Noi italiani non spicchiamo certo per ottimismo nei confronti del Bel Paese, è risaputo, e la nostra unità nazionale è praticamente inesistente. E, da bravi italiani, ci piace ripeterlo di continuo, con un misto di pacata rassegnazione e tenace voglia di riscatto, come se potessimo cambiare il mondo seduti sul divano di casa. Tuttavia, esistono ancora due casi in cui emerge il nostro patriottismo: il calcio e il cinema.
E “Luca” è un grande omaggio all’Italia, e più nello specifico alla zona delle Cinque Terre del regista nostrano Enrico Casarosa, una storia che richiama la sua e la nostra infanzia, costellata di amicizie estive, escursioni in luoghi sconosciuti e nuotate in mare aperto. Tutto in un racconto di formazione quasi del tutto privo di colpi di scena.
Dai fondali a Portorosso
Il film racconta la storia di Luca Paguro, un giovane tritone che abita i fondali del Mar Ligure e che passa le giornate pascolando pesci per conto della sua famiglia. È un “ragazzo” che non soffre particolari problemi, tranne l’iperprotezionismo dei suoi genitori, che lo hanno cresciuto nella convinzione che il mondo in superficie sia pericoloso e che gli esseri umani non siano altro che assassini spietati, ma è tutta una questione di punti di vista.
I blocchi verranno superati quando Luca conoscerà un suo simile di nome Alberto che, professandosi massimo esperto della cultura umana, lo porterà, anche grazie alla capacità di tramutarsi in umano fuori dall’acqua, alla scoperta di un nuovo mondo, rappresentato dalla borgata di Portorosso.
Qui imparerà a vedere il mondo sotto una nuova lente: il passaggio dal mare, che per un mostro marino rappresenta il porto sicuro, alla terra ferma, incontaminata o abitata, è una brillante metafora del passaggio dall’età infantile all’età adulta, da una realtà familiare a una sconosciuta, che impone, per forza di cose, un cambio di vedute che permetta di affrontare sconosciuti imprevisti.
Gli altri e noi stessi
Il centro fondamentale in cui Luca compie il suo percorso di crescita è proprio il paese di Portorosso, ed è qui che emergono le colonne portanti di questa esperienza formativa: i rapporti di amicizia e rivalità. Risulta scontato dirlo, ma in un qualunque percorso di vita questi rapporti sono fondamentali per il cammino personale di chiunque, visto che rappresentano il nostro primo approdo in un mondo che, ci piaccia o meno, troverà il modo di esserci ostile, ma anche di offrirci delle opportunità.
Il regista approfitta del tipico carattere riservato dei piccoli borghi, in cui tutti sanno tutto di tutti, per tratteggiare le difficoltà che Luca e Alberto si troveranno ad affrontare, in special modo gli sguardi sospettosi di chi li vede come intrusi all’interno di una tranquilla e sicura quotidianità, e di chi, ponendosi con supponenza, cerca di mantenere lo status quo in cui vive. E questo è il caso di Ercole Visconti, un ragazzo di sedici anni che domina la realtà di Portorosso con arroganza e senza preoccuparsi dei suoi coetanei. A lui però si oppone Giulia, giovane figlia di un pescatore locale, che spinge i due ragazzi a concorrere contro Ercole nella Portorosso Cup.
Nostalgia canaglia
Sebbene l’impianto narrativo sia relativamente semplice e poco approfondito, la vera punta di diamante del film è rappresentata dai disegni e dalle animazioni, che mostrano l’amore incondizionato del regista nei confronti del mondo dell’animazione: già dalle bozze preparatorie si possono intravedere le forti influenze del maestro giapponese Hayao Miyazaki, soprattutto per i colori accessi e per la rappresentazione dei protagonisti e dei paesaggi italiani, che ricordano molto quelli di Porco Rosso, film omaggiato anche dal nome del paese in cui si ambienta la storia, Portorosso, versione fittizia della reale Monterosso.
Un altro omaggio si può cogliere nei modelli tridimensionali dei personaggi, basati su quelli che hanno reso iconico lo studio inglese Aardman, noto soprattutto per opere come Wallace & Gromit, Shaun the sheep e Galline in fuga.
I, poi, non si limitano solo all’animazione, ma allargano il loro raggio d’azione a tutto il cinema italiano degli anni ‘50 e ’60: Federico Fellini, di cui si vede il poster del film La Strada; Marcello Mastroianni, sullo specchietto della moto costruita da Alberto; la Vespa e il poster di Vacanze Romane, mostrato alle spalle di Giulia durante una conversazione con i protagonisti nella piazza cittadina.
Sebbene la pellicola non si possa definire un capolavoro e non da Oscar (anche se la speranza è ultima a morire), merita di essere vista anche solo per tornare bambini giusto un’ora e mezza, gustando il sapore agrodolce della nostalgia. E si spera che un’opera italiana come questa possa attrarre turismo nel nostro Paese, dopo un anno faticoso come quello appena trascorso.
Leonardo Bacchelli
(In copertina e nell’articolo immagini tratte da Luca, disponibile su Disney+)