Si sta parlando sempre di più del DDL Zan, contro l’omotransfobia, arenato alla Camera tra le grandi manifestazioni che ne chiedono l’approvazione e le lunghe discussioni di esperti e politici favorevoli o contrari. Tuttavia, cosa c’è scritto davvero tra le pagine della legge?
Le fake news sul DDL Zan
Anche i meno informati, in questo periodo, sono sicuramente stati avvolti dalle critiche o opinioni varie sul DDL Zan, che ancora cerca approvazione alla Camera, qualcuno attraverso i social, qualcuno dalla televisione, e qualcun altro, addirittura, leggendo i giornali (è proprio vero che esistono ancora). La questione, da tempo in prima fila nel dibattito politico italiano, ha ulteriormente guadagnato terreno con le dichiarazioni fatte da Fedez sul palco del Concertone del Primo Maggio. Il cantante ha messo sul tavolo, oltre all’importanza della legge, la questione della censura in RAI. In questa sede vorrei lasciare da parte questi ultimi discorsi e concentrarmi sul DDL Zan, o meglio, su come l’informazione di destra si sia approcciata al dibattito politico.
La legge, nata per inasprire i reati commessi con l’aggravante della discriminazione di genere e punire chi minaccia atti di violenza con toni sessisti, è diventata per la politica e l’informazione conservatrice – o, meglio, sovranista – una minaccia alla libertà di espressione che, a dir loro, i “buonisti” vogliono reprimere. La legge Zan però non è niente di tutto questo, facendosi garante di libertà personali, contro ogni genere di irrisione sessista. Va inoltre a “completare” i reati discriminatori della legge Mancino – razziali, etnici, religiosi e nazionali – aggiungendo anche quelli legati al sesso o alle tendenze sessuali.
Non è una legge contro le chiacchiere da bar
C’è chi sostiene che tale legge presenti, in alcuni punti, delle incertezze relative al grado di intensità dell’insulto, o addirittura della minaccia. Tale dubbio, assolutamente lecito, è talvolta scambiato in maniera molto semplicistica per oltraggio alla chiacchiera da Bar: la legge Zan non è nata per punire le volgarità dette tra amici, ma per minacce ben più serie, che siano sui social o (per volere usare un’espressione oggi di moda) “in presenza”.
“Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.
Il paradosso sta proprio qui: è davvero difficile credere che alcuni politici e giornalisti non abbiano l’intelligenza per svincolarsi dall’incomprensione in cui sono caduti. La speranza è che acquistino la consapevolezza di portare avanti una battaglia, seppur legittima, moralmente avvilente, che fuorvia dal testo della legge. Non bisogna dimenticare che, mentre si ritarda l’approvazione, tutta una comunità non garantita per esteso dalla legge continua a soffrire di violenze verbali e fisiche.
I retaggi culturali all’italiana
La destra italiana non ha saputo approfittare dell’occasione per fare un decisivo passo in avanti e finalmente scrollarsi di dosso i vecchi retaggi ultracattolici e fascisti, rimanendo legata alla solita ricerca di consensi. Nella lotta alla libertà d’espressione, difatti, trova un giusto pretesto per contrastare la legge che ha tutt’altro scopo.
La destra degli altri paesi europei occidentali ha superato ormai da tempo questi tabù. Basti pensare che la Francia ha approvato la legge con tali contenuti nel lontano 2004, sotto il governo Chirac del partito di destra Unione per un Movimento Popolare.
Allora, risulta davvero strano che tutto il fronte si ponga contro questa legge, ripetiamolo, utilizzando la causante del diritto di espressione. Qui c’è davvero un problema di retaggio estremista che continua a serpeggiare nella cultura italiana. Perché è davvero un problema di cultura. Perché questa legge, sacrosanta, non sarebbe occorsa in un paese davvero civile. Perché forse in certi casi basterebbe solamente prendere in mano l’articolo 3 della Costituzione:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
È davvero un problema di cultura?
Per rispondere a questa domanda, proprio il DDL Zan intende inserire una giornata dedicata alla lotta contro la discriminazione di genere e di celebrarla nelle scuole, portando avanti insegnamenti di inclusione e di rispetto. Dal testo del disegno di legge:
“La Repubblica riconosce il giorno 17 maggio quale Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contra stare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei princìpi di eguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione.” E poi: “In occasione della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia sono organizzate cerimonie, incontri […]. Le scuole […] provvedono alle attività […] con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.”
Ma la risposta della destra su questo punto è ancora più aspra. L’idea è sempre quella del bambino che non può vedere un corteo gay pride o assistere ad un incontro con la comunità LGBT+, come se tutto ciò fosse per lui nocivo. Sappiamo però che fortunatamente in genere i bambini non hanno ancora formato nelle loro menti il cosiddetto pregiudizi. Non sono ancora accecati dalla leggera patina di odio che riveste i nostri poveri occhi.
Per approfondire: Una fobia come un’altra (un articolo di Clarice Agostini)
Allora perché non fare questo passo in avanti?
“Perché questo è il primo passo in un piano inclinato che arriva fino all’utero in affitto” avrebbe risposto un buon “informatore” della destra sovranista. Come si vede, si è fatto tutto in questi mesi tranne che prendere in mano il disegno di legge, e per chi l’ha letto, colpa ancora più grave, spacciarlo per tutt’altra faccenda. Se il mestiere del giornalista è quello di portare il vero alle persone, di descrivere i fatti, di trasformare il “burocratese” in lingua popolare e farla entrare nelle case degli italiani, allora è il caso di dire che qualcuno non ha svolto la sua mansione con professionalità.
Questo articolo ha avuto la presunzione di smontare i punti cardine della critica di destra. Sfortunatamente il suo obiettivo non sarà portato a compimento. Chi ha avuto la compiacenza di arrivare fino in fondo, avrà sicuramente già letto le poche righe del disegno di legge Zan, o quantomeno si sarà informato in maniera responsabile sul testo. Alla destra italiana la parola a chi non ha occhi per vedere.
Alessandro Bitondo
(In copertina Mick De Paola da Unsplash)
Per approfondire: percorso tematico Comunità LGBT+