
E se nel 1969 fossero arrivati prima i comunisti sulla luna?, si chiede la serie TV “For all mankind”. Nei nuovi episodi facciamo un nuovo salto temporale e arriviamo ai primi anni ’80, ambientati in un mondo sempre più confuso tra fatti realmente avvenuti e inventati.
Una distopia spaziale
Nella prima stagione ci troviamo in un mondo alternativo in cui l’Unione Sovietica vince la corsa alla luna, una Terra in cui la corsa allo spazio non è mai finita. Ora invece veniamo catapultati avanti nel tempo di un decennio, più precisamente nell’83, ma sempre nello stesso universo fittizio: si aggiungono a questo nuove varianti storiche, come l’arrivo del primo rover marziano nel ’75 (in realtà il primo arrivò solo nel ’97), o la vittoria di Ronald Reagan nel ’76 (quando in realtà vinse Jimmy Carter).
Ma il vero cambiamento riguarda la guerra fredda, in questa serie meno fredda che mai. In tutta la stagione è sempre presente un forte rischio di guerra nucleare (e lunare), fino ad arrivare a uno stato di tensione simile alla crisi missilistica di Cuba del ’62, risolta grazie all’impegno dei due Stati a evitare una pericolosa escalation militare. Ma non vengono solo sviluppate storie che coinvolgono l’intera umanità: infatti comprendiamo appieno, in quanto scene di vita comune, le crisi familiari dei Baldwin o lo stress post traumatico di Gordo Stevens (Michael Dorman), che è anche alle prese con la drammatica separazione dalla sua ex-moglie, Tracy (Sarah Jones). Nell’ultimo episodio vediamo quest’ultimi morire eroicamente, e dopo poco ci viene anticipata la trama della terza stagione: saremo su Marte, nel 1995.

Tutto un altro stile
Questa seconda stagione si differenzia dalla prima in molti aspetti. Alcuni elementi rimangono pressoché uguali, come la fotografia, che offre un prodotto di qualità allo spettatore, e la performance degli attori rimane quasi uguale, anche se è percepibile un cambiamento positivo. Come positiva resta l’ucronia raccontata, con le sue variazioni degli eventi storici.
Invece, i grandi cambiamenti attuati nell’ambito della narrazione della serie e nella lunghezza degli episodi. Il cambio di marcia più sensibile è l’utilizzo di un freno narrativo pesante, forse scelto per mantenere la durata degli episodi uguale a quella della scorsa stagione. La quasi ovvia conseguenza di questa scelta consiste nell’avere una serie con episodi più lenti, che di conseguenza risultano pesanti e noiosi. Infatti, la serie risulta molto più vuota, e il susseguirsi di eventi è particolarmente lento.
È da citare l’inserimento di filmati storici con l’aggiunta degli attori della serie in postproduzione, aumentando ancora di più la simbiosi tra realtà e finzione. In più, il cast è riuscito a sostenere, con la bravura dei protagonisti, la mancanza di una sceneggiatura satura di avvenimenti avvincenti. Gli attori che sostengono la serie sono confermati per la terza stagione: Joel Kinnaman, Shantel Van Santen, Jodi Balfour, Wrenn Schmidt, Sonya Walger e Krys Marshall.
È d’obbligo dire che questa parte di For all mankind peggiora e regala meno emozioni della prima. Bisogna però mettere in chiaro che gli standard qualitativi sono più che ottimi, e che il sensibile peggioramento è attribuibile soprattutto all’alto livello della precedente stagione, sicuramente difficile da eguagliare, impossibile da superare.
Gabriele Cavalleri
(In copertina e nel testo immagini tratte dalla serie TV For all mankind, disponibile su AppleTV+)