Comincia tutto con la luce.
La luce non dà molte vie di scampo. Può essere il lampadario, il sole deciso di mezzogiorno o semplicemente lo schermo del telefono. È una fitta fugace, come la punta di uno spillo che punge l’occhio dall’interno. Fa stringere gli occhi una, forse due volte. Ma non fai in tempo a riaprirli che già quella scompare.
Poi arriva un’idea, un’idea sempre più pesante. Sembra incastrarsi tra il cervello e una meninge, in principio è un’idea piccola, quasi un pensiero passeggero, ma in pochi minuti prende peso. Si nutre della luce che, nel mentre, si sdoppia e sfoca la vista, inumidisce gli occhi incapaci di reggere i contorni bruciati del mondo, e si ciba della forza di gravità. Improvvisamente diventa faticoso reggere 100 kg d’aria sulla testa. Il collo comincia a cedere. Così il dolore oculare e la pesantezza sul collo alimentano questa idea, questa ossessione che comincia a sentirsi stretta lì dove si è istillata. E allora comincia a martellare. Bussa a ritmo di battito cardiaco, bussa alle porte del cranio.
Poi le orecchie cominciano a sentire tutto, tutto ciò di udibile sembrano captarlo, amplificarlo. Fino a rendere anche il minimo fruscio un rumore assordante. Non c’è tregua a una guerra civile che lotta nel corpo di chi vorrebbe solo fare pace con la propria mente. Il buio è il primo rifugio in cui cercare conforto, la luce diventa una nemica da evitare, inaffrontabili diventano i suoni. Ci si stende supini nella speranza che il collo si rilassi e non percepisca più la forza di gravità.
Sembra esserci qualche secondo di tregua, ma la speranza di aver evitato la battaglia viene immediatamente soffocata dall’ariete che pare sfondare il cranio. L’ossessione si insidia. Conquista metà cervello, lo zigomo, il processo mastoideo e anche la cervicale. Crea, nel giro di secondi, una nevralgia acuta.
È tutto contratto, è tutto concentrato su questa ossessione, un tarlo che scava, scava sempre di più nelle profondità del nulla. Non c’è modo di rilassare i muscoli facciali che piangono per il dolore. Gli occhi lacrimano nel tentativo di fare uscire la sofferenza. Ma rimane tutto dentro. Ci si può grattare, scavare la faccia nel tentativo di creare una via, di farlo uscire, ma è tutto inutile.
“Mi sta uccidendo, il mio corpo mi vuole uccidere.” Sono le uniche parole pronunciabili. Non sembra esserci altra spiegazione. Ci si sente soli nel rinunciare ad uscire, nell’interrompere una conversazione al telefono, nel non sentirsi capiti, mai.
- “È solo un mal di testa”;
- “Devi reagire”;
- “È tutto psicosomatico”;
- “Prendi un moment e ti passa”;
- “Forse stai esagerando”.
Il corpo sembra sprofondare nel materasso, non esiste cura a tanta solitudine. Non si può ascoltare musica, non si può guardare niente, la compagnia di chi non comprende dà solo modo al tarlo di conquistare sempre più territori. E lui ora lavora, lavora. E dà una martellata a destra e poi a sinistra, ogni tanto si posiziona dietro agli occhi e tira fuori una mitragliatrice e comincia a sparare a più non posso. E nel buio, sotto le palpebre, partono i fuochi d’artificio. Si potrebbe urlare ma non si farebbe altro che alimentare questo affanno.
Vuoi dormire, ma non puoi. Vuoi urlare di dolore, ma non puoi. Vuoi sistemarti meglio sul letto, ma non puoi. Vuoi una mano, ma non puoi. Forse più che una mano vorresti una testa nuova, ma non puoi. Vorresti autoinfliggerti un dolore più forte per non sentire quello nella tua testa, ma non puoi. Vorresti combatterlo, ma non puoi. È una battaglia persa. E come in tutte le battaglie perse il vincitore saccheggia tutto ciò che trova, finché non si stanca.
Allora come è arrivato comincia ad abbandonare il campo di battaglia. Si allontana dalla cervicale, lascia liberi il viso e l’orecchio, raccoglie i bossoli intorno gli occhi, ripulisce tutto e, come si è presentato, se ne va. Lascia solo lame invisibili, cicatrici che ricordano ai vinti cos’hanno subìto, la minaccia di un ritorno imprevedibile.
Così ci si adagia sul letto, gli scuri chiusi, il silenzio… che dilaga nella solitudine di una malattia fantasma.
Agnese Vulcano
(In copertina illustrazione originale di Agnese Vulcano)
Emicrania, malattia fantasma è un articolo della rubrica Personale, a cura di Davide Lamandini.