della persona, incentivando un rapporto “tecnologico” fatto di numeri e lettere, al posto di un rapporto umano.
Oltretutto, trovo limitativo della libertà del ragazzo il non poter essere minimamente autonomo e indipendente. Il discorso è riferito ai giovani che frequentano le scuole superiori, poiché è chiaro che per medie e le elementari il discorso non possa essere lo stesso. Anche perché, a certe età, non si ha neppure il desiderio di emancipazione e di evasione dall’ordinario propri dell’adolescenza, periodo nel quale si inizia a sviluppare un primordiale senso critico nei confronti di ciò che ci circonda.
Il diritto a fare forca è un diritto adolescenziale unico ed irripetibile, perché esercitabile solo in quella precisa fase della vita. Non si può dire “ho fatto forca” all’università e giammai nel mondo del lavoro. Il diritto a “saltare scuola” è altrettanto importante quanto il diritto alla ricreazione o come il diritto di poter chiacchierare con i propri compagni. Vogliamo evitare anche questo? Allora iniziamo ad inviare un sms ai genitori tutte le volte che i ragazzi in classe si mettono a parlare. Mettiamo telecamere nelle aule, dispositivi che registrino tutto quello che avviene dentro la scuola. È una privazione della libertà dei ragazzi di un’esperienza che non è recuperabile poi nel futuro. Una violazione per cui i giovani dovrebbero indignarsi.
Una proposta bizzarra
Il ragazzo a scuola deve costruirsi le ali per poter spiccare il volo verso il proprio futuro e non si può pensare di volare in un sistema prepotentemente tecnologico ove tutto è controllato. Mancherà altrimenti sempre quella piccola frazione d’incoscienza e spensieratezza che nel ragazzo è giusto tutelare. Dovremmo renderlo patrimonio dell’Umanità, al pari di strutture architettoniche o costruzioni mozzafiato. Perché nel diritto alla scuola c’è anche questo, deve esserci anche questo!. Altrimenti, se fosse solo la lezione in sé, potremmo continuare a seguire lezioni online, davanti ad uno schermo, evitando ogni tipo di distrazione dallo studio. Ed invece, la volontà di tornare in presenza ci suggerisce che la scuola è molto di più. Perché in realtà è tutto quello che non è compreso nelle lezioni che, citando De Gregori, “rimane tra le pagine bianche e le pagine scure“.
Questo non significa che non ci debba essere un controllo, ma questo deve essere moderato e calibrato. Diamo la possibilità ai ragazzi di compiere qualcosa che vada al di fuori dell’ordinario, qualcosa che non è scritto nei libri di scuola. Propongo di introdurre la possibilità di fare almeno una “forca” a semestre, oppure di poter rientrare tardi in classe dopo una ricreazione perché rimasti a parlare con i propri amici in corridoio. Chiaramente questi comportamenti devono essere ricondotti al loro essere “eventi eccezionali“: se si ripropongono continuamente, è ovvio che il discorso prenda tutta un’altra piega.
Conclusione
In definitiva, rivendico assolutamente il diritto a “fare forca” utilizzando un’espressione tipicamente fiorentina, che potrebbe essere sostituita da altre centinaia diffuse in tutta Italia. In Lombardia, per esempio, si usa dire “jumpare la scuola“; mentre in Veneto va di moda “fare berna“. In Puglia, invece è frequente l’espressione “fare filone” e in Molise “fare spago“. E in Sardegna si dice “fare vela“, probabilmente perché invece di andare a scuola vanno al mare.
Ad ogni modo, è un bene – anzi un dovere – che i ragazzi possano talvolta assaporare il gusto di saltare una giornata di scuola: rifugiarsi in giardini sperduti a giocare a pallone, o girovagare con gli amici per i vicoli della propria città. Perché è giusto che un ragazzo faccia le proprie scelte, le proprie esperienze, i propri errori, lontano dal controllo assiduo di computer e smartphone.
Probabilmente in un mondo sempre più raziocinante e frenetico nella ricerca di metodi per massimizzare la sicurezza in ogni campo e in ogni settore, ci si è dimenticati di quanto sia bello uscire dall’ordinario. Perché, come cantava Bennato:
Forse questo ti sembrerà strano,
ma la ragione ti ha un po’ preso la mano
ed ora sei quasi convinto
che non può esistere un’isola che non c’è.
Edoardo Bennato, L’isola che non c’è
Alessandro Sorrenti
(In copertina a Il diritto a “fare forca” Jeffrey Hamilton da Unsplash)
Hot Topic! è una rubrica curata da Alessandro Bitondo, Camilla Galeri, Jon Mucogllava e Alessandro Sorrenti.