Per quale motivo l’antichità ci affascina così tanto? Noi non crediamo più nel mito greco classico, lo abbiamo confinato alle aule universitarie: eppure, le storie di dèi ed eroi sono parte integrante della nostra cultura.
Il mondo continua ad andare avanti, il nostro sguardo allo stesso tempo cerca di allungarsi sempre più indietro. Guardiamo alle storie del passato, forse per comprendere meglio il presente. Quanti racconti sono entrati nella nostra mente, quanti personaggi hanno forgiato le nostre consuetudini. Oggi diciamo quotidianamente espressioni come “avere il tallone di Achille”, “andare tra le braccia di Morfeo”, “le dodici fatiche di Ercole”, “la tela di Penelope”.
Ma questi personaggi oggi sono solo questo…protagonisti di racconti ancestrali, figure dall’identità sfocata, che tuttavia ai nostri occhi emanano un’aura così misteriosa, così affascinante. Nell’ultimo decennio molti scrittori hanno dato voce alla loro curiosità, travolgendo i lettori appassionati. Hanno voluto reinterpretare queste fantastiche vite dando loro una nuova luce, quella del romanzo, e cercare di comprenderle secondo una psicologia che è propria nel nuovo millennio.
Siamo noi che ci degniamo di scendere fino agli antichi, sono loro che vengono a noi?
da “Medea” di Christa Wolf
1. Circe, di Madeline Miller
È facile rivedersi nella figura di Circe: già dalla nascita non ha chiaro il suo posto nel mondo. Figlia del sole e della ninfa Perseide, non è né totalmente dea, né totalmente ninfa. La sua famiglia non la considera nemmeno, e quando lo fa è per denigrarla. Sembrerebbe il riflesso di un’adolescente dei giorni nostri: non è bella come le sue sorelle, non ha la loro potenza o la loro influenza, tanto da arrivare a preferire i mortali agli dèi. La sua vita è sfortunata, ma qualcosa cambia quando scopre che la magia è ciò che la contraddistingue. Può mescolare le erbe per creare potenti Φάρμακα (phàrmaka), da intridere di parole magiche. Un dono o una condanna?
Un’altra svolta sembra avvenire quando incontra Glauco, durante una delle sue solite passeggiate sulla spiaggia. Il mare è spesso un elemento che si lega alla riflessione, alla solitudine, quindi rispecchia bene lo stato d’animo di Circe. Glauco è un pescatore, un mortale, e lei se ne innamora: nessuno l’hai mai trattata con tanta gentilezza. Eppure, lui preferisce Scilla, la bella ninfa che ha “le stesse movenze dell’acqua”. Nel cuore della maga, allora, fermenta l’odio, e grazie ai suoi phàrmaka farà di Scilla un mostro marino, brutto come il sentimento che l’ha resa tale.
La maga verrà dunque esiliata nell’isola di Eea, dove condurrà una vita solitaria, forte però della sua resilienza. Le bestie mansuete, il bosco, la quiete e il canto le fanno compagnia, fino all’arrivo del grande e astuto Odisseo. Tutti conosciamo la storia di Circe, ma dopo aver letto questo romanzo la sua figura ci rimarrà nel cuore. Una donna che non possedeva una bellezza abbagliante, in un posto in cui tutto era splendido e prezioso e non c’era posto per altri pregi. Non penseremo più a lei come alla strega che ha trasformato degli uomini in maiali: ricorderemo la sua gentilezza, la sua docilità, le sue ferite, i suoi rimpianti, il suo amore e la sua rassegnazione. Soprattutto la sua forza. Ciò che arriviamo a conoscere è la sua umanità.
- Circe, di Madeline Miller (Marsilio Editori)
2. Il silenzio delle ragazze, di Pat Barker
La guerra di Troia… questo conflitto scoppiato “per colpa di una donna”, e che ha generato le storie più struggenti e più intense dell’epica antica. In ogni guerra c’è sempre un nemico, e poco spazio per l’umanità: e come può una vittima pensare che il vincitore abbia un cuore, proprio come il suo? Pat Barker racconta la storia di Briseide, troiana data in dono ad Achille, dopo una battaglia risultata vittoriosa. Il libro, tuttavia, alterna capitoli di Briseide a capitoli in cui il punto di vista è proprio quello del Pelide. Entriamo nei panni di una donna strappata alla sua vita e data in pasto al predatore, e subito rimbalziamo contro quest’ultimo. Anche lui aveva una vita, che ha abbandonato per combattere una guerra che non gli appartiene e in cui non crede.
Dimentica, le dicono. «Fu allora che capii qual era il mio dovere, semplice e limpido come una ciotola d’acqua: ricordare». Il silenzio del titolo è quello che Briseide deve mantenere quasi tutto il tempo all’accampamento. E assieme a lei anche le altre troiane. Privata della sua voce è come se non avesse più anima: una preda di guerra senza diritti. Nel silenzio della protagonista si mescolano la rabbia per aver visto tutto crollare, lo sconforto per alcune compagne che nonostante tutto si sono legate ai loro aguzzini, l’empatia che sente di non dover provare per Patroclo, il disagio per dover essere il fantoccio di Achille. La ragazza scopre una dimensione peculiare, un limbo in cui – anche in battaglia – gli uomini sono uomini, e non tutti i soldati combattono perché lo desiderano.
Briseide e Achille sono due figure che non hanno compiuto la scelta: la prima prigioniera di guerra, il secondo prigioniero in una profezia. Il mare è l’elemento che li unisce: quando sanno di non essere visti vi si immergono come sperando in una purificazione che può essere solo momentanea, un’assoluzione che dura il momento di chiudere e riaprire gli occhi. L’acqua salata lava via il sangue, ma non la colpa, non la vergogna. Senza mai avvicinarsi veramente, capiscono di essere simili. Lui la rispetta, anche se è costretto a mantenere il suo ruolo, e anche lei ci prova a sua volta. In parte perché costretta, in parte perché oltre la sua scorza dura, Achille è in grado di consentire la sepoltura di un nemico – lo stesso che ha ucciso Patroclo – e di contrastare Agamennone per ragioni di principio. Ma il silenzio di Briseide sarà per sempre confuso nel brusio dei nomi che si è sforzata di ricordare. I nomi di tutti i troiani che ha visto uccidere da Achille.
- Il silenzio delle ragazze, di Pat Barker (Einaudi)
3. La canzone di Achille, di Madeline Miller
Achille: il prode guerriero, destinato ad essere più grande del padre Peleo, figlio di un mortale e della più bella delle Naiadi. La sua esistenza sembra davvero straordinaria. Ma questa profezia è una condanna, perchè ciò che l’eroe vorrebbe portare avanti è la sua amicizia con Patroclo, ostacolata dalla madre Teti. Questa è un’amicizia profonda, viscerale, naturale e nel senso più puro intrisa di erotismo, che porterà i due all’amore reciproco.
Il romanzo ci impone di dimenticare la strage di Troia, le atrocità sul campo di battaglia e il sangue versato. La lente si sofferma sulla storia dei due giovani, dalla corte di Peleo fino alle mura di Troia. Achille con il suo peso sulle spalle, Patroclo con lo sguardo sempre puntato sul compagno, da cui non vorrebbe mai separarsi. Il destino di quest’ultimo è quello di rimanere sempre accanto all’amato, di riportarlo alla ragione quando l’altro è sopraffatto dalla vita. Lo seguirà quando verrà mandato dal centauro Chirone nei boschi, quando la profezia verrà a riprenderlo per condurlo in guerra. Lo seguirà sul campo di battaglia e per lui combatterà, anche se non è un guerriero e tantomeno un eroe. Achille allora seguirà Patroclo nel regno dei morti, per sopravvivere allo scorrere del tempo che non hanno potuto passare insieme durante la vita.
Nella canzone di Achille riconosciamo quel caldo abbraccio che è la scrittura di Madeline Miller. La sua capacità di vedere nel cuore dei personaggi è davvero preziosa. Le Muse stesse sono dalla parte dell’autrice se non fa storcere il naso del lettore di fronte alla rivisitazione romanzesca di un racconto tanto grande.
- La canzone di Achille, di Madeline Miller (Marsilio Editori)
4. Il canto di Penelope, di Margaret Atwood
Questo esile volume intreccia la voce di Penelope con quella delle dodici ancelle impiccate per mano di Odisseo e del figlio Telemaco, accusate di aver sedotto i Proci che stanziavano a palazzo. È raro vedere in qualche modo sminuita la figura di questo grande eroe, ma la Atwood non si fa intimorire dalla sua incombente ombra. Calza i panni di Penelope e sfoga tutta la sua delusione, rabbia, disprezzo, tristezza. E non contenta danza assieme alle serve, esegue con loro ironici canti.
Quello delle serve è un vero e proprio moto di protesta femminista, che insorge in un’aula di tribunale del XXI secolo. Qui, accusati di stupro i Proci che le ragazze erano obbligate a servire – incredibilmente – il caso viene archiviato. Penelope tira fuori la sua voce di moglie e di donna, tenuta in disparte fin dalla nascita: figlia di una naiade per natura sfuggente, temuta dal padre che ha provato ad affogarla, presa in sposa da un uomo astuto ma ingannatore, troppo bravo nell’arte oratoria, e cugina della bellissima Elena causa di sciagure. Quest’ultima è dipinta come un’affabulatrice di uomini e non, come più volte è presentata, quale figura eterodiretta, incantata dalla dea Afrodite.
Ora che l’intelligente e prode marito è partito per la guerra, la regina è sola con le sue ancelle e il figlio Telemaco. Per di più è costretta ad ascoltare per anni i racconti sull’eroico consorte, che pare preferisca errare per mare, scontrandosi con ogni genere di ostacolo e rimanendo prigioniero di belle donne, piuttosto che tornare al caldo del suo focolare. Dall’Ade ormai Penelope è libera di dare sfogo ai suoi pensieri, anche nella morte moglie fedele ma sempre nell’ombra.
- Il canto di Penelope, di Margaret Atwood (Ponte alle Grazie)
5. La casa dei nomi , di Colm Tóibín
Questo romanzo dà una forma leggermente diversa a quella che è la storia di Clitemestra, moglie di Agamennone, e dei loro figli Elettra e Oreste. Nella loro casa gli dèi sono quasi del tutto scomparsi. La regina non crede più in loro da quando questi hanno ordinato al marito di sacrificare la figlia Ifigenia. Clitemestra giura di vendicare questa crudeltà e, assieme all’amante Egisto, nemico da sempre di Agamennone, cospira per la morte del re, lontano dalla patria perché impegnato nella guerra di Troia. Il desiderio dei due amanti verrà soddisfatto: non appena l’odiato marito ritorna a casa, per giunta sfoggiando la sua nuova schiava (la sacerdotessa Cassandra), la moglie finge di adularlo e compiacerlo. Trepidante, lo coglie con la guardia abbassata, solo nel bagno, lo cinge con una coperta intessuta di nodi magici e lo colpisce a morte.
Inizialmente proviamo la stessa rabbia della regina, ma ascoltando le storie dei due figli il riflettore si sposta. Oreste viene portato subito via, ancora bambino, per volere della madre. È confuso, spaesato e al contempo speranzoso. Scortato da due guardie, raggiunge una baracca in cui viene confinato con altri bambini, trattati come orfani e malmenati, ma grazie a due compagni riuscirà a fuggire e vivrà isolato nel bosco insieme a loro fino all’adolescenza. Trovato rifugio nella casa di una vecchia donna, dovrà rimanere nascosto con la paura di essere scovato per anni. Per tutto il tempo non avrà mai la certezza di cosa sia successo. I suoi genitori sono vivi? È stato uno di loro a ordire il suo allontanamento?
Elettra, anch’essa isolata ma all’interno del palazzo, troverà conforto nel buio, minacciata dalla nuova coppia regale e costretta a muoversi guardinga. Imparerà a conoscere ogni angolo del palazzo, a farsi amiche le ombre e a fidarsi di pochi. Solo quando i fratelli saranno ricongiunti e dopo il ritorno di Oreste, potranno vendicare le angherie della madre e di Egisto.
Quindi, chi è davvero Clitemestra? La regina umiliata e annichilita? La madre tiranna e senza scrupoli? E chi sono Elettra e Oreste? Vittime o figli rancorosi e assetati di vendetta? Il lettore è libero di interpretare queste figure e di cercare la spiegazione che preferisce, una volta che l’autore è riuscito a plasmarli dando loro una forma, una psiche.
Forse una storia meno affascinante, svuotata della presenza del divino, senza le Erinni che guardano eccitate dall’alto la morte di Agamennone. Tóibín però ci regala la storia inedita dell’infanzia di Oreste, del suo affetto per Leandro. Abbiamo una versione fortemente umana, che consente di porre la storia in una dimensione più vicina a noi e, quasi come in un gioco interattivo, possiamo scegliere se avvicinarci più all’uno o all’altro personaggio.
- La casa dei nomi, di Colm Tóibín (Einaudi)
6. Il canto di Calliope, di Natalie Haynes
Omero invoca Calliope, la Musa che gli detterà le storie della guerra, quella cruenta strage che ha spezzato tante vite. Calliope soffre, si adira con il poeta che vuole sempre di più da lei. Ma non capisce che è straziante ricordare tutto questo? E allora vuole gridare una volta per tutte come sia andata davvero. Com’è andata per le donne, che non meno degli uomini devono essere rese protagoniste di questa battaglia sanguinosa, eppure sono state celate nell’ombra. Vuole urlare com’è andata per coloro che hanno dovuto stringere i denti e proteggere i figli quando i nemici sono entrati nelle loro case per renderle schiave. Per le donne prese con la violenza, e che hanno visto le proprie dimore bruciare.
Calliope canta, e canta Creusa moglie di Enea, che si sveglia alla luce delle fiamme della sua città; canta le troiane ora schiave: Cassandra, Polissena e la madre Ecabe, una volta regina di Troia; canta Penelope, che ha sempre più l’impressione che il marito stia facendo di tutto per allungare il suo viaggio lontano da casa. Canta l’amazzone Pentesilea; canta Criseide e Briseide prede di guerra dell’esercito di Agamennone; canta Teti, madre di Achille; Ifigenia sacrificata dal padre per volere degli dèi; canta Gaia, colei che ha voluto tutto questo perché era troppo il peso da reggere sulle spalle.
La Musa della poesia non considera grandi solo le gesta degli eroi. Chi ha detto che le grandi imprese siano solo quelle compiute imbracciando spada e scudo? O che più sangue si versa più si diventa grandi e degni? Cosa ne è di coloro che hanno subìto, senza poter scappare o gridare aiuto? Chi oserà sostenere, dopo aver udito queste voci, che gli unici eroi sono stati gli uomini?
- Il canto di Calliope, di Natalie Haynes (Sonzogno)
7. Enea, lo straniero , di Giulio Guidorizzi
Ancora una volta la storia parte da Troia, e ancora una volta è uno degli sconfitti a guidare la narrazione. Enea, grande guerriero spesso affiancato ad Achille, ha fatto di tutto per proteggere la sua patria e i suoi cari. Il padre Anchise, la moglie Creusa e il piccolo Ascanio. Ed è per loro che raccoglierà il suo orgoglio, accetterà la sconfitta e salperà alla ricerca di una terra sicura, portando con sé tutto quello che gli è rimasto: i Penati, memoria e speranza, fulcro della casa. Guidorizzi concede un romanzo che non si limita a raccontare, ma arricchisce le pagine della sua conoscenza del mondo classico.
A Cartagine l’esule viene accolto dalla bella Didone, affascinante regina che si struggerà per lui, e quando verrà abbandonata chiederà aiuto a una maga per dimenticarsi di lui. Solo il fuoco della magia potrà scacciare le fiamme della passione che l’ha avvolta, e concederle di dimenticare. Enea invece non la dimenticherà, penserà sempre a lei con il senso di colpa per averla ferita, ma il suo compito era mantenere una promessa, rispettare il suo fatum. Ha giurato di trovare una nuova patria per i troiani che sono salpati con lui.
Il viaggio di Enea è lo stesso che porterà alle origini di Roma e quindi anche alle nostre. Le parole di Guidorizzi sono in grado di trascinare per ore nella lettura, ed è questo il bello di leggere un romanzo che si intesse con la conoscenza antropologica. Apprendiamo del ramo d’oro, dei Penati, delle vestali, del rito funebre romano e di altre festività, delle genti che popolavano l’Italia. Tra etimologie e curiosità di ogni sorta non perdiamo comunque il filo. Arriviamo con Enea nella futura patria, dove l’ennesima guerra sancirà l’inizio di un popolo. Sarà ancora il fatum a far sì che una cesta contenente due bambini si intrecci indissolubilmente con la storia di questo popolo.
- Enea, lo straniero, di Giulio Guidorizzi (Einaudi)
Blu Di Marco
(In copertina Levi Meir Clancy da Unsplash)