Cronaca

Genova, 20 anni dopo – Una lezione non (ancora) imparata

G8 Genova

Sono trascorsi ormai 20 anni dal drammatico G8 di Genova, una delle pagine più brutte della storia repubblicana. Eppure, guardando agli anni recenti, la sensazione è che da quei giorni nulla, o quasi, sia cambiato . La cronaca anche recente riporta svariati abusi perpetrati dalle Forze dell’Ordine. Troppi, per parlare di semplici “mele marce“.


Nei giorni scorsi si è celebrato il ventennale del G8 di Genova. Il capoluogo ligure, che ospitava il vertice tra i leader delle più grandi potenze mondiali, tra il 19 e il 21 luglio 2001 divenne teatro di uno dei più grandi soprusi di Stato nella storia occidentale recente. La carica indiscriminata di piazza Alimonda, la morte di Carlo Giuliani, la mattanza della scuola Diaz e i fatti della caserma di Bolzaneto sono una macchia vergognosa sullo stato di diritto e sulla democrazia italiani.

Dopo vent’anni, la sensazione è che il nostro Paese ancora non abbia ancora imparato la lezione: le recenti immagini delle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere sono un altro colpo alla credibilità del nostro Paese nella tutela dei diritti umani. Per l’ennesima volta le Forze dell’Ordine, chiamate a difendere la legge e la dignità delle persone, hanno finito per calpestarle.

Episodi di ordinario delirio

Nei vent’anni successivi a Genova episodi simili sono troppo spesso balzati all’onore delle cronache. Tutti quanti ricordiamo le vicende di Federico Aldovrandi, Gabriele Sandri e Stefano Cucchi. Meno noti i casi di Riccardo Rasman e Giuseppe Uva.

Rasman, affetto da sindrome schizofrenica paranoide, nell’ottobre 2006 lanciò dei petardi dal balcone di casa sua a Trieste; tre poliziotti (condannati per omicidio colposo), intervenuti su segnalazione dei vicini, lo soffocarono sul letto premendo sulla sua schiena. Uva, invece, nel giugno 2008 fu pestato nella caserma dei Carabinieri di Varese, dove era stato condotto per schiamazzi, solo per essersi rifiutato di fornire i documenti; la Cassazione ha tuttavia prosciolto gli imputati in quanto, come sostennero gli imputati, Uva si comportò in maniera aggressiva con gli agenti.

Neppure la lotta alla mafia è stata esente da abusi: nel 1985 alcuni poliziotti della squadra mobile di Palermo torturarono e uccisero Salvatore Marino, accusato di essere coinvolto nell’omicidio del commissario Giuseppe Montana. Per ritorsione, di lì a poco Cosa Nostra ucciderà Ninni Cassarà, vice dirigente della suddetta squadra, estrano all’episodio.

Recente invece il caso della caserma Levante di Piacenza: i carabinieri che vi erano in servizio lo scorso anno furono arrestati (e condannati poche settimane fa con pene fino a 12 anni) per spaccio di stupefacenti, abuso d’ufficio e tortura.

Uno Stato inerte

La risposta dello Stato, sia livello giudiziario che politico, si è rivelata decisamente inadeguata. Sono noti i depistaggi che hanno segnato molti degli episodi ricordati sopra. Polemiche sono state rivolte alla magistratura per aver comminato sanzioni irrisorie: per i fatti di Bolzaneto sono state emesse condanne per un massimo di 3 anni e 2 mesi di reclusione. In un recente convegno sul G8, l’avvocato Ezio Menzione ha ricordato che “poliziotti e carabinieri riconosciuti responsabili di pestaggi e tortura hanno avuto pene tremendamente inferiori ai manifestanti che hanno danneggiato vetrine o cose”; nello stesso incontro Emanuele Tambuscio, avvocato di alcuni manifestanti, ha lamentato la mancata disposizione di demansionamenti per gli agenti condannati, molti dei quali hanno addirittura ricevuto promozioni.

Nel 2017 l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo per tortura: la sentenza ricorda che “nessuno ha passato un solo giorno in carcere per quanto inflitto ai ricorrenti” , sia per l’impossibilità di identificare gli agenti coinvolti, sia per “le lacune strutturali dell’ordine giuridico italiano” dell’epoca.

Serve una risposta

Sempre nel 2017 il Parlamento ha introdotto nel codice penale il reato di tortura, che punisce fino a 12 anni (fino all’ergastolo in caso di morte conseguente) “chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà,” cagioni “acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa”. Tale provvedimento è ritenuto non sufficiente da Amnesty International, che evidenzia come il reato così formulato rischi di essere applicabile solo in caso di comportamenti ripetuti più volte; sarebbe peraltro difficile provare il trauma psichico come richiesto dal testo.

Il colpevole ritardo con cui si è arrivato a questa legge è dovuto anche all’ostilità di parte della classe politica, soprattutto a destra, nel riconoscere l’esistenza di gravi problemi all’interno nostre Forze dell’Ordine. Reticenza figlia anche dell’ideale diffuso che vede carabinieri e poliziotti come “angeli“, ai quali ogni errore può essere giustificato. Tale fazione politica si è opposta con forza al reato di tortura, in barba anche alla convenzione ONU in merito. Curiosa l’opinione di Giorgia Meloni, per la quale il nuovo reato “impedisce agli agenti di fare il proprio lavoro“, come se questo non potesse svolgersi in maniera non violenta.

Quindi la strada da percorrere resta ancora tanta, sia a livello legislativo che puramente di mentalità. Una riforma epocale sarebbe l’introduzione dei codici identificativi sulle divise degli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico, come già accade in quasi tutti i paesi dell’UE. Il contrasto agli abusi delle forze di polizia è prerequisito essenziale di una nazione civile, e non significa criminalizzare tutti gli agenti: l’Italia deve essere grata alla stragrande maggioranza di loro, che svolge il proprio dovere con scrupolo e abnegazione. E proprio per rispetto verso la parte sana è indispensabile essere inflessibili verso quella malata. In caso contrario ci troveremmo davanti a veri e propri abusi, se non omicidi, di Stato. Altro che “mele marce“.

Riccardo Minichella

(In copertina Carlo Giuliani)

Ti potrebbero interessare
CronacaPolitica

Giorgia Meloni e il suo Governo: non è tutto oro quel che luccica

CronacaPolitica

Insieme a te non ci sto più – News sul caso Ferragnez

CronacaCultura

Non è solo Cecilia Sala – La guerra dei regimi ai giornalisti

CronacaPolitica

Drill baby, drill! – Trump e la sua (inesistente) politica ambientale