Molti credono che in Afghanistan gli Stati Uniti abbiano sprecato oltre vent’anni di guerra (più di quelli in Vietnam), milioni di dollari e migliaia di vite umane; e magari pensano anche che abbandonare il Paese fosse l’unica scelta possibile, a questo punto della situazione.
Tuttavia, entrambe le considerazioni, nate in seguito agli eventi che hanno travolto Kabul nelle ultime settimane, risultano fin troppo semplici per spiegare il tragico epilogo di una storia estremamente complessa che affonda le sue radici nella Guerra Fredda e, in particolare, nella guerra russo-afghana. Questa storia sarà in grado di darci la chiave di volta per comprendere le azioni di tutte le parti in causa, dagli americani ai Taliban?
Da regno progressista alla repubblica fantoccio
L’età contemporanea afghana si apre con un anno e con un nome: 1919 e Amanullah Khan. Nel corso del primo si svolse la terza guerra anglo-afghana, evento che segnò un momento importante per la Nazione, a lungo contesa tra Regno Unito e Impero Russo, dal momento che ottenne la propria indipendenza, diventando alla fine una monarchia; il secondo fu invece il primo sovrano dell’Afghanistan libero, l’uomo che aveva invocato la guerra santa contro l’invasore inglese.
Gli anni di reggenza di Amanullah Khan, andando controcorrente rispetto al periodo storico di inizio Novecento, si caratterizzarono per un profondo progressismo sociale: sostenne una forte modernizzazione del Paese e una grande apertura alla politica estera, si impegnò a promulgare una costituzione che fornisse pari diritti a uomini e donne, concedendo il suffragio universale e la possibilità di dare consenso formale vincolante al proprio matrimonio.
Dopo la sua abdicazione, nel 1929, si susseguirono diversi re saliti al potere anche con la forza, e nonostante tutto l’Afghanistan viveva una situazione totalmente diversa da quella che conosciamo noi oggi, in cui la stabilità era all’ordine del giorno, tanto che gli afghani rimasero estranei agli eventi della Seconda Guerra Mondiale e mantennero una posizione di neutralità nei primi anni della Guerra Fredda. Almeno fino al golpe ordito da Mohammed Daud Khan, primo ministro del regno, ai danni di Mohammed Zahir Shah, ultimo re d’Afghanistan.
Zahir Khan divenne così presidente della Repubblica Democratica d’Afghanistan, repubblica che però non ebbe vita facile perché, dopo la firma della nuova costituzione e la formazione dell’esecutivo, di stampo autoritario e personalista, nel 1978 Daud venne eliminato da Muhammad Taraki, segretario del Partito Democratico Popolare di posizione filo-sovietica vicino a personalità come Leonid Breznev, da questo momento capo del nuovo governo. Con questo secondo golpe inizia ad aprirsi la fase che avrebbe posto le basi per l’invasione sovietica in Afghanistan.
L’ombra dell’URSS
Chiaramente Taraki favorì la costruzione di uno stato di stampo marxista, firmando leggi laiche che consentirono la distribuzione di terre a 20.000 contadini, l’abrogazione dell’usura e la statalizzazione dei servizi sociali. Ma in questo anno di governo Hafizullah Amin, vice di Taraki, scontento di ricoprire un ruolo politico secondario, contemplò l’idea di uccidere il suo presidente, arrivando persino a chiedere consiglio a Breznev, il quale offrì una risposta indifferente, anche perché non aveva in simpatia Amin, al punto che sarebbe arrivato a suggerire a Taraki di rimuoverlo dal suo incarico. Amin però mal interpretò indifferenza: così catturò il presidente il 4 settembre 1979 e lo dichiarò morto tre mesi dopo.
La voce infondata, che circolava nel KGB a Mosca, che vedeva Amin come personalità legata alla CIA offrì il pretesto ai sovietici di invadere l’Afghanistan, destituendo Amin e nominando a capo del governo Babrak Karmal, in modo che la situazione politica interna alla Nazione potesse tornare stabile. Non andò come speravano; anzi, la situazione precipitò ulteriormente.
A questo punto, un Paese a maggioranza islamica che solo dagli anni ’20 era riuscito a creare una propria sovranità e una propria indipendenza non poteva tollerare ancora una volta una potenza straniera che pretendeva di imporre una nuova ideologia contraria ai valori dell’Islam. Così, esplosero le rivolte in tutto il Paese, permettendo a una nuova figura di entrare nel panorama bellico: Ismail Khan, capitano dell’esercito.
La sua personalità ebbe un grande impatto mediatico: grazie alla sua ribellione contro i gerarchi sovietici a Herat – da cui acquisì il soprannome di Leone di Herat – e all’invocazione di una jihad, ispirò la popolazione ad unirsi a lui facendo nascere molteplici diserzioni di massa di reparti dell’esercito; una fra tutte quella dell’aprile del 1979 di alcuni ufficiali a Jalalabad, i quali assassinarono diversi consiglieri sovietici.
Stars and Stripes Join the war
Poiché l’esercito sovietico stava dilagando nel territorio afghano, entrò in gioco la questione statunitense, ovvero l’incognita se la superpotenza occidentale dovesse schierarsi apertamente contro l’URSS seguendo le logiche della Guerra Fredda, oppure mantenersi neutrale. Decisione posta sul tavolo dell’amministrazione del presidente Carter quando ancora era vivo Taraki.
Si aggiunsero poi altri due problemi collaterali alla scelta dell’interventismo: come agire in Afghanistan, se fosse sufficiente solamente finanziare e armare i ribelli o anche organizzare campagne propagandistiche per minare la solidità dell’influenza sovietica; e calcolare il rapporto tra rischio e beneficio, se il rischio di essere scoperti dai sovietici fosse troppo grande, e di conseguenza dar inizio alla tanto temuta Terza Guerra Mondiale.
Alla fine si optò per una posizione interventista, approfittando dell’appoggio offerto dal Pakistan, il cui presidente Muhammad Zia-ul-Haq aveva accettato l’offerta degli Stati Uniti di costruire sul suo territorio antenne radio per le intercettazioni.
Negli anni ’80, sotto la presidenza Reagan, vi fu un ulteriore potenziamento del sostegno statunitense, che prevedeva un intensificato addestramento dei guerriglieri, attacchi diretti contro gli ufficiali sovietici per destabilizzare il morale e rifornimento di tecnologie militari avanzate, tra cui i famigerati FIM 92 Stinger, missili contraerei che svolsero un ruolo determinante nella sconfitta sovietica.
La guerra proseguì per dieci anni e terminò nel 1989, poco prima della disfatta dell’URSS, sotto la presidenza di Michail Gorbačëv: si stagliava nuovamente all’orizzonte una speranza per l’Afghanistan, siccome l’invasore ha battuto la ritirata definitivamente, ma ancora una volta la pace sarebbe stata lontana. Ma a differenza delle guerre anglo-afghane e della Guerra Fredda questa volta il nemico non veniva da fuori, bensì da dentro la nazione. E non sarebbe stata una battaglia facile da concludere.
Una stella che diventa meteora
Data la natura frammentaria del popolo afghano, da sempre diviso in tribù, sorse il problema di una guida per il Paese: sotto la monarchia ci fu un capo di Stato che teneva unita la Nazione, durante la Guerra Fredda un nemico comune da combattere, i sovietici; ma ora che il governo fantoccio era caduto e nel neo-Stato Islamico dell’Afghanistan la corruzione dilagava, le varie etnie, fra cui uzbeki e tagiki, con a capo i diversi signori della guerra entrarono in conflitto tra loro, andando a prefigurare uno scenario che permise, con il crollo dello Stato Islamico nel 1996, l’ascesa di un nuovo movimento politico e militare, quello dei Talebani, fondato dal mullah Mohammed Omar: il termine che dà nome al movimento indica quegli studenti coranici che sostengono un’ideologia religiosa di tipo fondamentalista, studiando i testi sacri nelle madras pakistane.
Riuscirono a conquistare gran parte del territorio afghano a fine anni ’90 e, il 26 settembre del ’96, conquistarono Kabul e diedero origine al primo Emirato Islamico, dopo aver assassinato l’allora presidente Mohammad Najibullah: Burhanuddin Rabbani e Gulbuddin Hekmatyar decisero di fuggire nella zona più a nord dell’Afghanistan, dove fondarono l’Alleanza del Nord per contrastare la minaccia talebana, con a capo Ahmad Shah Mas’ud, detto anche “Leone del Panjshir“: quest’ultimo guerrigliero afghano si distinse durante la Guerra Fredda, soprattutto per essere riuscito a respingere la sesta offensiva sovietica.
Nonostante gli stessi Talebani fossero stati finanziati dagli USA poiché uniti ai Mujaheddin, lo stampo nazionalista e fondamentalista del movimento li portò a combattere contro tutti coloro che etichettavano come ipocriti, ovvero quei fedeli musulmani che sostenevano il modello occidentale, e contro gli occidentali stessi, ormai additati come invasori che, così come fecero i sovietici negli anni ’80, secondo i Talebani volevano importare in Afghanistan uno stile di vita considerato eretico.
Una lotta che culmina il 9 settembre 2001 con l’assassinio del Leone del Panjshir, che si era impegnato nella lotta contro questi studenti coranici, e l’11 settembre 2001, con l’attacco definitivo contro l’Occidente, l’attentato alle Torri Gemelle nel complesso del World Trade Center a Manhattan, orchestrato da Osama Bin Laden, capo dell’organizzazione terroristica Al Qaida.
Fu un evento che avrebbe segnato per sempre le pagine di storia, poiché per la prima volta il centro nevralgico del mondo occidentale aveva subito un attacco diretto, con la morte di quasi 3.000 persone e il ferimento di altrettante 6.400.
Gli USA, fatta eccezione per Pearl Harbor che comunque era un centro militare posto su un’isola, non avevano mai subito attacchi interni al proprio territorio né durante la Prima né durante la Seconda Guerra Mondiale, e nemmeno durante la Crisi dei Missili di Cuba che costituì uno dei principali punti critici della Guerra Fredda.
Era evidente che il modello di gestione della politica estera statunitense iniziava a dare i primi grossi problemi, e spostava definitivamente l’asse geopolitico a Oriente…
Leonardo Bacchelli
NdA: per ulteriori approfondimenti riguardo le operazioni portate avanti da CIA e KGB in suolo afghano, consigliamo la lettura del saggio La guerra segreta della CIA, di Steve Coll (Rizzoli Editore, 2008).
(In copertina i Taliban in Afghanistan)