Il filosofo coreano Byung-chul Han attraverso il suo nuovo saggio La società senza dolore (Einaudi, 2021) decifra con chiarezza il rapporto problematico esistente tra la società contemporanea e la dimensione del dolore.
La società della positività
Immersi in una società che cerca di sbarazzarsi di tutto ciò che è negativo, ci dimentichiamo dei grandi insegnamenti che si possono trarre dal dolore, accrescendo ancor di più la fobia di cui è affetto il nostro mondo: l’algofobia o paura del dolore.
Parola d’ordine? Sii felice. In un mondo contraddittorio, dagli scenari futuri assai distopici, l’unica dimensione contemplata resta la felicità.
Al giorno d’oggi appare quasi un dovere sociale essere felici, avere una vita da sogno, essere tremendamente soddisfatti della propria esistenza.
Il senso della vita sembra sempre più affiancarsi all’affannosa ricerca della felicità. Niente spigoli. Niente angoli, niente conflitti e contraddizioni.
Il dolore è sempre condannato a tacere. Byung-chul Han, con il breve ma denso saggio intitolato La società senza dolore, restituisce voce al dolore, costringendoci a riflettere in maniera analitica su di esso e offrendoci una nuova chiave di lettura dell’algofobia.
L’obiettivo è mostrare quanto sia essa pervasiva nelle nostre vite.
Il dolore come strumento interpretativo
Han è convinto che per comprendere la tipicità di una società occorra effettuare un’ermeneutica, o interpretazione, del dolore. Il rapporto che abbiamo con esso, infatti, rivela in quale società viviamo. A tale proposito il filosofo coreano riporta una citazione di Ernst Junger, esemplare in questo senso:
Dimmi il tuo rapporto con il dolore e ti dirò chi sei!
Ernst Junger
Il dolore contiene la chiave per comprendere una società. La nostra, in particolare, è definita palliativa, perché cerca rimedi provvisori e superficiali volti a risollevarci il prima possibile dalla sofferenza, considerata un segno di debolezza. Questi antidoti inefficaci si estendono in ogni ambito sociale: dalla politica, incapace di realizzare riforme incisive, che potrebbero far male, e che continua a preferire analgesici di breve durata ed effetto, alla psicologia, che negli ultimi anni è divenuta “psicologia positiva”, promotrice dell’ottimismo e del benessere, che ha come obiettivo quello di modellare l’essere umano nella forma di un soggetto il più possibile estraneo al dolore.
Algofobia è tanatofobia
La paura del dolore si riallaccia alla paura della morte, o tanatofobia. Il filosofo afferma che la nostra società e affetta da isteria della sopravvivenza, a causa della quale siamo disposti a sacrificare tutto ciò che rende la vita meritevole di essere vissuta nel nome della sopravvivenza:
L’allungamento della vita a ogni costo avanza a livello globale diventando il valore più alto, che mette tutti gli altri in secondo piano.
Byung-chul Han, La società senza dolore
La paura della morte domina la vita, svuotandola di senso. L’attaccamento alla vita ci fa dimenticare cosa davvero significhi esistere. In questo modo la nostra esistenza viene degradata a un semplice processo biologico, che va ottimizzato, e soprattutto misurato: una prova ne è l’enorme diffusione di app per la salute e il benessere, che hanno lo scopo di misurare la nostra giornata, rendendo la nostra quotidianità, e la nostra vita, una mera funzione.
Che senso ha il dolore?
Uno dei principali motivi per cui il dolore non viene compreso e accettato, è perché risulta insensato:
Una caratteristica cruciale dell’odierna esperienza del dolore consiste nel fatto che esso venga percepito come privo di senso.
Byung-chul Han, La società senza dolore
Infatti le nostre vite si sono progressivamente private della loro primitiva e tutta umana dimensione metafisica, che risultava essenziale per supportarci e orientarci dinanzi al dolore. Attualmente non ci sono più nessi, narrazioni, pratiche rituali in grado di dare senso al dolore e alla sofferenza. Come risultato la società produce individui spaesati e intimoriti dalle proprie sensazioni. Ci sentiamo completamente privi di protezione, in balia delle emozioni. Questo ha fatto si che nel tempo si abbassasse sempre di più la soglia del dolore, conseguenza ne è il delinearsi di individui sensibilissimi ad esso. A tal proposito Il filosofo paragona la favola di Andersen La principessa sul pisello all’ipersensibilità del soggetto tardo-moderno:
Il paradosso di questa sindrome del dolore consiste nel fatto che si soffre per cose sempre più piccole. Le crescenti aspettative nei confronti della medicina, associate all’insensatezza del dolore, fanno sembrare insopportabili persino i dolori più insignificanti. E se il pisello che infligge sofferenza scompare, ecco che le persone iniziano a soffrire a causa dei materassi troppo soffici.
Byung-chul Han, La società senza dolore
Qual è, quindi, il segreto per non essere sopraffatti dal dolore? La risposta che ci fornisce Han è più facile di quanto si possa pensare: accettarlo. L’idea che sta alla base di questa asserzione è che la felicità e il dolore non siano altro due faccia della stessa medaglia o, come direbbe Nietzsche, due sorelle gemelle che crescono o diventano piccole insieme. L’una determina l’altra, e per tale ragione la felicità risulterà inaccessibile a chi non sarà disposto ad aprirsi al dolore.
Sofia Spagnoli
(In copertina Byung-chul Han)
Per approfondire: Il dolore nel cinema – Ciò che non uccide fortifica? (un articolo di Chiara Parma)